La serie degli arredi per lo sport disegnati da Axel Einar Hjorth negli anni Trenta

L’approccio al progetto di Axel Einar Hjorth — inaspettato, fresco e capace di produrre arredi senza tempo — ha affascinato Jasper Morrison e Francesca Picchi. Da Domus 1044.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1044, marzo 2020.

Molti potrebbero essere portati a pensare che il design sia un processo perfettamente razionale di analisi di un problema, di una funzione o di un bisogno, e di risposta secondo una logica creativa che, per prove ed errori, si fa strada passo dopo passo verso la soluzione.

Indiscutibilmente, questo vale per progetti dove gli aspetti funzionali sono determinanti, come nel caso, per esempio, dei dispositivi medicali. Tuttavia, anche all’interno di questi progetti così seri intervengono a contribuire spesso fattori collaterali, tra i quali ce n’è un tipo che definirei “opportunistico”. Questo elemento utile che collabora al processo progettuale si presenta quando circostanze di tempo, luogo e interazione umana trovano un allineamento tale da fornire al designer l’ispirazione necessaria, o più semplicemente quando vedere qualcosa provoca un approccio al progetto del tutto inaspettato, fresco, solitamente innescando associazioni casuali di forma, materiale, funzione ed espressione.  

La serie di arredi dei capanni per lo sport (Sportstugemöbler) disegnati da Axel Einar Hjorth negli anni Trenta offre un buon esempio di quest’approccio imprevedibile al progetto. Hjorth era all’epoca capo progettista alla Nordiska Kompaniet (NK), il grande magazzino svedese che era già un importante produttore di mobili contemporanei su scala nazionale.

Il progetto riguardava il disegno di arredi dei capanni per il fine settimana che si andavano costruendo nell’arcipelago, diventati subito popolari presso la nuova élite benestante, che ambiva a evadere dalla vita cittadina in cerca di aria pulita e nuotate tonificanti tra le insenature profonde e i laghi che proliferano attorno a Stoccolma.

La natura ricreativa di queste nuove abitazioni presupponeva un approccio progettuale completamente nuovo per migliorare l’esperienza con un’atmosfera senza pretese, ma ricca d’ispirazione. Questo briefing dev’essere stato esattamente quello di cui Hjorth aveva bisogno per liberarsi dalla commistione borghese di gusto classico e Art déco, che all’epoca dominava il mercato svedese.

Libreria della serie Lovö, 1932. Il disegno combina le citazioni della tradizione rurale, riconoscibili per esempio negli elementi in ferro forgiato, con la chiarezza formale d’ispirazione moderna. Courtesy del Stockholms Auktionsverk.

Come materiale principale scelse il pino grezzo, che non doveva essere molto diffuso nelle case della società più erudita, e si predispose a progettare gli elementi-base dell’arredo domestico: sedie, tavoli, letti e armadi, con una deliberata violazione del gusto dominante in fatto di eleganza. Senza dubbio, doveva avere calcolato che i clienti della Nordiska Kompaniet avrebbero, tutto sommato, apprezzato un cambiamento di atmosfera.

Questo non significa che i progetti siano ineleganti, quanto piuttosto che esprimono un’idea di eleganza diversa, del tipo capace di resistere al tempo. Sappiamo che Hjorth ammirava Brancusi perché uno dei tavoli della serie Üto (il pezzo che per primo ha attirato la mia attenzione sul lavoro di Hjorth) prende il nome dallo scultore. Quando cinque anni fa mi sono imbattuto in quest’oggetto in una galleria di mobili danesi di Parigi, non avevo mai sentito parlare di Hjorth.

Mostra allestita da Hjorth per la presentazione della serie Utö nella sede del grande magazzino Nordiska Kompaniet, 1932 circa. Courtesy del Nordiska museets arkiv.

Il pezzo è tutt’altro che tipico nella forma, costituito da una colonna ovale, dritta sui lati, che funziona da base per un vassoio, anch’esso di legno, di un ovale leggermente più grande, quasi fosse seduto sopra di essa. L’effetto di queste due forme combinate è potente e convincente allo stesso tempo. Artigianato rurale reso moderno senza sentimentalismo, né ornamento.

Discreto, ha tuttavia una presenza poderosa. Un Super Normal del 1930. Come dice Enzo Mari, “non sembra, ma è”. I designer di mobili di solito non pensano di combinare volumi in questo modo e questo mi ha intrigato.  

Mi ha portato a conoscere gli altri pezzi della stessa serie disegnati da Hjorth, e il loro fascino del tutto simile; in un secondo tempo ho appreso la storia del grande magazzino e dell’idea di progettare queste collezioni per i capanni per lo sport del weekend e ho compreso quanto le circostanze eccezionali del progetto devono aver contribuito al risultato.

Jasper Morrison. Fondatore dello studio Jasper Morrison Ltd (Londra, Parigi e Tokyo), è autore di una gamma di oggetti sempre più ampia per aziende come Vitra, Cappellini, Flos, Magis, Marsotto, Emeco, Punkt, Camper e Muji. Ha pubblicato diversi libri e progettato numerose mostre.

Francesca Picchi. Architetta, giornalista e curatrice indipendente, vive a Milano. Tra le mostre da lei curate, “Enzo Mari. Il lavoro al centro” (Centre Arts Santa Mònica di Barcellona, 1999), “Riccardo Dalisi: la funzione del pressappoco nell’universo della precisione” (Triennale Design Museum, 2017).  

Ultimi articoli in Design

Ultimi articoli su Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram