In un’epoca di branding territoriale agguerrito e identità studiate a tavolino, la Val d’Ossola – nell’alto Piemonte – colpisce per il carattere spontaneo e sobrio. Terra di lavoratori e imprenditori, la valle è dedita all’estrazione della pietra – serizzo, granito, marmo – fin dall’epoca romana; è da qui che arriva anche quella utilizzata dalla Veneranda Fabbrica del Duomo per il continuo restauro della cattedrale milanese. Se, da un lato, la pratica estrattiva supporta quindi da sempre l’economia della regione, dall’altro, essa ha però profonde ripercussioni sul paesaggio: come grandi cicatrici che segnano le montagne, le cave sono la testimonianza visibile e tangibile del consumo abbondante che facciamo delle risorse naturali di questo territorio. Consumo che, come in qualsiasi altra attività industriale, produce anche molti scarti, che nella fattispecie consistono in grossi blocchi di pietra dismessi perché non idonei all’utilizzo nei cicli produttivi tradizionali a causa di rotture o difetti superficiali.
Riprogettare la pietra in Val d’Ossola
Creare oggetti di design a partire dagli scarti di produzione delle cave di marmo: l’esperienza di Pietre Trovanti.
View Article details
- Laura Drouet & Olivier Lacrouts
- 23 agosto 2019
- Val d’Ossola
Affacciata sul fiume Toce, che da qui passa prima di gettarsi nel lago Maggiore, da circa tre anni Pietre Trovanti fa del recupero e della valorizzazione di questi scarti il fulcro della propria ricerca progettuale. Nata come costola creativa e socialmente consapevole dell’azienda storica Moro Serizzo, la giovane avventura imprenditoriale è guidata da Tiziana Scaciga – terza generazione della famiglia Moro – che la porta avanti con un approccio attento che echeggia il carattere umile e onesto della valle in cui opera. “Abbiamo scelto il nome Pietre Trovanti perché volevamo raccontare la storia della mia famiglia e del territorio che mi unisce a Luca Antonini e Andrea Scotton – che con me seguono questo progetto”, afferma Scaciga. “Quando mio nonno, che era un maestro scalpellino, giunse in Val d’Ossola all’inizio del Novecento, prima di aprire la sua attività con i figli, cominciò proprio dai massi trovanti (comunemente conosciuti come massi erratici, Ndr): blocchi di roccia spesso molto grandi che si trovavano e trovano tuttora nell’arco alpino e prealpino. A quel tempo era consuetudine lavorare le pietre direttamente in situ, tagliando il grosso del materiale sul posto, prima di trasportarle a valle dove venivano finite e assumevano funzionalità specifiche, diventando macine, portali, pavimenti, etc. Una nota importante: parte integrante del processo di lavorazione, ma anche attitudine e consapevolezza dei maestri scalpellini, era l’utilizzo dei massi nella loro integralità, senza sprechi”, sottolinea l’imprenditrice.
Dando seguito a quanto iniziato dal nonno, con Pietre Trovanti, Scaciga tenta di “approfondire il valore ambientale, umano, sociale, storico e culturale che questi blocchi irregolari possono avere una volta recuperati e trasformati in oggetti che ne svelano le potenzialità inaspettate.” Collaborando con designer e artisti italiani e internazionali – tra cui studio Zaven, Davide Crippa di studio Ghigos e Josefina Muñoz – l’azienda sviluppa collezioni in cui l’idea “non è unicamente quella di produrre oggetti, quanto quella di usare l’espediente della produzione per raccontare un percorso valoriale in cui emergano i temi dell’irripetibilità, dell’irregolarità, della metamorfosi e dell’artigianalità”, afferma l’imprenditrice. Come evidenzia Scaciga, lavorare con pietre non idonee a un processo produttivo seriale significa possedere una profonda conoscenza e rispetto della materia: “spesso, quando ci si riferisce alle pietre di scarto, si è portati a credere che esse abbiano un valore minore; in realtà si tratta semplicemente di materiali che non rientrano nelle logiche commerciali tradizionali e per i quali occorre una grande competenza progettuale e un’attenzione specifica nel selezionarli e processarli.” Motivo per cui gli oggetti di Pietre Trovanti hanno costi e tempi di produzione più elevati rispetto a quelli prodotti in serie e sono destinati a gallerie e negozi che operano nel mondo del design da collezione o in serie limitata e che abbracciano i valori dell’azienda legati all’upcycling e a un’apparenza imperfetta.
Tra le gallerie che hanno cominciato a dare risalto a progetti che abbracciano i principi e l’estetica dell’economia circolare, vi è la Mint Gallery di Londra. “Quello del design one-off e dei pezzi da collezione è un mercato di nicchia in costante crescita. In passato il concetto di economia circolare non costituiva il focus dei clienti; si trattava solamente di un dettaglio accattivante aggiuntivo”, afferma Lina Kanafani, la fondatrice. “Come galleria ci stiamo lentamente spostando verso l'economia circolare e attualmente il 60% della nostra collezione consta di pezzi creati con elementi riciclati. Per commercializzare tali prodotti è importante che siano esteticamente gradevoli ed esprimano una certa unicità”, rivela la gallerista. “La storia e la ricerca alla base dei progetti sono importanti quasi quanto il risultato finale. Il nostro pubblico è interessato a queste caratteristiche; motivo per cui mettiamo in risalto l’unicità del fatto a mano e delle imperfezioni naturali quali punti di forza dei pezzi”, sottolinea Kanafani. “In tal senso, i tavolini Game of Stone (che la galleria propone nel suo catalogo, Ndr) sono un brillante esempio dell'utilizzo di scarti di marmo per creare un design unico ed equilibrato. Ogni pezzo ha le sue variazioni individuali a causa della natura del materiale.”
Se l’imperfezione sembra dunque essere una caratteristica importante nel mondo del design da collezione, è interessante notare come questa stessa fascinazione stia trovando riscontro anche sul mercato dell’arredo tradizionale. L’anno scorso, la mostra Viva la Diferencia! – curata da Ana Dominguez Siemens presso il Centro Centro Cibeles di Madrid (16.02 – 20.05.2018) – lo aveva raccontato efficacemente: uno dei trend attuali più significativi in termini di consumi in ambito domestico è la preferenza per oggetti – artigianali, ma anche industriali – capaci di trasmettere la bellezza imprevedibile e irregolare del fatto a mano. Tra i progetti in mostra, esemplificativa era la collezione di vasi imperfetti Industriell disegnata dall’olandese Piet Hein Eek per Ikea.
In sintesi, se il lavoro di Pietre Trovanti è encomiabile perché ci spinge a rivedere la nostra nozione di bello dando voce a materiali e forme che normalmente verrebbero scartati – ma anche a un’artigianalità e a una creatività che fanno dell’esplorazione lenta e attenta il fulcro del loro approccio – va ricordato che esso s’inserisce nondimeno in un’economia che, come si sottolineava all’inizio, ha ripercussioni importanti sull’ambiente che la genera e, potenzialmente, le offre un alibi per continuare a produrre in maniera sconsiderata. Istruttivo, in tal senso, è l’esempio della plastica riciclata: presentandosi come un materiale “senza colpa”, ci esonera da qualsiasi responsabilità e ci permette di continuare ad alimentare la filiera a monte della sua produzione. Qualsiasi sia il vostro punto di vista, due appuntamenti in autunno vi permetteranno di conoscere il lavoro dell’azienda da vicino: l’evento Crossovers by Adorno a Londra (London Design Fair, 19–22 settembre 2019), dove saranno esposti i pezzi della collezione Game of Stone firmata da Josefina Muñoz; la rassegna Re–St, Residenza d’Artista (La Mole, Ancona, 28 settembre – 20 ottobre), durante la quale l’artista Marta Palmieri svelerà la ricerca sulla valorizzazione dei fanghi di segagione che ha condotto nei mesi scorsi in collaborazione con l’architetto Carlo Antonelli e Pietre Trovanti.
- Pietre Trovanti