Il design “ambiguo” di Audrey Large tra il virtuale e il reale

L’estetica glitch della designer francese abita in una comfort zone a metà tra il reale e il virtuale, in cui sperimenta con la manipolazione digitale e la stampa 3D e che ha raccontato anche a noi di Domus.

“Liquidità, dissoluzione, transizione, trasformazione. Mi piace quando i contorni si dissolvono, quando non c’è un vero confine tra l’osservatore e l’oggetto e l’aria che si trova nel mezzo”, racconta a Domus la designer e artista francese con base nei Paesi Bassi Audrey Large, riassumendo il suo lavoro in poche parole. Nata a Toulouse nel 1994, e attualmente attiva ad Eindhoven, attraverso la sua ricerca Large raccoglie tutte le tematiche chiave dell’era digitale, sviluppando un’estetica che si colloca in uno spazio ibrido tra il virtuale e il reale.

Da quando ha conseguito il master in Social Design presso la Design Academy di Eindhoven nel 2017, l’artista ha sviluppato la sua pratica attraverso la manipolazione digitale delle immagini, spesso combinata con processi di fabbricazione digitali quali “disegno, modellazione, stampa 3d, tutti mescolati insieme nel mio metodo, senza un ordine specifico”. In tal modo, è riuscita a sfidare la materia stessa e, di conseguenza, a ingannare gli occhi dell’osservatore in uno stato incerto di percezione visiva, in cui l’oggetto fisico diventa un ibrido, una sorta di pretesto che mette in discussione la sottile linea tra materialità e immaterialità. 

Audrey Large, Celestial Proceedings, 2023. Foto Federico Floriani

Per Large, virtuale e reale non si oppongono, in quanto fanno parte dello stesso continuum. “Inoltre, il binarismo è riduttivo e non rappresentativo dei modi reali di essere e navigare l’esperienza della vita. Io preferisco pensare in termini di molteplicità e continuità piuttosto che binari e di opposizione. Cerco di trasmettere questo attraverso le idee alla base degli oggetti che realizzo, ma anche di esplorarlo nel metodo-processo di progettazione”, commenta. Una volta superata l’opposizione dicotomica, un regno di possibilità inesplorate comincia a svelarsi, mentre ci avviamo in una sorta di viaggio metafisico. 

Non si tratta di portare confusione e caos al livello materiale, ma di abbracciare il fatto che la confusione è parte del tutto, e cercare di superarla è rassicurante.

Audrey Large

Tutto comincia con una semplice domanda: che cos’è la materia? Cosa consideriamo reale e scontato? “Mi piace sfidare l’aspetto banale, semplice, immediato della materialità e della percezione” dice Large. “Cerco sempre l’ambiguità, e cerco l’apertura in ogni oggetto. Quando le cose non si rivelano totalmente, quando pensi di capirle e improvvisamente stanno scivolando via. Quando non sei più sicuro. Ancora una volta, non si tratta di portare confusione e caos al livello materiale, ma di abbracciare il fatto che la confusione è parte del tutto, e cercare di superarla è rassicurante. Gli oggetti statici potrebbero essere solo un ‘cerotto’ per nascondere l’imbarazzo di non sapere come essere”. 

Audrey Large, Scale to infinity, 2021. Foto Audrey Large

Nel 2017, Large ha presentato il suo progetto di diploma Life.vfx alla Design Academy Eindhoven, un lavoro che racchiude la maggior parte dei concetti successivamente sviluppati dalla designer nel corso della sua carriera. Protagoniste le immagini stampate in 3d di oggetti di uso quotidiano, sottoposte a una serie di manipolazioni: “Mi filmavo mentre usavo oggetti della vita quotidiana, come una caraffa”, racconta la designer, “per raccogliere i dati di rilevamento del movimento del mio uso dell’oggetto e applicare questi dati sulla scansione 3D dello stesso oggetto originale – avrei poi ottenuto un modello ‘glitchato’, che avrei stampato in 3d. Tutto questo per ricominciare lo stesso processo, fino ad ottenere una linea di trasformazione di caraffe ‘glitchate’. Successivamente, la motion capture trasforma le forme e i movimenti stereotipati in nuove entità: sono i risultati inaspettati del tentativo di alterare le immagini dalla realtà”.

Sto abbracciando la fluidità, l'imperfezione nella forma. Questo rende l’oggetto finale più umano.

Audrey Large

Foto Gustav Moorhouse

Presto i concetti come quello del “dubbio”, del glitch e dell’inglobare il caos come parte del processo creativo hanno portato la designer alla serie Implicit Surfaces, in cui Large – disegnando sul computer con un tablet grafico – inizia a scolpire e stampare in 3d i suoi primi Metaobjects, oggetti di design insolito con un'estetica unica che attinge da un regno digitale dalle forme aliene. Ciò che è ironico, è che questa forma è possibile solo attraverso l' “errore” umano: “Sto abbracciando la fluidità, l'imperfezione nella forma”, afferma Large. “Questo rende l’oggetto finale più umano.

Gli oggetti potrebbero sembrare irreali, potrebbero disturbare la percezione, ma sono comunque molto toccanti e ‘vicini’, in un certo senso. Penso che sia perché non sono forme astratte, e perché si può sentire il tocco umano nelle forme”. In conclusione, è in uno spazio di “ambiguità” che l’artista trova il terreno per continuare la sua sperimentazione. “Nel mio lavoro” conclude la designer, “cerco di esprimere questo intreccio sul livello molto banale della materia –che nasce attraverso l'ambiguità percettiva, ma anche dalla metodologia per cui l’ambiguità del file e del ruolo stesso del progettista, il cui lavoro è quello di fondere le tecniche di creazione di immagini con la fabbricazione digitale”.

Audrey Large. Foto Anne Timmer

Immagine di apertura: Audrey Large, foto Alaa Abu Asad

Ultimi articoli di Design

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram