Bacco, la lampada degli anni dell’edonismo

Monofunzionale, ma sorprendente e con un tocco magrittiano, la luce che sembra un vassoio, disegnata da Guido Rosati per iTre di Murano, nasce 40 anni fa.

1983. Ronald Reagan governa negli Usa, Margaret Thatcher in Gran Bretagna e Bettino Craxi in Italia. Mentre nasce Internet e Motorola mette sul mercato il primo telefono cellulare, Lucio Dalla – nel suo brano che ha come titolo proprio l’anno 1983 – canta: “Ma qualcosa ci manca e quel qualcosa ci stanca / Ci stanca avere tutte queste cose che ci mancano se non le abbiamo più”. Sono gli anni dell’edonismo. Del bisogno di trovare piacere nel consumo. Dell’euforia legata alla disponibilità di oggetti e di cose. Anni in cui Ettore Sottsass e Memphis scardinano le convenzioni e cercano nuove strade per il design. Anni in cui emozione e sorpresa contano negli oggetti quanto e forse anche più della funzionalità. 

Courtesy Guido Rosati

È in questo scenario epocale che Guido Rosati – designer di origini abruzzesi, con all’attivo alcuni progetti di successo come la poltrona Papillon per Giovannetti e la lampada Fatua per FontanaArte – progetta e realizza la lampada da tavolo Bacco per l’azienda ITre di Murano. La lampada è costituita da un vassoio metallico con 3 alloggiamenti, ciascuno con lampadine, per i 3 diffusori in vetro bianco a forma di bottiglia di diverse dimensioni. Ogni bottiglia ha un tappo azzurro, anch’esso in vetro. I vetri ITre sono creati con antiche tecniche di lavorazione: soffiatura, lavorazione a piastra, riporto o incalmo. Proprio per questo eventuali differenze di forma, colore, composizione materica, non sono imperfezioni ma caratterizzazioni. L’effetto trompe l’oeil è stupefacente: quello che appare alla vista come un vassoio con tre eleganti bottiglie in vetro soffiato di Murano all’improvviso si illumina dall’interno e rivela che le tre bottiglie sono in realtà diffusori di luce. 

Bacco si colloca così tra quegli oggetti del design italiano che ambiscono alla polisemia e alla poliedricità comunicativa: a differenza di quanto accadeva con certi oggetti multifunzionali progettati ad esempio da Gae Aulenti negli anni ‘60 (Giova, 1964, che è al tempo stesso lampada e portafiori, o Rimorchiatore, 1967, che è lampada, portafiori e posacenere), Bacco è monofunzionale ma sorprendente. Ha qualcosa di magrittiano. Sembra una cosa ma non lo è. È un segno depistante. Confonde ma poi illumina, letteralmente. Se negli anni ‘60 si perseguiva una polifunzionalità che trovava espressione in oggetti dalla volumetria articolata e allusiva, negli anni ‘80 conta di più la sorprendenza. Comodità, efficienza e praticità lasciano il posto alla meraviglia. 

Una lampada come Bacco genera così una suggestiva ibridazione e oscillazione percettiva. Rosati, del resto, lavora spesso a partire da analoghe visioni proteiformi: Fatua è una lampada che sembra una brocca e Papillon una poltrona che evoca le fattezze delle ali di una farfalla, così come il suo Piego è il primo divano letto ad adottare il meccanismo oggi noto come “cricchetto”, che permette alla struttura di aprirsi e formare un piano letto in modo semplice e pratico. Mutazioni di forme, illusioni percettive, trasformazioni funzionali: il dinamismo degli anni’80 lascia anche negli oggetti traccia di sé, mitigando e alleviando quel senso al tempo stesso di mancanza e di sazietà di cui canta Lucio Dalla nella sua bellissima canzone. 

La lampada Bacco nelle pagine di Domus 699, novembre 1988

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