Nulla di quello che si vede in Avatar esiste eppure perché tutto appaia realistico deve rispondere ad una logica interna e al cinema, il regno di ciò che si vede. La logica è il design.
A differenza di molti altri film, anche quelli ambientati in altri mondi, che fanno un ampio uso di effetti visivi, Avatar aveva e ha l’ambizione di crearlo, questo suo mondo “altro”, a un livello di dettaglio tale da necessitare anche una coerenza nei rapporti causa-effetto di ogni elemento.
Costruire un mondo di finzione come se fosse un mondo vero, immaginandone la biologia e la fisica (a grandi linee) e come possano influenzare le azioni dei personaggi e quindi la trama. E fare tutto al contrario, partendo dalla trama e dalle esigenze dei personaggi.
Avatar esce nel 2009 ma nella testa del suo regista e sceneggiatore, James Cameron, esiste dal 1994. In quell’anno aveva scritto 80 pagine di trattamento per un film da farsi nel 1999. La tecnologia però non era nemmeno vicina a quel che sarebbe servito per farlo come voleva Cameron, con quel livello di ubiquità degli effetti visivi e quel livello di fotorealismo. Per questo nei 15 anni successivi Cameron stesso lavora alla creazione delle tecnologie che serviranno al suo film. Come se oltre all’auto si costruisse da sé anche la strada per arrivare dove desidera.
Solo nel 2005, quando è chiaro che la tecnologia è arrivata ad un livello sufficiente per creare quello che ha in mente, inizia a concepire il mondo di Pandora, il pianeta nel quale vivono i Na’Vi, specie aliena protagonista del film. Lo concepisce da solo, bozzetti inclusi. Poi assembla un team di designer apposito per raffinare la sua visione. In questa maniera prima di arrivare alle creature digitali, lo sviluppo lungo diversi anni è passato per disegni, sculture e creazioni al computer. Nella stessa maniera in cui George Lucas ha costruito le città di Guerre stellari, cioè con crescente attenzione alla funzione di ogni edificio al momento di approvarne il design, così Cameron ha pensato le creature di Avatar.
In maniera non diversa dall’architettura, anche il design di Avatar, e conseguentemente quello più avanzato e raffinato del sequel Avatar: La via dell’acqua è funzionale. Nascono prima l’utilità e il servizio a cui una creatura o una pianta devono assolvere e poi il loro design, in modo che quest’ultimo sia pensato in modo tale che quell’essere possa assolvere alla sua funzione. Che poi, con un senso differente, è anche l’idea dietro il darwinismo. Se un animale ha sei zampe, queste poi dovranno essere animate quando cammina, quindi va concepito come possa “funzionare” e a cosa servano le sei zampe. Per fare questo occorre capire quali siano le regole del pianeta che abita.
Pandora ha una gravità inferiore alla Terra che gli viene dalla presenza di diverse Lune. Questa è stata la prima decisione, quella da cui discende tutto. Si sarebbe potuta forzare la mano anche di più e allontanarsi maggiormente dalle leggi della fisica della Terra ma avrebbe voluto dire ancora più lavoro e forme di animali e piante ancora più distanti da quelle che conosciamo.
Questo perché la plausibilità del design è sempre stato il punto di qualsiasi creazione per James Cameron, nonostante storicamente l’implausibilità non sia mai stato un problema per il cinema, che anzi è famoso per creare senza badare troppo al realismo (a parte il minimo indispensabile) o alla plausibilità. Invece James Cameron, che già negli anni ‘90 era il primo cineasta moderno, ha sempre saputo che la creazione di un mondo in cui ambientare più film, spin-off e via dicendo, ha un senso e può reggere il tempo se è dotato di complessità e coerenza.
Ad esempio una delle creature di Avatar: La via dell’acqua, l’ilu, il cavallo d’acqua che i personaggi cavalcano nel film, era stato creato per Flight Of Passage, l’attrazione di Disney World. La creatura ha un’importanza cruciale nel film e non stava nel primo Avatar, lo stesso era stata concepita in modo che fosse così coerente con la fisica e la biologia di Pandora da poter poi essere impiegata per il secondo film anni dopo.
È la dimostrazione concreta di come la creazione di un mondo per un franchise non si limiti ai soli film, ma possa semmai poi espandersi altrove. Ovviamente aiuta il fatto che ci fossero sempre i medesimi studi di effetti visivi a creare le creature materialmente (o meglio, digitalmente), la WETA (quella del Signore degli Anelli) in collaborazione con la Industrial Light And Magic (fondata da George Lucas).
Tutti gli animali di Pandora hanno una pelle di tipo anfibio e delle branchie simili tra di loro, gli umani non sono in grado di respirare sul pianeta proprio perché non le possiedono. L’ispirazione principale erano le rane per veleno da frecce che possiedono esattamente quella qualità di pelle e quel tipo di colori accesi. Tutti su Pandora hanno una sembianza anfibia, anche gli uccelli. Nel primo film si vede poi come uccelli molto grandi, i banshees, siano in grado di volare senza piume, trasportando esseri molto pesanti come i Na’Vi. Questa è un’altra possibilità che viene dalla decisione di lavorare su un pianeta con la gravità inferiore alla nostra.
I banshees sono stati disegnati in ogni aspetto, così da poter funzionare. Sono stati creati per avere un loro modo di atterrare e decollare, per volare e apparire coerenti, un lavoro da ingegneri che ha coinvolto ingegneri insieme ai designer. Per fare in modo che i banshees potessero sembrare credibili e poter trasportare dei Na’Vi è stato necessario concepire anch’essi al contrario, cioè partendo da quello che dovevano poter fare e procedere a ritroso concependo cosa fosse necessario. Un processo non diverso da quello tramite il quale si disegnano gli aerei. Principi di design industriale applicati alle creature viventi.
È anche per questo che molte delle specifiche uniche dei Na’Vi somigliano a strumenti di interfaccia tecnologica. Ad esempio la coda che si aggancia alla coda degli altri animali tramite un sistema di filamenti animati che si intrecciano come cavi elettrici sembra a tutti gli effetti una presa maschio/maschio ad intreccio. E la cosa è tanto più vera se si pensa che quello che accade una volta unite le code è uno scambio di informazioni.
Lo stesso si può dire per la bioluminescenza, che è un principio biologico in virtù del quale diverse creature del pianeta Pandora sono dotate di una forma di luminosità naturale. Nel film la bioluminescenza illumina intere scene ed è molto utile per dare un look unico sia agli ambienti che poi a scene di toni particolari. Il cinema è illuminazione per molti versi, specialmente quando si tratta di infondere certe sensazioni nelle scene. La bioluminescenza crea luci colorate particolari (colori fluo tra il blu e il fucsia principalmente) e tutte provenienti dalle creature stesse. Come nell’architettura d’interni la creazione di punti di luce nascosti o lì dove solitamente non siamo abituati a pensare esistano è funzionale al “disegno” di ambienti che appaiono diversi dagli altri.
Dunque ogni animale e pianta su Pandora emette luce e può smettere di farlo o abbassare la propria luminosità a piacere per non essere notato dai predatori. Ci sono muschi bioluminescenti che producono una luce solo quando toccati e ci sono piante che possono emettere colori differenti. Ovviamente la luminosità come il resto ha un senso narrativo, e da lì viene, ma per essere possibile ci si è dovuti ispirare ad organismi davvero esistenti nel nostro mondo come la dinoflagellata, un’alga microscopica dotata di una sua forma di bioluminescenza attivata dall’agitazione, un bagliore che si affievolisce quando cala la forza motrice che l’ha attivato.
Unendo vere caratteristiche di veri organismi con il design e le esigenze narrative si crea quella che gli americani chiamano “consistency”, cioè una forma di coerenza che attraversa il design (anche sound design), il comportamento, l’origine e la natura delle creature. Tutti particolari che lo spettatore non conosce ma che creano le fondamenta di un mondo che proprio per questa percezione di consistency suona vero.
- Immagine di apertura:
- Screenshot dal teaser trailer ufficiale. Avatar: The Way of Water.