Abbiamo conosciuto il lavoro di Conrad Willems durante la 26ma edizione della Biennale Interieur di Kortrijk (ottobre 2018), quando le sue opere sono state scelte per creare uno dei cinque Landmark – una serie di installazioni realizzate in collaborazione con artisti emergenti – che arricchivano l’allestimento della celebre manifestazione di design belga.
Le grandi sculture/architetture in pietra di Willems sono realizzate a partire da dettagliati disegni tecnici in china bianca su carta nera. Possenti e dalla geometria precisa, le strutture ricordano antiche chiese gotiche o inespugnabili fortezze medievali. Allo stesso tempo, i grandi blocchi di cui sono costituite rievocano memorie d’infanzia, riportando gli osservatori – quelli della generazione pre-internet – ai lunghi pomeriggi passati a giocare con i mattoncini Lego. Siamo andati a trovarlo nel suo studio a Ghent, nelle Fiandre.
Lo incontriamo davanti a un alto edificio anni ‘20 in mattoni rossi – “un’ex scuola”, ci dice – affacciato su uno dei tranquilli canali che scorrono nel centro della città. Attraversando il grande portone di legno bianco si entra in un fabbricato, dove “hanno sede gli studi di diversi artisti che qui hanno trovato spazi ampi e affitti ridotti”. Mentre ci fa strada verso il suo atelier situato al secondo piano dell’edificio, Willems ci spiega cosa l’abbia spinto a mettere radici a Ghent. “Sono nato a Ostenda, sul mare, e mi sono spostato qui per seguire gli studi in Belle Arti presso la LUCA School of Arts (Willems ha un master in scultura, ndr.). Durante i miei anni all’accademia mi sono innamorato di questa piccola ma culturalmente dinamica cittadina che dista appena quaranta minuti da Bruxelles e di cui apprezzo lo stile di vita rilassato. Inoltre a Ghent l’acqua è sempre presente: la città è ricca di canali e questo mi permette di coltivare un mio grande hobby, il canottaggio, che pratico ogni settimana con alcuni amici del club locale.”
Lo studio è un’unica stanza ampia e dai soffitti altissimi che si affaccia sul canale tramite una grande finestra a bovindo. Ordinato e arredato con gusto, complice anche la parlata tranquilla e riflessiva di Willems, lo spazio colpisce per l’atmosfera serena e intrisa di concentrazione; più che all’atelier di uno scultore – che nell’immaginario comune corrisponde a un ambiente caotico, ingombro e polveroso – lo studio assomiglia a un ibrido tra una silenziosa biblioteca nordeuropea e un accogliente loft newyorkese. “Sono molto ordinato”, ammette Willems, mentre toglie dal loro imballo protettivo alcuni dei disegni che ha esposto a Kortrijk l’anno scorso.
La formazione postgraduate in Conservazione d’Arte Moderna e Contemporanea presso la Royal Academy of Fine Arts di Ghent ha senz’altro avuto un effetto sul suo linguaggio artistico. Se infatti, da un lato, gli ha fornito le competenze tecniche per gestire il trasporto e la conservazione di opere d’arte – attività che porta avanti tuttora, dando corsi e facendo consulenze a privati e istituzioni –, dall’altro sembra essere diventato anche un elemento caratterizzante della sua produzione.
Dalla serie dei quadri Compositions – in cui riproduzioni in cemento dei blocchetti da costruzione che usava quando era bambino sono precisamente organizzate all’interno di spesse cornici di legno – al trittico Allayment, costituito da tre telai rettangolari in metallo di più di due metri di altezza dentro cui Willems ha impilato 1.296 frammenti di mattoni, fino alle performance nello spazio pubblico, Incision I e Incision III durante le quali ha creato sculture effimere tagliando e ricomponendo zolle di terra ed erba, i suoi lavori manifestano una particolare propensione all’organizzazione e all’archiviazione. E non mancano di ricordarcelo anche le casse rinforzate – accuratamente assemblate ed etichettate e ben impilate contro un muro – da cui, in occasione di performance site-specific, estrae i blocchi con cui costruisce le sue iconiche opere.
Appesi alle pareti e disposte su podi di varie dimensioni, disegni e sculture raccontano anche l’interesse di Willems per la materia e i giochi di scala. “L’idea è che ogni pezzo abbia il proprio disegno costruttivo e la propria pietra; ci sono così tanti tipi di pietre che sarebbe un peccato limitarsi a uno solo”, sottolinea, mentre ci mostra un’opera della serie Construction. “Di solito inizio con il costruire un modello usando piccoli blocchi di legno, senza sapere dove questo mi porterà; quindi procedo con il disegno, che mi permette di sintetizzare e razionalizzare la struttura; infine, faccio produrre gli elementi in pietra da un’azienda specializzata che mi garantisce la precisione di cui ho bisogno”, ci spiega. La realizzazione delle sculture non sarebbe possibile senza quest’ordinata preparazione. Come evidenzia Willems, “sarebbe difficile improvvisare e giocare con le pietre senza aver prima eseguito il disegno; alcuni dei pezzi che realizzo sono molto pesanti: il più grande di quelli esposti a Kortrijk, per esempio, pesa 1,8 tonnellate.”
Un aspetto peculiare del metodo costruttivo adottato da Willems è che non implica l’applicazione di colle o malte, ma si basa unicamente sulla forza di gravità. “È lo stesso approccio adoperato per la costruzione delle antiche cattedrali; già allora, infatti, era noto che le proporzioni di un modellino possono essere semplicemente scalate senza che l’edificio risultante perda le sue qualità strutturali. Per questo so che quando creo un piccolo prototipo in legno, potrei effettivamente riprodurlo grande quanto una cattedrale senza temere per la sua stabilità. La costruzione più alta che ho realizzato finora usando questi principi misurava nove metri d’altezza”, asserisce l’artista.
A intuire le molteplici potenzialità scenografiche delle sculture di Willems – che non sono passate inosservate nemmeno al di fuori del mondo dell’arte contemporanea – è stato il team dell’Opera di Ghent, che nella primavera del 2018 stava lavorando alla messa in scena di una versione per bambini – sia in termini di attori che di pubblico – del Macbeth di William Shakespeare. “La collaborazione è avvenuta grazie a una coincidenza”, ricorda Willems sorridendo, “l’equipe del teatro aveva già quest’idea di far interagire i bambini con dei blocchi giocattolo quando Koen Bollen, il drammaturgo, ha visto un’immagine delle mie Constructions su Instagram e ha deciso di visitare la mia mostra presso Atelier Jespers, a Bruxelles. Non avevo mai realizzato scenografie prima, ma Opera Flanders (che raggruppa l’Opera di Ghent, l’Opera di Anversa e il Balletto delle Fiandre, ndr.) ha creduto nel progetto e mi ha dato completa autonomia artistica. Assieme al team, abbiamo realizzato la più grande produzione per un pubblico non adulto che il teatro abbia mai messo in scena – è stata un’esperienza fantastica!”.
Alle competenze costruttive, Willems associa anche la grande sensibilità al rapporto tra corpo, movimento e spazio, una conoscenza maturata in gioventù grazie a una lunga formazione nell’ambito della danza. “Ho fatto balletto classico dai 6 ai 16 anni e tango argentino per 8 anni. È un tipo di allenamento che non lascia mai completamente il tuo corpo; lo sento ancora oggi nel modo in cui mi muovo quando costruisco o pratico il canottaggio”, afferma. Se questo aspetto è intuibile in gran parte delle sue opere – che spesso integrano un aspetto performativo più o meno manifesto – esso diventa particolarmente evidente nella scenografia che ha realizzato per il teatro. “Fin dall’inizio era chiaro che le strutture si sarebbero dovute prestare all’interazione con i bambini, sia in termini materici (gli elementi mobili sono stati fabbricati in schiuma espansa per resistere agli urti e garantirne la leggerezza, ndr.) che allestitivi. La sfida è quindi stata quella di dover pensare sia alla composizione nel suo insieme, che ai movimenti dei singoli blocchi durante la rappresentazione – come si sarebbero mossi sulla scena ma anche rispetto ai corpi degli attori”, evidenzia l’artista, mentre la nostra conversazione volge al termine.
Willems ci ha infatti invitati ad assistere a una delle rappresentazioni del Macbeth in programma per il pomeriggio ed è arrivato il momento di avviarci all’Opera House di Ghent, che dista pochi minuti a piedi dal suo atelier. Lì ci godiamo un’ora e mezza di spettacolo, canti e colpi di scena, inclusa una rapida escursione dietro le quinte a fine recita per osservare da vicino la scenografia. Giocosa e spettacolare, l’opera ci ha mostrato la capacità delle strutture di Willems di giocare con i cambi di scala e i movimenti, riuscendo a coinvolgere un pubblico eterogeneo. All’uscita dal teatro, mentre ci congediamo, non possiamo evitare di pensare a quanto debba sentirsi soddisfatto questo artista-costruttore che è riuscito a trasformare i piccoli blocchi tanto amati dai bambini in opere d’arte e scenografie funzionali cariche di poesia.