Prendiamo gli elementi ricorrenti delle sfilate di moda a cavallo degli anni Settanta, Novanta e degli anni Zero. Anni Settanta. Cristobal Balenciaga ha chiuso da poco la sua maison. Yves Saint Laurent domina. Per quanto il sistema moda tradizionale dell’haute-couture stia scricchiolando sotto la spinta del nascente prêt-à-porter il suo centro rimane Parigi. Una sfilata è innanzitutto un défilé. Le collezioni vengono presentate direttamente negli atelier, senza musica, né scenografia – a parte qualche caso eccezionale come Paco Rabanne. Osservano attente dalla prima fila, accomodate su sedie in stile Napoleone III, clienti storiche, qualche diva del cinema, giornaliste francesi, americane e anglosassoni. Ogni presentazione dura più di un’ora.
Dal defilé al fashion show: in un libro le scenografie di Alexandre de Betak
Trent’anni di attività di Bureau Betak che con poesia ha reinventato le regole della sfilata come la conosciamo oggi, rapida e spettacolare.
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- Rossella Locatelli
- 31 marzo 2018
Anni Novanta. Il calendario delle settimane della moda si divide tra Parigi, Milano, Londra, New York. A Parigi sono arrivati gli stilisti giapponesi. A Milano, oltre a nomi ormai affermati come Armani e Versace, fa capolino Miuccia Prada con la sua visione spiazzante di prêt-à-porter. Non si parla più di un monarca assoluto, i talenti si moltiplicano. Un giovane prodigio inglese è a capo della maison Dior. Il front row è sempre più vario e le direttrici di Vogue, soprattutto Anna Wintour e Franca Sozzani, cominciano a essere riconosciute e idolatrate da un pubblico sempre più ampio. Le modelle sono assurte allo status di divine. Le sfilate continuano a durare parecchio, ma del silenzio dell’atelier non c’è più traccia. È ufficialmente finita l’era del défilé ed è iniziata quella del fashion show. Due esempi su tutti: lo show haute-couture di Thierry Mugler del 1995 e l’epocale Diorient Express del 1998 di John Galliano.
Anni Zero. Polverizzato da una miriade di precollezioni, eventi speciali, cruise e capsule collection, il calendario certo del decennio precedente è scomparso. Da quando AMO/OMA progetta le passerelle di Prada, la ricerca del nome giusto capace di trasformare la passerella in un momento memorabile e degno d’Instagram è cruciale. Ogni show è brevissimo. Una parte del suo successo si misura nel riscontro nei social media i cui protagonisti – periodicamente amati e snobbati dall’editoria di settore – invadono le prime file.
Rispetto a questi ultimi due scenari, Alexandre de Betak è il producer che ha inventato le regole del fashion show rapido e spettacolare come lo conosciamo oggi. Trent’anni di attività – Bureau Betak apre a Parigi nel 1990 – raccontati nella monografia edita da Phaidon Fashion Show Revolution attraverso quattro categorie – in situ, the set, light, performance – che comunicano perfettamente l’approccio cinematografico del fondatore.
La parola rivoluzione non è eccessiva. La sfilata si sta trasformando in maniera irreversibile. Al di là dell’indiscutibile bravura di Betak nel trasformare in indimenticabile un setting effimero, il libro permette d’inquadrare i temi toccati da questo cambiamento. Bureau Betak progetta tra gli 80 e 100 show all’anno. La ripetizione non può esistere nell’attuale calendario, sempre più frenetico. Nel contempo sta crescendo l’interesse intorno agli archivi delle maison. Mai come oggi disegnare il catwalk per Dior o Saint Laurent significa confrontarsi con la loro storia senza tradire la visione del direttore artistico del momento. Quest’ultimo può essere sostituito con estrema rapidità. Il mercato globale si annoia velocemente, questo vale per i maestri come per gli emergenti. La continuità di Karl Lagerfled da Chanel e Fendi è un caso unico. Betak non si è adattato a tutto questo, ha fatto molto di più: l’ha anticipato.
Sulla velocità comunicativa e sulla riconoscibilità del brand o del creatore ha basato il suo approccio fin dagli esordi. Dai setting minimal per Helmut Lang che hanno segnato l’immaginario degli anni Novanta alle strabilianti passerelle di Dior degli ultimi tre direttori artistici Galliano, Simons e Chiuri.
Dallo sfondo hi-tech per le performance di Hussein Chalayan all’accostamento geniale di neon e covoni di fieno per le passerelle di Rodarte, in un rimando a Star Wars, Dan Flavin e le praterie americane. Sempre per Rodarte, nel 2009, nella galleria Gagosian, Betak decise di demolire alcune pareti, le modelle avrebbero sfilato sui detriti. Quando lo scoprì, Larry Gagosian rimase impietrito, ma alla fine il risultato fu così straordinario e a suo modo impeccabile che diede la sua benedizione.
Sfogliando questo volume, prezioso per il repertorio d’immagini e disegni, non è fuori luogo parlare anche di poesia. Chi dimenticherà mai la maestosa collina di delphinium blu allestita nella corte del Louvre per l’ultima collezione Dior di Raf Simons? Un’immagine potente di bellezza e fragilità che amplificò la commozione per quell’addio.
- Betak: Fashion Show Revolution
- Alexandre de Betak, Sally Singer
- Phaidon
- 292
- 89.95 $
- 2017