Paki Meduri ha 45 anni ed è l’architetto scenografo della serie Gomorra, prodotta in Italia e tradotta ed esportata in 190 Paesi. Lo scenografo salernitano si è inventato una stile, avendo come modello uno degli artisti più puliti ed eleganti del realismo contemporaneo: Balthus. Qual è il suo segreto? Imparare dal modello e diventare modello per il modello.
Come hai fatto a diventare scenografo?
Per caso. Nel ’94-’95 un amico mi chiese di realizzare la scenografia di un suo spettacolo di teatro. Io la realizzai in modo assurdo ed estremo, pensavo che non sarebbe mai stato il mio lavoro e che avrei potuto spingermi oltre i canoni. E invece la scenografia piacque molto e altri registi mi chiamarono per progettare le scenografie. Una disciplina che unisce i miei amori: le arti visive, l’architettura, il cinema e il teatro. Trovai la mia strada.
Gomorra viene percepita all’estero come una serie che mostra un certo tipo di italianità. Non di rado ci sono ambienti pacchiani, forti (senza offesa).
La creazione di questo stile nasce da una mia reazione, da un orrore che ho avuto vedendo alcune cose a Napoli.
Cosa hai visto che ti ha ispirato?
Sono partito dalla realtà. Ho visto il documentario degli arresti dei boss, le case che sono sotto sequestro. Ho visto le case delle persone normali che scimmiottavano quelle dei boss. Ho preso quel materiale e l’ho mescolato con qualcosa che avesse più appeal, come le ville dei ricchi sceicchi a Dubai, dei magnati russi. Ci ho buttato dentro la religione cattolica, imperante a Napoli. Esagerando, spingendo sull’acceleratore. È agghiacciante, aberrante, io per primo ho avuto delle remore.
Lo stile Gomorra? Nasce (anche) da Balthus
L’intervista a Paki Meduri, lo scenografo della serie tv italiana esportata in 190 Paesi e tratta dal romanzo di Roberto Saviano.
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- Olga Mascolo
- 06 dicembre 2017
- Napoli
Ma non hai mai pensato che questo lavoro ti caratterizzasse al punto che chiameranno sempre te se c’è bisogno di una scenografia pacchiana?
Ho avuto paura per un periodo: che mi chiamassero a fare le case dei boss… (scherza, ndr). Ho stuprato il mio senso estetico, e però alla fine mi sono innamorato di quel mondo. Addirittura c’è stato il processo inverso: gli altri hanno tratto ispirazione da me, ma mi hanno anche superato. E io ho dovuto fare meglio di loro nella seconda serie.
Sei in gara con l’originale, vi ispirate l’uno con l’altro
Io che guardo la verità, la verità guarda me, ecc.
Bellissimo. Sarà vero che hai stuprato il tuo senso estetico, ma hai anche rispettato il committente.
Sicuramente sì. Dovevo dare voce a dei personaggi che vivono in quartieri totalmente degradati. La mia idea di base è stata quella di lasciare l’esterno sporco e distrutto, mentre gli interni sono totalmente ricchi: con stucchi dorati, poltrone damascate, arte da parati scintillanti, brillantini sulle pareti. Funziona il contrasto tra esterni e gli interni. Ho scelto l’asfissia: tra cementi e aberrazioni dei palazzi alti che ti chiudono la visuale. Dove vedi poco quello che è fuori. Poi nella mia testa questo tipo di architettura è diventata bellezza. Andavo a fare dei sopralluoghi osceni e dicevo: che meraviglia!
Ma secondo te a Napoli qual è il palazzo più meravigliosamente brutto?
Le Vele, c’è poco da fare. È una risposta scontata ma è un’opera meravigliosa, con l’intento alto ma poi con una realizzazione sbagliata. E con modo di viverle totalmente sbagliate. Sei dentro la pancia degli edifici, senti un rumore…
Quindi l’architettura è anche una esperienza uditiva, oltre che visiva?
Sì, spesso mi sono trovato di notte a passeggiare nei luoghi delle scenografie. Mi sono visto nel buio di quegli androni, come di quei corridoio. Mi impressionava il rumore. Li ricordo con nostalgia.
Se dovessi pensare ai tuoi set e alle tue ambientazioni come un quadro di artista, chi sarebbe quello che ti ha più ispirato.
Alberto Donghi... e Balthus mi ha ispirato nella mia carriera interamente.
Ma è un realismo pulito, composto.
Io sono uno che cerca sempre di togliere.
Hai un tuo cameo?
Sì. Dissacrante. In forma di statua, disegno o dipinto metto ovunque Padre Pio. In quasi tutte le scene nella seconda serie.
Al collo ce l’hai?
No quello no. Ma in Gomorra l’ho messo ovunque coi neon, con i brillantini. Una sorta di protettore.
E pensi che si guadagni di più come scenografo o architetto?
Mediamente di più come scenografo. La media di architetti non guadagna tanto in Italia. Anche perché in Italia non si costruisce: difficile che ti facciano costruire un albergo ex novo. Con lo scenografo sei totalmente libero.
L'intervista è stata realizzata in occasione di uno dei tre incontri "Making History. Gomorra dietro le quinte", tre masterclass sulle professioni creative organizzati dalla Fondazione Feltrinelli in collaborazione con Sky. Uno di questi era sul mestiere dello scenografo, e si è tenuta il 30 novembre 2017 nella sede di via Pasubio a Milano.