“Le tecnologie diventeranno quasi completamente invisibili: lo strato d’immagini potrà essere ovunque, lo spazio stesso diventerà un mezzo di comunicazione” – spiega l’autore – “Per progettare tali spazi saranno utili competenze di game design o di regia cinematografica. Chi realizza un videogioco ha in mente innanzitutto il proprio utente, e come quegli ambienti e quelle immagini saranno percepiti da chi giocherà. Credo che anche in architettura si dovrebbe arrivare a pensare di più in questi termini”.
Sono in molti a lavorare sugli aspetti tecnici e a chiedersi come realizzare i sistemi più avanzati. Ma pochi si chiedono perché lo stiamo facendo e che conseguenze questo avrà sulla vita reale della gente. “Non ho le risposte, ma credo di essere arrivato al punto in cui sono in grado di porre le domande giuste”, sostiene Matsuda. “Se non è questo lo scenario che vogliamo, occorre fare qualcosa. Non basta stare fermi ad aspettare che esca il prossimo smartphone”. Anche perché la vita della protagonista di Hyper-reality è tutt’altro che una prospettiva desiderabile.