In costante cambiamento per motivi storici, socioculturali e politici, in un momento in cui la globalizzazione sta appiattendo le diversità, forse quello che rende speciale una città come Beirut è il suo carattere frammentario carico di grande potenziale.
Beirut Design Week 2014
La settimana del design della capitale libanese propone, anno dopo anno, un livello altissimo di progettualità applicata: sia in merito al prodotto sia al background che lo vede nascere.
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- Maria Cristina Didero
- 10 luglio 2014
- Beirut
Aggredita dalla guerra per anni, la cosiddetta Parigi del Medioriente sta guadagnando un posto di rispetto all’interno del panorama creativo dell’area. Considerata la sua recente vitalità, non poteva mancare una Beirut Design Week, organizzata dalla no-profit MENA DESIGN RESEARCH CENTER con il patrocinio del Ministro del Turismo Michel Pharaon, e arrivata alla terza edizione grazie alle energie delle direttrici Maya Karanouh e Doreen Toutikian, capaci di coinvolgere oltre 90 designers nazionali.
Ma dal 9 al 15 giugno nella capitale libanese non si è celebrata solo la riconosciuta creatività locale, con regine consacrate a livello internazionale quali Bokja (Huda Baroudi e Maria Hibri pensano positivo e presentano un albero della felicità, The Tree of Love) e Nada Debs (straordinaria la performance #craftcool sull’artigianato, con 7 artigiani al lavoro, tutti vestiti di bianco), che propongono, anno dopo anno, un livello altissimo di progettualità applicata sia in merito al prodotto sia al background che lo vede nascere. Oltre alla mostra Newcomers al Saifi Village – colorata rassegna di fashion designer del paese – in mostra al Souk anche due delegazioni europee, la Danimarca con un progetto dedicato all’architettura contemporanea (“Contemporary Danish Architecture”) e l’Olanda con un panoramica sul suo miglior design del momento (“Dutch Design Exhibition”).
In un paese dove la gente, il clima e il cibo incantano, all’interno dello spazio maestoso del ristorante Central, egregiamente ri-disegnato all’inizio di quest’anno dallo studio di architetti associati MARIAGROUP (Michèle Chaya e Georges Maria) dopo un primo intervento di Bernard Khoury del 2001 – e dove sembra di essere in una delle metropoli più edgy del momento – va in scena Design Meets Food, progetto dedicato a libere interpretazione degli alimenti primari – nel caso in cui la cioccolata e l’oro, per motivi diversi, si ritengano tali come accade per l’installazione del duo David/Nicolas che ricopre di oro una selezione dei biscotti più famosi a livello internazionale. Il talentuoso Carlo Massoud presenta una ziggurat di pane in cassetta – attenzione a scegliere la fetta che si vuole mangiare per non far crollare l’installazione – da gustare con olive e formaggio.
Mazen Fayad va dritto al cuore dei carnivori più accaniti appendendo un agnello a testa in giù con un rubinetto in pancia da cui esce vino rosso mentre poco più in là si è invitati da Karim Chaya a gustare del manzo, del maiale e degli uccellini (sì, si mangia tutto in un boccone, anche becco e ossa) dopo aver indossato un paio di cuffie che riproduce il verso degli animali cucinati – il Libano è un paese dai sapori forti. Il negozio della designer Karen Chekerdjian, formata all’estero, conferma la natura internazionale del paese che si lascia alle spalle una traumatica diaspora e ha visto ritornare nella terra natale le sue teste migliori, dedicate alla crescita culturale e creativa della propria città. I giovani dotati sono diversi: Mary Lynn Massoud studia alla Manufacture de Sevres, alla Saint Martins di Londra e poi in Italia e con la partner Racha Nawam, con esperienze negli USA, creano totem di ceramica anche utilizzando la tecnica giapponese del raku.
La galleria Squad Design lancia, in collaborazione con il designer messicano Francisco Torres, il contest 10 100 1000 per giovani designer mentre il poliedrico Ghassan Salameh, grafico e designer, anche per lui una laurea alla Notre Dame University di Beirut e specializzazione all’estero, presenta Magma, una collezione di lampade in vetro opacizzato con incastonata una struttura di metallo che richiama le tradizionali geometrie orientali (sadaf furniture) con il risultato di sembrare un giardino di rose luminose; e come le rose, sono infatti una diversa dall’altra grazie all’imprevedibilità della fusione dei due materiali. A Badaro, uno dei quartieri più bohèmien del momento, visitiamo lo studio Saa dell’architetto Sophie Skaf all’interno di un meraviglioso edificio di Jeanne Royère della metà del secolo scorso, da sempre appartenuto alla sua famiglia e oggi in via di ristrutturazione; la Skaf ha pubblicato un libro sui vivaci pattern tipici delle piastrelle da rivestimento dal titolo 20x20 frutto di anni di ricerca tra Tunisi, Parigi, Barcellona e Beirut.
Merita una visita lo studio theOtherDada del giovane talento Adib Dada all’interno del Sabbagh Building, uno degli edifici storici della città sopravvissuti ai bombardamenti, oggi totalmente ristrutturato con maestria e tatto. Dada, perfezionista del progetto architettonico, con diverse commissioni in essere sia in Libano che in Arabia Saudita, approccia l’architettura includendo una serie di studi scientifici sulla biodiversità urbana, ossia approfondimenti su flora e fauna, smart mobility e smart energy. La presenza italiana è nel quartiere di Hamra con la brillante Carwan Gallery guidata da Nicolas Bellavance-Lecompte e Pascal Wakim, dove Vincenzo De Cotiis mostra una selezione dei suoi arredi pensati per Progetto Domestico, collezione che l’architetto e designer con base a Milano porta avanti da anni. Non lontano la galleria di modernariato di Karim Bekdache e il laboratorio PSLab sono altre due destinazioni da non perdere per gli appassionati di settore.
Filo conduttore dell’attuale creatività libanese: la produzione a chilometri zero dei pezzi, data la grande maestria dell’artigianato locale e la volontà di implementare e rafforzare l’industria del Paese. Con proiezioni di film e dibattiti (affollato quello dell’artista Mona Hatoum con la giornalista di moda Hilary Alexander, la designer Caroline Simonelli e l’esperta di communication design Esen Carol), la Beirut Design Week ci ha portato a visitare l’intera città, dal cuore di downtown alle zone di Ashrafieh, Gemmayze, Sursock, Karantina, Mar Mikhael; una Beirut che, tra rovine di cinema sventrati ed edifici dal passato memorabile ancora da ristrutturare (un esempio su tutti è l’Hotel Saint Georges amato da Brigitte Bardot) ha già visto l’intervento di archistar quali Steven Holl e Herzog & de Meuron (il primo con la marina di downtown, gli svizzeri con Beirut Terraces) alle prese con progetti che affiancano l’affascinante architettura del secolo scorso di cui, al momento, solo pochi si occupano di recuperare.
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9 – 15 giugno 2014
Beirut Design Week 2014
varie sedi, Beirut