Questo articolo è stato pubblicato su Domus 969, maggio 2013
Qualche mese fa, intrappolata in una fila particolarmente lunga nell’area partenze del Logan International Airport di Boston, ho notato che davanti a me parecchie persone estraevano la macchina fotografica e, ridendo, la puntavano verso qualcosa che non riuscivo a vedere. Non appena il serpentone è lentamente risalito fino al punto in questione, mi sono trovata faccia a faccia con una brunetta in divisa che, in piedi su una piattaforma, mi spiegava come preparare il mio computer e altri oggetti per il controllo di sicurezza. Ancora qualche passo, e mi è stato possibile osservare i reali tratti dei suoi contorni: la donna era bidimensionale, la proiezione di un corpo umano su una lastra di vetro perfettamente piatta.
L’assistente olografica del mio incontro si chiama Carla ed è prodotta dalla Tensator®, azienda di “soluzioni per il controllo e la gestione delle code”. Installata nel giugno dello scorso anno, secondo una pubblicazione del settore aeronautico costa all’aeroporto solamente 26.000 dollari. L’avatar funziona 24 ore al giorno, è portatile e può essere perciò spostato in altre aree del terminal.
Carla ha un fare calmo e gentile, occhi grandi e un sorriso luminoso. La sua risoluzione è così elevata che la si può scambiare per una persona in carne e ossa persino a distanza ravvicinata. Ti saluta tenendo le mani educatamente incrociate, dopo di che si lancia in un esercizio di prestidigitazione: come per magia, una busta di plastica trasparente di medie dimensioni, piena di prodotti cosmetici, fluttua tra le sue dita affusolate. “Ora che le vostre confezioni di liquidi sono pronte, lasciate che vi prepari per il controllo di sicurezza”, dice. Con un sorriso ancora più splendente, in un batter d’occhio eccola improvvisamente senza giacca a istruirti su come porre ordinatamente la tua dentro a un vassoio. Il suo annuncio dura circa quattro minuti e viene immediatamente ripetuto in spagnolo. Ho seguito due volte il messaggio dall’inizio alla fine, distogliendo lo sguardo solo quando ho dovuto spostarmi in avanti verso lo scanner del controllo.
Non è certo un caso se in uno degli episodi più memorabili e agghiaccianti della saga di The Twilight Zone comparivano alcuni manichini che si animavano di notte. È lo stesso motivo per cui i robot causano repulsione quando assumono forme sempre più vicine a quelle umane. Tuttavia, le nostre reazioni verso i personaggi della “Valle perturbante” non sono le stesse che abbiamo nei confronti di riproduzioni fotografiche di persone reali. Quasi nessuno di noi, infatti, prova avversione per le sagome di cartone a grandezza naturale di impiegati sorridenti che talvolta ci accolgono nelle banche, nelle farmacie e negli uffici postali. Annunciatrici olografiche come Carla sembrano rappresentare una via di mezzo tra queste due riproduzioni della realtà: per quanto non sia un’abitante della “Valle perturbante”, per il momento la sua presenza tra i vivi appare decisamente misteriosa.
Troverete annunciatrici olografiche, o airport virtual assistant, dello stesso tipo a Dubai, Washington Dulles, Macao, Istanbul Ataturk, Long Beach e in varie altre località. AirportOne™, azienda concorrente della Tensator® con base in Florida, l’estate scorsa ha posizionato numerosi modelli negli aeroporti di New York e New Jersey, ma considera ancora i suoi prodotti come dei prototipi. Il prossimo passo sarà installare degli assistenti virtuali ancora più interattivi, capaci magari di rispondere a semplici domande dei viaggiatori su argomenti come gli orari dei voli, il numero del cancello d’imbarco o la localizzazione degli sportelli per il noleggio dell’auto. Il loro programma è offrire modelli con un’interfaccia touch screen più prossima all’avatar che alla tecnologia vocale in stile Siri. Il riconoscimento vocale, per quanto disponibile nelle versioni più costose (circa 100.000 dollari), non è particolarmente indicato per gli aeroporti, a causa delle probabili interferenze causate dal rumore di fondo. Ma la AirportOne™ ritiene che sarà possibile introdurlo già l’anno prossimo.
La AirportOne™ sta testando un’annunciatrice olografica che utilizza un’applicazione text-to-speech
Ho incontrato Patrick Bienvenu, Chief Operations Officer di AirportOne™. A suo dire, “quando hai veramente un messaggio e vuoi trasmetterlo chiaramente, l’avatar è un’ottima soluzione per ottenere l’attenzione della gente”. “Abbiamo avuto alcuni casi di persone che considerano la nostra idea un po’ eccentrica”, ha aggiunto, “tuttavia il messaggio passa”. Secondo le stime di Bienvenu, in un periodo che oscilla tra i cinque e i dieci anni gli avatar diventeranno una presenza familiare, anche perché nel frattempo avranno tecnologie più avanzate e funzioni molto più estese.
Mi sono chiesta chi siano le persone utilizzate nelle proiezioni, e come si sentano a essere usate in questa maniera “un po’ eccentrica”. L’azienda americana ha impiegato attori e attrici professionali—“perché le espressioni facciali sono tutto”—, ma preferisce non rivelarne i nomi. I loro alter ego olografici potrebbero vivere per un bel po’ di tempo, dato che cambiare le registrazioni con versioni aggiornate è costoso e tecnicamente complesso: “Riavere la modella nella stessa posizione, con lo stesso taglio di capelli, lo stesso peso e tutto il resto è molto difficile”, sottolinea Bienvenu, spiegando inoltre come annunciatrici olografiche dal costo più contenuto tendano a presentare un bordo nero intorno alla sagoma per consentire di usare forme e proiezioni diverse. Ma quel bordo sacrifica “un sacco di realismo. Per farle apparire sufficientemente credibili abbiamo tagliato le sagome in modo molto preciso, tanto che intorno al perimetro non si vede niente”, specifica Bienvenu.
Il realismo è la cosa più importante. La AirportOne™ sta testando un’annunciatrice olografica che utilizza un’applicazione text-to-speech. Usando un’immagine fotografica anziché una registrazione video, l’aspetto passa da realistico ad animato. Tuttavia, anche se questa versione ha un costo praticamente pari alla precedente, e i suoi messaggi possono essere aggiornati e personalizzati in tempo reale, la richiesta pare essere molto inferiore. Bienvenu ritiene che gli avatar dotati di tecnologia text-to-speech possano avere caratteristiche migliori su dimensioni inferiori alla grandezza naturale su scala umana: questo, perché anche l’animazione compromette già la somiglianza autentica con una persona reale.
All’inizio del 2011, i modelli Jim e Julie hanno debuttato a Manchester, che, assieme a Luton, è stato il primo aeroporto a installare annunciatrici olografiche. La società britannica Musion ha creato gli ologrammi partendo dalle immagini di due autentici membri del servizio clienti, John Walsh e Julie Capper, e la stampa ha riportato numerosi casi di passeggeri che hanno confuso la Capper reale, che operava in un’altra sezione del terminal, con la versione a due dimensioni. Inoltre, alcuni membri dello staff dell’aeroporto hanno dichiarato di aver visto dei passeggeri che tentavano di presentare i documenti alla Julie olografica. Commentando il lancio del prodotto, il cofondatore dell’azienda inglese, James Rock, ha detto: “Abbiamo sviluppato questa tecnologia in anni di lavoro e ci piacerebbe assistere alla sua diffusione per impieghi pratici come quello dell’assistente virtuale”.
La Musion è più nota per lavori di natura meno utilitaristica, come far rivivere cantanti famosi dopo il decesso. Il progetto più celebre è stata la resurrezione digitale di Tupac Shakur al Coachella festival dello scorso anno, ma l’azienda ha simulato anche la ricomparsa di Frank Sinatra in occasione del cinquantesimo compleanno di Simon Cowell. Quando i Gorillaz si sono esibiti per la consegna del Grammy 2006, Damon Albarn e gli altri musicisti hanno suonato dietro il palco, mentre la tecnologia Eyeliner della Musion ha animato i personaggi a fumetti di Jamie Hewlett. Per una sfilata di Burberry a Shanghai, Musion ha mescolato ologrammi con modelle in carne e ossa. Le proiezioni camminavano una attraverso l’altra o si bloccavano all’improvviso, prima di scomparire in una nube di neve e fumo.
Nel materiale promozionale del suo sito, la Musion usa il termine ‘resurrezione’, così carico di significati, senza alcuna remora. Anzi, sottolinea come “molti artisti spesso aumentino in popolarità dopo la loro scomparsa, perciò per gli eredi il potenziale commerciale è enorme. Tuttavia, è ancora più importante condividere i grandi artisti con i fan che non si aspettavano più di poter vedere ancora in azione i loro idoli”. Immediatamente dopo l’ologramma di Tupac, hanno incominciato a girare illazioni su chi poteva essere il prossimo artista a resuscitare: Jim Morrison? Kurt Cobain? Jimi Hendrix? E pare che i membri superstiti delle tlc stiano rimuginando sulla possibilità di un ologramma di Lisa “Left Eye” Lopes per un reunion tour.
Mentre l’etica che soggiace alla produzione di ologrammi di celebrità scomparse può apparire discutibile (nelle parole della parodia di un account Twitter chiamato Aalyah’s Ghost, “i migliori duetti, secondo me, sono quelli in cui entrambi gli artisti sono vivi e d’accordo di lavorare assieme”), i permessi e i dinieghi sui diritti d’autore da parte di vari eredi, in aggiunta agli alti costi di produzione, hanno impedito finora che le ‘resurrezioni’ diventino una tendenza più diffusa. È difficile immaginare che l’ologramma di Tupac sia utilizzato per altre finalità senza il permesso della madre, Afeni Shakur. Il fondo Marylin Monroe, d’altro canto, ha contestato il programma per un concerto “Virtual Marylin”, organizzato dalla Digicon Media, partner della Musion.
Per la cerimonia di chiusura, le Olimpiadi di Londra hanno tagliato sui costi, riportando in vita Freddie Mercury per un duetto con Jessie J, ma lanciando la sua immagine su un grande schermo piatto, invece di utilizzare un ologramma del suo corpo.
Come molti hanno fatto osservare dopo la performance al Coachella, il termine ‘ologramma’ non è forse il migliore per descrivere quello che è accaduto sul palco. La proiezione era infatti una versione aggiornata del trucco del fantasma di Pepper, sulla falsariga di quelli che si possono vedere nella Casa degli spettri a Walt Disney World®: l’Eyeliner di Musion incomincia con una proiezione dall’alto su una superficie a specchio, che è a sua volta riflessa su una pellicola trasparente, inclinata in avanti verso l’esterno del palco, in modo da essere invisibile al pubblico. Neanche gli assistenti virtuali degli aeroporti sono dei veri e propri ologrammi, ma effetti meno complicati, proiezioni sul retro di una lastra di vetro.
La comparsa dell’assistente virtuale in aeroporto risulta, tuttavia, più destabilizzante di un Tupac che resuscita dai morti in forma di raggio luminoso: perché, piuttosto che creazione scenica, è un oggetto che sta dritto davanti a noi, che occupa uno spazio per nulla diverso da quello di un essere umano. È facile capire perché gli aeroporti preferiscano queste imitazioni dell’umano piuttosto che proiettare semplicemente dei normali video su un qualsiasi schermo bianco: l’allegra energia degli ologrammi ha qualcosa di contagioso, tanto che siamo tentati di sorridere a nostra volta alla macchina. La novità è in grado di calamitare il nostro sguardo: poco tempo fa mi sono imbattuta in un altro ologramma nell’aeroporto di Atene, e ho visto un bambino corrergli incontro e allungarsi per toccarlo.
L’ologramma si presenta sotto le sembianze di singolo individuo—senza un gemello in carne e ossa, o in forma di duplicato del prodotto. Se non ci fossero implicazioni, tutte le grandi città potrebbero installare ologrammi di Mick Jagger nei loro stadi. Ma questi assistenti virtuali rappresentano persone reali, presumibilmente vive, congelate nel tempo. Mi sono chiesta ad Atene se il giovane che ha fatto da modello per quel prodotto abbia visto il suo sosia in azione. Col suo greco fluente, tutto fa pensare che si trovi nell’aeroporto della sua città. E per anni potrebbe trovarsi di fronte a questa versione realistica della sua gioventù. L’ologramma potrebbe persino sopravvivergli.
Se lo volessero, gli aeroporti potrebbero usare delle proiezioni di personaggi sullo stile dei Gorillaz, anziché di persone reali. Oppure gli ologrammi potrebbero dissolversi in una nuvola di fumo, come le modelle virtuali create da Musion per la sfilata di Burberry: al momento, l’unica bizzarria che questi prodotti introducono negli aeroporti sono i sottili illusionismi come quello che Carla produceva facendo apparire dal nulla le bustine di cosmetici. Un importante vantaggio di questa tecnologia è che offre un’opportunità unica per fare sembrare realistiche ai nostri occhi delle idee astratte o fantasiose. Ma pare che qui parte della libertà creativa sia sprecata.
Forse questi avatar non vogliono sfoggiare le loro abilità superumane, in aggiunta al loro più evidente vantaggio rispetto agli esseri viventi. Gli assistenti virtuali non si stancano e non si lamentano. Un ologramma non vi schiaffeggia, se provate ad abbracciarlo. E non ha bisogno di andare in bagno.
Un vantaggio di questa tecnologia è che offre un’opportunità unica per fare sembrare realistiche idee astratte
La brochure di AirportOne™ spiega che un avatar “lavora 24 ore, 7 giorni su 7, senza sosta! E non serve controllare il suo curriculum!”. La spesa per acquistare un ologramma è già scesa al livello dello stipendio annuo di un assistente. Così, la società sta cercando delle opportunità per espanderne l’uso oltre gli aeroporti, e mostra ologrammi per uno studio medico (un uomo in camice bianco con uno stetoscopio al collo), o per un museo, con una modella che indossa qualcosa di simile all’abito di una principessa egizia comprato in un grande magazzino. Riferisce, inoltre, un interesse per l’uso di simili modelli alle fiere.
Le annunciatrici olografiche potrebbero rappresentare un buon investimento anche per attività come i fast food, sul genere di Pret A Manger, recentemente al centro di polemiche per le severe norme di comportamento adottate col proprio personale. In alcuni rapporti stilati da funzionari della compagnia, si specifica che il personale deve arrivare a fine turno di buon umore, e che non s’intende assumere nessuno che abbia “idee troppo complesse” o che lavori “per soldi”. I sociologi definiscono “sforzo emotivo” questa parte dell’attività lavorativa: ossia l’espressione di viso e corpo nei confronti del cliente, spesso sottopagata dato che è difficile da monetizzare. Per quanto eluda la misura quantitativa, essa è nondimeno un importante fattore guida nelle transazioni. In un saggio su questo argomento per In These Times, la scrittrice Sarah Jaffe dibatte su come la politica della Pret A Manger giustifichi bassi salari sostenendo la falsa credenza che “il piacere di lavorare rappresenti già una ricompensa”. Non importa che a volte la cattiva attitudine di un dipendente sia un prezioso indicatore che rivela i problemi strutturali dell’ambiente di lavoro.
L’assunzione di personale da impiegare a diretto contatto con il pubblico basata su considerazioni circa l’aspetto dei candidati è carica d’implicazioni difficili da esprimere. Ma un’unica giornata trascorsa a filmare un attore o un’attrice professionali, vestiti e truccati per l’occasione, evita lo sfruttamento diretto dell’aspetto del dipendente. In un servizio sui viaggi, apparso sul sito della CNN, si discute persino se Londra o New York usino per gli ologrammi modelle più provocanti. Anche se Manchester ha filmato dei veri dipendenti, gli ologrammi più recenti somigliano piuttosto a individui locali particolarmente fotogenici. A Dubai, un assistente virtuale saluta i visitatori in dishdasha, agal e shemagh. Carla è etnicamente ambigua, una scelta appropriata per la popolazione multirazziale di Boston.
Ma l’effetto sorpresa riuscirà a durare nel tempo? Una maggior interattività non comprometterà l’autenticità di questi ologrammi? Naturalmente, i fabbricanti si augurano che noi guardiamo alle loro creazioni come a degli umanoidi piuttosto che come a dei giocattoli costosi. In quanto limitati a dei brevi messaggi preregistrati, questi prodotti attualmente evitano fallimenti della comunicazione con l’utente.
Per quanto realistiche possano apparire, queste proiezioni di attori e attrici in uniforme aeroportuale non generano empatia. Per parte mia, la provo casomai per gli esseri umani che spariscono nell’ombra degli ologrammi. Dove andranno a finire quei lavoratori se gli ologrammi li soppianteranno? Mi mancheranno i loro rimproveri e i loro sguardi irritati, reazioni appropriate nel teatrino della sicurezza: perché solo un ologramma può prendere sul serio le norme aeroportuali sui liquidi, e la richiesta di togliersi le scarpe. Joanne McNeil (@jomc) Saggista con base a New York