In via San Francesco di Sales, quella parte del rione Trastevere, alle pendici del colle del Gianicolo, che si estende lungo il Lungotevere Farnesina, c'è lo spazio espositivo della Fondazione Volume!. Uno spazio dove gli artisti, di volta in volta, sono chiamati a sviluppare un lavoro specifico. Non è una galleria d'arte ma – appunto – un luogo per l'arte contemporanea: un ambiente nudo, spoglio, con un carattere ormai estraneo alla sua condizione originale e, allo stesso tempo, volontariamente privo di un progetto.
In questo scenario s'inserisce il lavoro Colonne portanti di Michele De Lucchi e curato da Emilia Giorgi. L'architetto ferrarese è stato invitato a dare la sua interpretazione di questo spazio, ad abitare questo luogo, cogliendo l'occasione per riportare alla luce le tracce di una lunga storia, la memoria indelebile custodita con cura dagli spessi muri di roccia dell'ex-vetreria. Quella che era stata una bottega artigiana di quartiere diventa per De Lucchi un luogo in cui portare alla luce i segni del tempo.
De Lucchi quindi scopre piccoli spazi, nicchie, fori, e ne scava di nuovi dove necessario, e inserisce al loro interno delle colonne. Ognuno di questi piccoli luoghi diventa un mondo a se, uno spazio nuovamente da indagare, che merita una risposta specifica. Per ognuno di questi costruisce con le proprie mani delle colonne di legno.
Le piccole colonne sfuggono alla percezione del visitatore, sono poste nei luoghi più diversi, non appaiono immediatamente, non occupano mai lo spazio vuoto delle sale, ma si nascondono all'interno dello spessore dei muri. Entrando nella galleria la prima cosa che si percepisce, è proprio la forza schiacciante del vuoto. "Nicchie e colonne realizzano uno spazio, una piccola architettura pura e completa che non ha bisogno della dimensione per comunicare forza e ricchezza."
La ragione dell'oggetto
Invitato a dare la sua interpretazione dello spazio della Fondazione Volume!, Michele De Lucchi riporta alla luce le tracce di una lunga storia, la memoria indelebile custodita con cura dagli spessi muri di roccia dell'ex-vetreria.
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- Matteo Costanzo [www.2ap.it]
- 16 gennaio 2013
- Roma
Ogni colonna è in un rapporto diretto con lo spazio dello scavo in cui s'inserisce, con la sua grandezza, le sue proporzioni, la sua posizione, al punto che è impossibile immaginarli, colonna e spazio, slegati l'uno dall'altro. Ogni colonna è quindi inscindibile della nicchia in cui si andrà a inserire. Ed è questo forse l'aspetto più interessante dell'intero lavoro. Lo spazio è trasformato attraverso una serie di piccoli oggetti, attraverso una serie di colonne a prima vista uguali tra loro, che come lo stesso De Lucchi descrive nel testo del catalogo, ha realizzato: "[…] come oggetti, come bottiglie di Morandi, che pur essendo sempre le stesse, sempre quelle che abbiamo di fronte ogni giorno, appaiono ogni volta diverse."
Le colonne sono irregolari, alcune sono inclinate o presentano delle distorsioni, delle imprecisioni, a testimonianza del lavoro manuale. Sono formate da tanti piccoli pezzi di legno di noce assemblati per formare i singoli strati. Il differente diametro dei diversi dischi sovrapposti permette di definire, in maniera più o meno pronunciata, l'entasi delle colonne, aspetto fondamentale che, secondo De Lucchi, "le distingue da un banale cilindro o un pilastro, conferendole quel carattere di unicità così importante in un'epoca come la nostra". Questi oggetti, come piccole sculture, sono stati realizzati nel Chioso di Angera, prezioso nascondiglio, dove De Lucchi si rifugia per personali riflessioni a margine dell'attività di architetto e designer industriale.
Le piccole colonne sfuggono alla percezione del visitatore, sono poste nei luoghi più diversi, non appaiono immediatamente, non occupano mai lo spazio vuoto delle sale, ma si nascondono all'interno dello spessore dei muri.