Un concetto di design può quasi sempre avere più di una vita, e all’inizio degli anni ‘90 arrivava il caso dello scooter a confermare questo assunto. Nato nel secondo dopoguerra per invenzione, non era semplice evoluzione di mezzi precedenti, infatti aveva creato nell’immaginario collettivo un’immagine che non esisteva prima, quella della Vespa ricavata piegando ali d’aereo inutilizzate, e della Lambretta, capaci di circolare in città come di compiere dei – pur faticosi – viaggi. Ma dopo un periodo di penombra legato alla sbornia automobilistica di massa, col crescere della consapevolezza dei limiti imposti da ambienti urbani sempre più congestionati, eccolo tornare come alternativa all’auto – alternativa ecologica nella misura in cui il termine poteva essere concepito 4 decenni fa. Occupa meno spazio, circola più facilmente, e questa volta, come l’auto, può incarnare un panorama di diversi caratteri: sportività corsaiola, sicurezza, estetica, praticità. C’è di che creare un nuovo immaginario, con modelli come il Booster, il Free e la Sfera. Spoiler: ci riuscirà. E Domus ci portava in profondità dentro questo fenomeno nell’aprile 1995, sul numero 770.
Lo scooter negli anni ‘90: il design di un grande ritorno
Sfera, Booster, Free: nel 1995, Domus esplorava l’evoluzione di un pilastro della mobilità globale, da alternativa economica ad alternativa ecologica all’auto, specchio della vita urbana contemporanea e della flessibilità dei sistemi produttivi.
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- Paolo A. Tumminelli
- 13 settembre 2023
Scooter. Un progetto in movimento
Italia. Nella realtà pre-automobilistica del secondo dopo-guerra, il grande desiderio di mobilità individuale (giustificato dalle aspettative di ripresa economica ad essa collegate) non può trovare nell’automobile, troppo cara e troppo elitaria, uno sbocco naturale. Né del resto le motociclette, comunque care ed elitarie ed oltretutto minimamente funzionali, possono costituire un’alternativa sensata. Ecco perché sullo scooter, cioè sull’interpretazione tuttora valida che Corredino D’Ascanio e Cesare Pallavicino ne diedero con la Vespa (Piaggio, 1946) e la Lambretta (Innocenti, 1947), convergono negli anni Cinquanta e Sessanta i consensi delle masse. Le ruote piccole, il motore posteriore ed il pianale piatto consentono una posizione di guida intuitiva ed ottime capacità di carico; la guida, semplificata dal comando del cambio al manubrio, si presenta intuitivamente a chi non ha alcuna dimestichezza con mezzi meccanici.
L’intento di emulare l’automobile, almeno nella praticità d’uso, spiega l’applicazione di soluzioni come la ruota di scorta e le ampie protezioni contro le intemperie, che facilitano i lunghi trasferimenti anche in condizioni meteorologiche avverse. Il motore di piccola cilindrata e basse prestazioni rende meno evidenti parziali lacune nel comportamento su strada e garantisce comunque semplicità di manutenzione e bassi costi d’esercizio. Lo scooter era la perfetta ed unica alternativa ad un’automobile (pur desiderata) che non si aveva e non si poteva possedere. Per questo la crisi commerciale dello scooter classico coincide con la diffusione dell’automobile. A partire dagli anni Settanta il suo mercato si ridimensiona considerevolmente restando una realtà importante, ed anzi in continua crescita, solo nei Paesi in via di sviluppo – le cui dinamiche socio-economiche sono ritardate rispetto a quello dei Paesi produttori. Oggi però lo scooter torna ad affollare anche le nostre strade. Il processo di recupero di questa tipologia di veicoli, avviato in Giappone negli anni Ottanta e ben recepito dai maggiori costruttori italiani ed europei, l’ha riportata presto alla ribalta su presupposti però, sia costruttivi che commerciali, completamente diversi.
Nell’era post-automobilistica, il sovraffollamento veicolare, la saturazione delle reti di traffico, le restrizioni alla viabilità, la questione ecologica, hanno fatto emergere la domanda per mezzi di trasporto alternativi. In questo caso però, non alternativi all’automobile sognata, ma complementari a quella che già si possiede e che, per comodità o necessità, è preferibile non utilizzare. Il nuovo scooter si distacca sostanzialmente dall’immagine rustica, monocorde ed essenziale degli archetipi per diventare urbano, poliedrico e sofisticato. Ecco come. Laddove il successo commerciale di Vespa e Lambretta è dovuto a felici quanto ingenue intuizioni, la riconquista del mercato è operata soprattutto in funzione e con le regole del marketing più agguerrito. Le caratteristiche costruttive archetipiche dello scooter rispondono in pieno ad una logica progettuale orientata più al prodotto che al mercato. La Vespa infatti, pur nella raffinatezza del disegno complessivo, ha nella sua caratteristica costruttiva più saliente, la scocca portante, un grande limite commerciale. L’organicità fra telaio e carrozzeria rendeva molto oneroso l’aggiornamento estetico e, il che è anche più decisivo, assai difficile la diversificazione.
Lo scooter di oggi è il prodotto di un sistema industriale orientato al consumatore, e pertanto ispirato alla massima flessibilità ed adattabilità, nelle funzioni come nell’immagine. Oggi non esiste più ‘lo’ scooter ma diverse tipologie di scooter che, nel mercato del possibile, individuano e colpiscono le nicchie più sensibili ed eccitabili. Quindi non solo chi deve usare per lavoro un mezzo di trasporto rapido e maneggevole – come i Pony Express, tipico fenomeno della metropoli contemporanea – ma anche professionisti urbani, ragazzetti scatenati, disinvolte signore. Ad ognuno di essi uno scooter diverso: utilitario e capiente, lussuoso ed elegante, grintoso e scattante, pratico e confortevole. Un cammino sull’onda dell’espansione tipologica che, come nel caso dell’automobile, non può arrestarsi; dalle proposte in commercio o prototipali ricaviamo metafore significative. Se in casa Piaggio lo Sfera vuole emulare la classica e solida berlina e lo Spazio prelude a scooter coperti, anche a tre ruote (l’automobile Station Wagon), per Yamaha il Black Crystal ipotizza competizioni sportive (Spider e Coupé), il Booster, nato come scooter da spiaggia, suggerisce nuove opportunità per il tempo libero (il fuoristrada) mentre il Frog rincorre, senza doversi specializzare funzionalmente, lo stile rétro che si ritrova un po’ dappertutto.
Discorso a parte per il Free della Piaggio che si pone al limite tipologico fra ciclomotore e scooter per creare una nicchia di mercato ibridata, quella di chi cerca l’ideale compromesso fra le caratteristiche dinamiche dell’uno ed il comfort dell’altro. Una simile varietà è ottenuta grazie ad una filosofia di progetto che riprende, evolvendolo, il principio costruttivo della Lambretta (che si dimostra così all’avanguardia rispetto alla più fortunata Vespa): un telaio in tubi di acciaio rivestito da una carrozzeria è infatti alla base del progetto dello scooter contemporaneo. Una scelta dettata dalla necessità di rispondere alle esigenze – non solo estetiche – dei consumatori: per ogni continente esistono tabelle antropometriche che consentono di ottimizzare le dimensioni del veicolo.
Il medesimo chassis, sul quale vengono predefiniti diversi schemi di packaging delle componenti meccaniche e i corrispondenti rilievi ergonomici, può oggi essere individualizzato a livello motore e sospensioni e ricevere diversi tipi di carrozzeria. Questa viene solitamente realizzata in materiale termoplastico stampato ad iniezione: lo spazio dedicato alla ricerca della caratterizzazione grafica ed estetica è massimo sia in funzione della possibilità di destinare diverse versioni di uno stesso modello a diverse categorie di utenti, sia per garantire la maggiore identità a ciascuna di esse. Il problema della sovraimpressione semantica, causata dal fenomeno di moltiplicazione dei tipi (risultante dal calcolo delle varianti di ogni modello per il numero di modelli e per il numero di produttori), è infatti già avvertibile sul mercato e non sembra essere facilmente aggirabile.
Se infatti la Vespa è riuscita a mantenere una forte identità negli anni grazie anche all’unicità del suo sistema costruttivo, oggi l’azzeramento delle peculiarità, l’universalità del fenomeno e la sua rapidità di diffusione rendono difficile (poche sono le eccezioni) la creazione ed il mantenimento di una forte identità di prodotto. A ciò contribuisce la condivisione della componentistica, massimizzata in chiave sinergica anche per garantire, al pari dello standard di verniciatura e finitura e della dotazione di accessori, una qualità costruttiva pari, se non migliore, a quella dell’automobile. Che, del resto, viene oramai superata ad ogni semaforo.