Un commento alla villa costruita da Luigi Moretti sulla costa tirrena nel 1952. Una villa chiusa ermeticamente verso la città, con pareti aperte all’interno verso il mare. Una villa ‘saracena’ degli affetti, dei pensieri e delle persone che la abitano.
Luigi Moretti architetto
“La casa come unico spazio che ci possa astrarre dalla vita quotidiana e dalle sue avventure grandi e meschine”. Gio Ponti cita Moretti in un commento alla sua Villa Saracena.
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- Gio Ponti
- 25 agosto 2016
- Milano
Quest’articolo è stato pubblicato in origine su Domus 483 / febbraio 1970
1952, una villa sulla costa tirrena: “La Saracena” a Santa Marinella
Questa casa, come si legge nelle piante, è divisa in due spazi: le sale di soggiorno e per il pranzo affacciate sulla costa, le stanze per il riposo, più indietro, più lontane dal mare. […] Dalla terrazza sulle rocce, antistante alla sala di soggiorno, si scende alla grotta al livello del mare, chiusa dal bel cancello, di Claire Falkenstein, che illustriamo. La casa è chiusa quasi ermeticamente verso la strada e la città, e ancora più da esse è allontanata, nell’interno, da uno spazio circolare circondato da un alto muro. Invece le pareti verso il mare sono pressoché abolite, sostituite da chiusure completamente retrattili. […] Fra le indagini critiche della architettura d’una casa v’è anche una indagine psicologica sui rapporti fra essa e l’interpretazione dell’architetto “come se la casa fosse per lui”: ed è un fatto che noi architetti a ogni committente che ne sia degno vorremmo fare una casa che sogneremmo per noi, e io credo che omaggio più veramente devoto di questo l’architetto non possa fare alle persone che abiteranno nelle ‘sue’ mura.
Rileggo le righe di Moretti che hanno accompagnato le illustrazioni della villa (“La casa è l’unico spazio che ci possa astrarre dalla quotidiana vita con gli altri e dalle sue avventure grandi e meschine”), ed ecco questa casa difendere i suoi abitanti con gli alti muri verso la città, la strada, la gente, e aprirsi a una consuetudine col mare e col cielo, la cui veduta eterna ci apre a noi stessi. È questa – egli aggiunge – una casa gelosa, ‘saracena’ degli affetti, dei pensieri, delle belle persone che la abitano; e una casa che quieti gli irrequieti. […] Una casa – egli dice – “come desiderio di vita diversa”, che sarebbe poi la vera nostra vita, la desiata vita. Una casa per lui architetto, una casa che sia pour rever sa vie et vivre son reve. Una casa che protegga le intime inquietudini con la immobilità massiccia dei suoi muri.
Il discorso dunque, prima che sull’architettura, si porta sui pensieri che ne sono all’origine (“L’architettura”, dice Nervi, “si fa coi pensieri”); […] Muri potenti, chiusi, paradossalmente difensivi da un interno timore più che non da una minaccia esterna, perché sulla vicina strada la gente corre, corre, corre, e non si occupa di noi. […] Forse le cose sono molto più semplici, e a questa immaginaria protezione e difesa muraria dall’esterno (e dall’interno) Moretti è stato condotto da un atavico amore per i muri, le pietre, a creare, come ha fatto, volumi e spazi, nella estasi della luce del sole o lunare, nell’immensità del cielo e del prossimo mare, e per riparare erbe, fiori, alberi dai venti, e pour rever architecture et vivre son reve. – Gio Ponti
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