L'archivio digitale di Domus include tutti i numeri a partire dal 1928. Se sei interessato ad abbonarti clicca qui.
Pubblicato in origine su Domus611 / novembre 1980
Casa Introversa
Luis Barragán uno dei "grandi" dell'architettura ha prodotto ben poco, ma un poco inimitabile, solo suo. Alto, cortese, calmissimo, ma con negli occhi i lampi di una passione intensa. La casa in cui vive, da lui progettata, è, insieme, rigorosa e complessa, nell'articolazione degli spazi: emana un senso profondo, religioso quasi, di raccoglimento. Del suo lavoro, Barragán, come sempre non parla. Preferisce lasciare la teoria ai teorici, e l'esegesi agli esegeti. Quest'ultima opera (la casa di uno scapolo) è una casa introversa, una casa intorno a un patio e a un albero? Un fatto nel paesaggio? In cui conta la sensualità dei colori, il gioco delle luci? Certo, Barragán ama i colori e la luce, e li utilizza. Ma quanto ai risultati non ne parla. Gli spazi lo interessano più delle parole.
Anche qui, ha fatto dell'architettura, alla sua maniera, senza intenzioni o allusioni nascoste, senza citazioni, senza volute complessità. Ciò che voleva fare, e che ha fatto, è una "bella casa". Costruita su un terreno lungo e stretto, la casa oppone alla strada una facciata chiusa, quasi cieca. Si sviluppa su tre livelli, con una distribuzione degli spazi assai semplice. Al pianterreno, ingresso, servizi, garage e un lungo corridoio che porta a una sala da pranzo/piscina; al primo piano, un soggiore uno studio affacciati su una piccola terrazza, circondata da muri: al secondo piano, due camere con bagno; qui una porta stretta conduce alle terrazze che circondano
il patio a strapiombo. Una pianta semplice e rigorosa, senza sorprese.
Luis Barragán: una casa introversa
Nel 1980, Domus presenta la Casa Gilardi, ultima opera di Luis Barragán a cui di recente era stato assegnato il Pritzker Prize. L'opera, insieme rigorosa e complessa nell'articolazione degli spazi, emana un senso profondo, quasi religioso, di raccoglimento.
View Article details
- Olivier Boissière
- 23 marzo 2013
Lo stupore, l'incantesimo quasi, nascono dal magistrale uso di un linguaggio immutabile ma sempre rinnovato: i muri piani ortogonali che giocano con i dislivelli del suolo, creando inattese profondità di campo; i colori - in grandi campiture su superfici ruvide, per dare agli spazi quella straordinaria vibrazione luminosa. Il tutto con una economia di mezzi, una misura, un controllo, che sono rari nella architettura moderna.