Benvenuti sul primo numero di Domus dedicato al materialismo: la ricerca dei modi in cui la storia umana è stata plasmata dai materiali che abbiamo saputo raccogliere e manipolare per dar forma al mondo che ci circonda. Un ritorno dal cyberspazio alla nostra realtà materiale. Quale miglior partenza della pietra, culla dell’architettura? Il tempio greco è un edificio di legno tradotto in pietra. Carpenteria pietrificata in arte muraria. Göbekli Tepe, Stonehenge, le grandi piramidi, l’Acropoli, Petra, il Colosseo, Angkor Wat, il Machu Picchu, l’Arco di Trionfo e anche il monumento a Washington sono di pietra. Prima di imparare a tagliare e sovrapporre le pietre, abitavamo nelle caverne. Le più antiche testimonianze d’arte sono dipinte su pareti di pietra allo stato naturale.
Con la sua magistrale ristrutturazione del Palais de Tokyo, lo studio Lacaton & Vassal ha rivelato che, sotto la superficie di pietra classicheggiante, il padiglione giapponese era già diventato una moderna struttura di calcestruzzo. La pietra era un manto di classicismo, non più la struttura vera e propria. Ludwig Mies van der Rohe riscoprì la bellezza del colore e il valore ornamentale della pietra naturale ma, privata dei compiti strutturali, fu ridotta a decorazione: una carta da parati di naturale bellezza applicata a scheletri d’acciaio o di calcestruzzo. Con la perdita delle funzioni strutturali, questo materiale divenne simbolo di lusso, opulenza, decadenza.
Per un architetto che viene dalla Danimarca – terra di creta e di calcare, di abete e di quercia – la pietra è cosa rara quanto la neve nel Sahara. Per me è sempre stata un irraggiungibile materiale esotico, riservato a bilanci e culture fuori dalla mia portata. Oggi, però, la pietra strutturale sta vivendo una rinascita. Gli architetti di Ensamble Studio si sono insediati in una cava di pietra calcarea a Minorca come dei cavernicoli. Come se si trovassero di fronte a un objet trouvé delle dimensioni di un edificio, per il loro progetto si sono affidati alla massa termica e alla ventilazione naturale invece che al tradizionale involucro edilizio dotato dei tradizionali impianti. Hanno realizzato una sorta di architettura low-tech con il minimo sforzo. Nei 142 anni di durata della sua costruzione, la Sagrada Familia ha chiuso l’intero cerchio materiale, dalla pietra al calcestruzzo, per poi tornare ancora alla pietra. Lo stesso Antoni Gaudí, innovativo e rivolto al futuro com’era, iniziò a usare il calcestruzzo quando era ancora in vita.
Solo di recente, gli avanzamenti della tecnologia edilizia hanno consentito di tornare a usare la pietra strutturale precompressa come struttura principale. Il progetto più antico, in questo caso, può anche rivelare di essere quello più avanzato, oltre che l’unico ancora in corso. Amin Taha di Groupwork e Steve Webb di Webb Yates Engineers hanno intrapreso una crociata per il ritorno della pitra come materiale più sostenibile, più duraturo, più abbondante e resistente, cercando di spodestare il calcestruzzo e il mattone come soluzione ordinaria per le esigenze contemporanee. Gilles Perraudin ha condotto sommessamente la sua resistenza al predominio del calcestruzzo e ha progettato e realizzato edifici moderni in pietra strutturale senza prendere in considerazione l’edilizia industriale di oggi e senza farsene influenzare.
Aau Anastas ha considerato la pietra un gesto di sfida, ritenendo che, nel contesto di Gerusalemme, sia diventata un elemento di sostegno alla rivendicazione culturale e politica di varie zone della città e dell’intero Paese. Laurian Ghinitoiu si è dedicato a documentare il viaggio del marmo rosa portoghese da Vila Viçosa a Ground Zero a New York, nel centro di Manhattan, affinché diventasse parte della traslucida lanterna del Perelman Performing Arts Center progettato da Rex.
Sabine Marcelis e SolidNature trattano la pietra con l’artificio e l’assenza di sentimentalismo di cui solo una progettista e un’azienda danesi sono capaci. In una chiave analoga, ma per certi versi totalmente differente, Najla El Zein, artista libanese attiva in Olanda, la lavora come se si trattasse di una materia astratta, piegando e fondendo il materile minerale con la plasticità di una gelatina. E infine José Manuel Castro López, artista galiziano, crea ossimori scultorei guardando in ugual misura a Isamu Noguchi e a Salvador Dalí con il suo lavoro sulla pietra tenera, per creare surreali illusioni di morbidezza attraverso interpretazioni radicali delle qualità reali della pietra naturale. Spero che apprezzerete questi e altri spunti del nostro primo tentativo di raggiungere la libertà editoriale attraverso i vincoli materiali. Let’s rock.
Sabine Marcelis e SolidNature trattano la pietra con l’artificio e l’assenza di sentimentalismo di cui solo una progettista e un’azienda nederlandesi sono capaci. In una chiave analoga, ma per certi versi totalmente differente, Najla El Zein, artista libanese attiva in Olanda, la lavora come se si trattasse di una materia astratta, piegando e fondendo il materile minerale con la plasticità di una gelatina. E infine José Manuel Castro López, artista galiziano, crea ossimori scultorei guardando in ugual misura a Isamu Noguchi e a Salvador Dalí con il suo lavoro sulla pietra tenera, per creare surreali illusioni di morbidezza attraverso interpretazioni radicali delle qualità reali della pietra naturale. Spero che apprezzerete questi e altri spunti del nostro primo tentativo di raggiungere la libertà editoriale attraverso i vincoli materiali. Let’s rock.
Immagine di apertura: Foto Karl Nordlund