La vita è materia animata.
La vita sulla Terra si è evoluta attraverso l’adattamento.
La vita si è adattata al nostro ambiente materiale. Fino a quando abbiamo scoperto strumenti, tecnologia e architettura. Poi, abbiamo acquisito il potere di adattare l’ambiente materiale alla vita.
Non dovevamo più nasconderci in una caverna per ripararci dagli elementi. Potevamo tagliare, scolpire e impilare rocce per creare la nostra caverna. E all’improvviso abbiamo dovuto chiederci: in che tipo di caverna vogliamo vivere? Attraverso queste domande e le relative risposte abbiamo adattato la superficie del nostro pianeta ai bisogni e ai desideri della vita umana.
La parola danese per progetto è formgvining – che letteralmente significa dare forma – perché progettare qualcosa è dare forma a ciò che non ha ancora forma. In altre parole, dare forma al futuro. Perché quando progettiamo un artefatto, uno spazio o un luogo, stiamo dando forma al mondo in cui vorremmo trovarci a vivere in futuro.
E all’improvviso abbiamo dovuto chiederci: in che tipo di caverna vogliamo vivere?
Si può guardare all’evoluzione della storia umana come a una narrazione plasmata dai materiali che abbiamo saputo raccogliere e lavorare. Come dimostra il modo in cui denominiamo le epoche della storia umana – l’età della Pietra, l’età del Bronzo, l’età del Ferro – la nostra capacità di manipolare la materia è forse la forza più grande che guida lo sviluppo della nostra cultura.
Il mondo dell’Antropocene è modellato dalla forma degli ideali e dei sogni umani. Nella visione di Paul Virilio, si possono vedere le città come decelerazioni temporanee della materia nelle intersezioni del flusso materiale costante di persone e beni. L’orchestrazione di quel flusso materiale è la nostra forma d’arte.
Quando mi è stato chiesto di formulare un manifesto come guest editor di Domus 2025, ho pensato che piuttosto che stringere le molte voci di artisti e architetti nella camicia di forza ideologica dei miei valori era meglio spostare l’obiettivo dall’idealismo al materialismo.
Rivendicando il termine materialismo dal regno di un consumismo vuoto, miriamo a riportarlo alla pratica di formulare il nostro futuro attraverso forma e materia. Vogliamo intraprendere un’odissea nel mondo materiale. Iniziando dalla roccia solida, per finire con un flusso di elettroni:
Pietra, terra, cemento, vetro, legno, metallo, piante, plastica, risorse, immateriale.
A differenza di altre forme d’arte, l’architettura non riguarda la rappresentazione, ma l’accoglienza. Non si riferisce alla vita, ma le fa spazio. Non discute il mondo, ma lo produce.
Speriamo di tornare alla natura materiale fondamentale di ciò che facciamo. A differenza di altre forme d’arte, l’architettura non riguarda la rappresentazione, ma l’accoglienza. Non si riferisce alla vita, ma le fa spazio. Non discute il mondo, ma lo produce. L’architettura costituisce essenzialmente tutti i processi immateriali della società solidificati in forma fisica. La nostra attenzione ai materiali ci consente di manifestare visioni del mondo radicalmente diverse, fianco a fianco, senza distinzione o discriminazione.
Come un ossimoro editoriale, il manifesto materialista si sforza di permettere a voci reciprocamente esclusive di essere ascoltate attraverso le possibilità tettoniche di ciascun materiale. Ogni progetto diventa una manifestazione materiale letterale di un discorso contraddittorio.
In un tempo in cui la polarizzazione minaccia di silenziare la conversazione critica attraverso l’isolamento o la cancellazione, il manifesto materialista può servire come substrato per un dialogo veramente diverso. La nostra odissea materiale farà spazio a collisioni di visioni del mondo contrastanti, così sulle pagine di Domus troverete, fianco a fianco, la tradizione e l’avanguardia, artigiani e tecnofili, l’ornamentale e l’austero, l’espressivo e il tettonico, il globale e il locale, il pragmatico e l’utopico.
Idee conflittuali, unite dalla materia.
Immagine di apertura: Ascia bifacciale in quarzite gialla, Erg Murzuk, Libia, Paleolitico inferiore (Acheuliano), circa 500.000 anni fa. Foto Andrew Zuckerman