Un ritratto della Neue Nationalgalerie di Berlino, al suo debutto su Domus

“Non neoclassicismo, ma essenziale classicità”: nel 1969, alla morte di Ludwig Mies van der Rohe, Domus presentava il suo ultimo capolavoro, da poco completato, con le parole di Agnoldomenico Pica.

È la fine estate del 1969, 55 estati fa, quando diversi eventi e scenari si incrociano, in un contesto cruciale per il mondo e per una città che ne incarna gli equilibri – Berlino – e cruciale per la storia dell’architettura come per la storia politica globale e locale. 
Il 17 agosto è morto Ludwig Mies van der Rohe, maestro del moderno, mentre in un’area dal grandissimo significato, nel cuore di una Berlino spaccata in due e ancora segnata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, veniva completata l’opera considerata sintesi della sua poetica, la Neue Nationalgalerie, monumentale e astratta, classica e moderna allo stesso tempo. 
È parte di un ampio progetto, il Kulturforum, partito con la Philarmonie di Scharoun, proseguito con Mies e poi Stirling, destinato a durare decenni, tra aggiunte, sottrazioni e attese (una a firma Herzog & De Meuron) ancora in corso. Il capolavoro di Mies intanto è già stato recentemente ristrutturato da un passato Guest Editor di
Domus, David Chipperfield, mentre in morte del maestro era un’altra firma storica della rivista, Agnoldomenico Pica, a presentarlo, sul numero 478 del settembre 1969.

Domus 478, settembre 1969

Mies a Berlino

La pseudoromanica Matthaikirche, costruita nel 1845 dallo Stuler, e miracolosamente sfuggita ai bombardamenti, che, giusto in occasione del suo centenario, imperversarono da queste parti, è rimasta per quasi vent'anni isolata e derelitta in questa sorta di landa desertica, cui era stata ridotta la zona a Sud del Tiergarten.

Poi, nel ’63, non molto discosto dalla chiesa, Hans Scharoun eresse la sua ormai celebre Philharmonie. Ora, al fine di ricostituire, fin dove possibile, quel mirabile patrimonio berlinese di collezioni d'arte che l'ultima guerra ha sconquassato, si è deciso di costruire, qui intorno, a integrazione dei musei di Charlottenburg e di Dahlem, del BruckeMuseum e del Berlin-Museum, un centro culturale di Berlino Ovest, e cioè il Kulturforum am Tiergarten.

Domus 478, settembre 1969

Il nuovo centro comprenderà la Biblioteca federale d’arte, una Pinacoteca, un Gabinetto delle stampe, una raccolta di sculture, un museo delle arti applicate, oltre agli edifici per il laboratori di restauro e per l’amministrazione generale.
Dell'impegnativo complesso, che graviterà sulla Kemperplatz, si è ora compiuto l’edificio destinato a sede della Neue Nationalgalerie. L’iniziativa, sotto l’egida dell’assessore all'edilizia di Berlino, è stata assunta dalla Stiftung Preussischer Kulturbesitz (Fondazione per la proprietà culturale prussiana). La nuova galleria raccoglie opere d'arte dell'Ottocento e attuali.

Il progetto di Mies van der Rohe, che risale agli anni 1962-65, era già noto, non foss’altro per la pubblicazione curata da Werner Blaser, che già ne aveva indicato gli stretti rapporti con il precedente progetto per la Sala Bacardi a Santi ago, Cuba (1957) e, anche più, con quello per il Museo Georg Schafer di Schweinfurt (1960).
Il nuovo edificio è a due piani, di cui uno seminterrato. Il piano fuori terra è costituito da un’unica aula vetrata su pianta quadrata con lato di m 51,80, e un'area, quindi, di mq 2.683. L'aula superiore poggia su un'ampia terrazza, di m 110X105, soprelevata rispetto al livello stradale, dal quale è accessibile per tre scale. Sotto la terrazza si sviluppa il piano seminterrato che comprende una area di circa mq 10.000.

Domus 478, settembre 1969

I vari ambienti del seminterrato, riservato alle collezioni permanenti, sono destinati all'esposizione delle opere, alla biblioteca, agli uffici, al ristorante e ai vari servizi. La grande aula superiore è invece destinata a esposizioni temporanee. Una galleria d'arte seminterrata non sembrerebbe del tutto collaudabile per l'impossibilità della illuminazione naturale, sennonché all'inconveniente qui si è ovviato collocando gli spazi per esposizione nella zona frontale, che si affaccia per una vetrata continua su un ampio cortile ribassato.

A proposito di quest’opera di Mies van der Rohe si è ricordata quella raffinata citazione dall’ellenismo asiatico che è l’Alte Museum di Karl Friedrich Schinkel.
Domus 478, settembre 1969

Il piano inferiore, in cemento armato, si sviluppa secondo una maglia quadrata con pilastri collocati a interassi di m 7,20, pilastri che, nel settore verso il cortile, risultano arretrati onde consentire la continuità della vetrata. La struttura dell'aula superiore è invece interamente in ferro. Una grande piastra nervata, di oltre due metri di spessore, è semplicemente appoggiata su otto pilastri disposti simmetricamente, ma non agli angoli, che quindi rimangono liberi. Ciascuno degli otto pilastri è formato da profilati a T saldati in modo da dare una sezione orizzontale cruciforme.

Domus 478, settembre 1969

La soluzione della Sala Bacardi – in cemento armato con piastra di copertura in precompresso – è maturata, attraverso la mediazione del progetto per il Museo Schafer, in questa applicazione, che eguaglia per prestigio, ma supera per nitore e semplicità la Convention Hall di Chicago del '53-54. A proposito di quest'opera di Mies van der Rohe si è ricordata quella raffinata citazione dall'ellenismo asiatico che è l'Alte Museum di Karl Friedrich Schinkel (1823).

Il riferimento non è immotivato; anche noi parlammo di segreta vena neoclassica a proposito di Gropius; nel caso di Mies van der Rohe, tuttavia, e specie davanti a quest'ultima opera, non ci sentiremmo di dire altrettanto. La raffinatezza di uno Schinkel e la sua vocazione alla fermezza di un ordine non mai equivocabile si ritrovano anche nel Maestro di oggi, ma come non riconoscere che la sottigliezza, necessariamente e puntualmente riflessa e cioè di derivazione, di uno Schinkel, in Mies van der Rohe si traduce in ordine indipendente, accortamente elementare, che mira soltanto a determinare il più semplice meccanismo statico capace di dare il voluto risultato spaziale, senza ridondanze e senza complicazioni? Non dunque neoclassicismo, questa volta, ma semmai un'essenziale classicità.

Domus 478, settembre 1969