“sono seduta su una ringhiera tra la 66 e il riverside boulevard”, mi scrive via mail senza usare maiuscole la curatrice e gallerista Karin Bravin pochi secondi prima dell’ora prevista per il nostro appuntamento; il giorno prima aveva condiviso sempre via mail una mappa del punto esatto dove incontrarsi. Riverside Park è una grande area verde che costeggia l’Hudson, e incontrarsi qui può effettivamente creare più equivoci che andare direttamente a Chelsea alla BravinLee programs, la galleria che Bravin gestisce con il suo partner John Post Lee. Ma quest’estate la galleria si è spostata all’aperto, a Riverside Park, con una mostra di 16 installazioni site-specific e altri dieci progetti di bandiere e stendardi. Facciamo due chiacchiere mentre ci muoviamo verso l’installazione dell’artista newyorkese Letha Wilson, Double Arc Leaves and Lava; Bravin nota che il prato non è stato tagliato intorno all’opera, “forse hanno paura di farlo“, commenta, e poi aggiunge sorridendo, “è divertente vedere tutta questa crescita”. “Re:Growth” è il titolo di questa mostra all’aperto interamente curata da lei, “una celebrazione dell’arte, di Riverside Park e dello spirito di New York”.
Con “Re:Growth”, la galleria esce allo scoperto
Una storica galleria di Chelsea riprende la sua attività espositiva. E lo fa al parco, nell'Upper West Side. L'incontro con la curatrice e gallerista Karin Bravin.
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- 04 agosto 2021
“Ho fatto una mostra simile qui nel 2006”, mi dice, spiegandomi che durante la pandemia, in inverno, camminava nel parco – abita qui vicino – “pensando a come rifarla”. Se nessuno entra in una galleria a causa del Covid, portiamo l’arte fuori, ha pensato. E così inizia a lavorarci, scrive alla conservancy di Riverside Park per ottenere i permessi, esplora il parco, manda foto agli artisti che non possono essere qui a causa della pandemia. “Era un bel regalo da fare a New York”.
“Ho fatto una mostra simile qui nel 2006”, mi dice, spiegandomi che durante la pandemia, in inverno, camminava nel parco – abita qui vicino – “pensando a come rifarla”. Se nessuno entra in una galleria a causa del Covid, portiamo l’arte fuori, ha pensato. E così inizia a lavorarci, scrive alla conservancy di Riverside Park per ottenere i permessi, esplora il parco, manda foto agli artisti che non possono essere qui a causa della pandemia. “Era un bel regalo da fare a New York”.
Bravin sottolinea che, per un momento, ha temuto che New York fosse finita. “Ne abbiamo visto i segni”. Molte persone hanno lasciato i loro appartamenti; lei stessa ha pensato di dovere chiudere la galleria. Mi porta sul Pier i, “è qui che abbiamo fatto la nostra inaugurazione”. Le bandiere di Dahlia Eisayed sono appese ai pali alti del molo, Chart toward the charms; Bravin mi mostra lo striscione Same Boat di Beth Krebs poco distante. Procedendo verso nord, si incontrano Happiness is di Blanka Amezkua e l’installazione in realtà aumentata dell'artista Shuli Sadé, Upstream Downstream. Ci lasciamo l’Hudson alle spalle per addentrarci nel parco (schivando le bici, che qui sono tante e velocissime) e con Bravin passiamo davanti a Invasives di Jean Shin, un’opera d’arte interamente realizzata con i fondi delle bottiglie vuote di Mountain Dew, e Summer Vibe di Sui Park, installazione attorno alla quale in un mese e mezzo dall’inagurazione sono cresciuti fiori e piante. La mostra si fonde con l’ambiente, si confonde con la natura. L’artificio è mimetico, qui. La curatrice sottolinea che non ha voluto concentrare tutte le opere d’arte in un solo punto, ma distribuirle ovunque nel parco, come se ne facessero parte.
Ci sediamo su una panchina, c’è ancora luce in questa serata estiva americana, il sole tramonterà tra un paio d'ore. L’aria profuma di buono, il rumore della città sembra lontano chilometri. Bravin mi mostra come raggiungere Stuk di DeWitt Godfrey, il pezzo più instagrammato di “Re:Growth”. Parliamo dell'importanza dei social media, e di quanto stanno rendendo la fruizione questa mostra molto diversa da quella del 2006; di Siena e Venezia, dove Bravin ha trascorso alcuni mesi da studente; degli artisti che hanno lasciato la città; e di quest’estate, della tanto attesa riapertura e della paura della curatrice per la variante Delta, ora che sta tornando obbligatorio l’uso della maschera al chiuso. “C’è un sacco di gente a cui piace l’idea che New York City muoia”, dice Bravin. “L’hanno fatto dopo l’11 settembre, hanno detto che era finita a causa del Covid. Ma la città sta tornando, non è vero?”.
Tutte le foto sono state realizzate con una Fujifilm X-Pro3, gentilmente fornita da Fujifilm Italia, salvo dove diversamente indicato.