Meme, gif animate, tiktokers. Internet, la diffusione delle nuove tecnologie e l’ascesa dei social network hanno stravolto il mondo dell’arte visiva. Ma qual è il reale limite tra queste pratiche, ormai consolidate, e il concetto a noi tanto caro di produzione artistica? È necessario ampliare la definizione usata fino a questo momento di arte? Non solo i confini tra le discipline risultano sempre più opachi, ma i nuovi strumenti a disposizione hanno reso possibile una tale sovrapproduzione, di cui la memetica e contenuti virali risultano solo l’esempio più lampante. Ne abbiamo parlato con Valentina Tanni, autrice di Memestetica, il settembre eterno dell’arte (Nero, 2020), lucido saggio nel quale la storica dell’arte e curatrice analizza il contrappasso della crescente arte amatoriale, tracciando una mappatura contemporanea – “da Marcel Duchamp a TikTok” – del rapporto sempre più ibrido instauratosi tra arti visive e cultura digitale.
Che cos’è l’arte nell’epoca dei meme
Con i social network, le nuove tecnologie e la conseguente sovrapproduzione artistica, è forse arrivato il momento di riconsiderare lo stesso concetto di arte. Ne parliamo con la storica dell’arte Valentina Tanni, autrice di Memestetica.
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- Romina Totaro
- 22 luglio 2021
Raccontaci la genesi del progetto di ricerca. Come è nato Memestetica?
Il libro è frutto di una ricerca portata avanti da una decina d’anni. In particolare l’idea si è concretizzata in maniera specifica dopo la mostra “Eternal September - The Rise of Amateur Culture”, tenutasi a Lubiana nel 2014, tentativo di analizzare la crescita esponenziale della creatività amatoriale e spontanea. Quello è stato il punto di partenza in concomitanza con un altro progetto tutt’ora in corso, The Great Wall of Meme, una catalogazione di immagini fruibile sotto forma di sito che spazia dai meme artistici alle immagini virali. Da storica dell’arte mi sono sempre interessata del rapporto tra arte e tecnologia, non soltanto dal punto di vista tecnico, ma soprattutto cercando di capire come l’arrivo di certi strumenti tecnologici modifichi il modo in cui noi fruiamo le immagini. Oggi le opere artistiche sono sempre più oggetto di appropriazione e riutilizzo. Questo fattore genera un cambio di attitudine anche all’interno delle sedi museali stesse.
Che mutamento sta affrontando parallelamente il copyright quindi?
Da un lato sicuramente il diritto d’autore costruisce una necessità per l’esistenza stessa del sistema dell’arte. Però tanti artisti contemporanei negli ultimi due secoli hanno avuto un atteggiamento molto libero nei confronti del diritto d’autore, portando avanti pratiche di ri-appropriazione e remixaggio. Bisogna fare le distinzioni tra le necessità del mercato e quelle dell’arte in senso stretto. È chiaro che nel mondo più selvaggio di internet questa distinzione è più difficile da controllare, e tutto il mondo della memetica e delle immagini virali è in qualche modo antitetico all’idea stessa di copyright e diventa quasi un ossimoro.
Che valore assumono invece gli NFT (Non-Fungible Token) nel mondo dell’arte digitale?
L’NFT è una forma di certificato digitale basato sulla tecnologia blockchain. Questo strumento viene utilizzato in modi molto diversi nel mondo dell’arte: è stato protagonista di una gigantesca bolla speculativa, soprattutto nei primi mesi del 2021, ma ha anche favorito la nascita di alcune comunità artistiche interessate a trovare nuove modalità di sostentamento e a testare strumenti di disintermediazione rispetto al sistema dell’arte tradizionale. Gli NFT di per sé non cambiano il mondo della cosiddetta “arte digitale” – un termine ombrello molto impreciso che è sempre più difficile da utilizzare – ma aprono senz’altro delle prospettive per il mercato, al netto delle problematiche ecologiche connesse al loro utilizzo che non possono essere ignorate.
In questo contesto, stiamo cambiando la nostra idea di cosa sia “arte”?
Questa è la mia sensazione.
Immagino non condivisa da tutti...
La maggior parte del mondo dell’arte è restio a accettare l’invasione di campo e accettare espressioni artistiche che vengono da fuori. Il mondo dell’arte ha sempre funzionato così, tra chi è dentro e chi è fuori, gli insider e gli outsider. Non sto affermando che l’arte sia morta, la mia concezione è diametralmente opposta. La cosa che le persone tendono a dimenticarsi è che il concetto di arte che abbiamo oggi, ora e in questa parte del mondo, coincide con la nascita del concetto delle belle arti, con una storia che parte dal Rinascimento ma che si concretizza nell’800. Anche il sistema dell’arte che conosciamo oggi, quello fatto di musei, gallerie e curatori, è un sistema nato di recente. Basta leggere un qualsiasi libro di storia dell'arte per accorgersi che le nostre idee su cosa sia l'arte sono cambiate molte volte.
Nel libro si parla della nascita dell’estetica lo-fi, rifiuto della celebrazione dell’alta definizione come valore in sé. Come nasce e come si sta diffondendo?
L’atto artistico assume anche la funzione di connessione con gli altri, di condivisione del mondo comunitario. Anche un tentativo di creare degli stili, dei linguaggi e delle attitudini che potrebbero essere alternative rispetto al mainstream, caratteristica tipica dell’internet di massa. Nel momento in cui internet è diventato accessibile a moltissime persone c’è stato questo proliferare di diversità, tante piccole nicchie di persone diverse che si appassionano a cose diverse, con stili diversi, atteggiamenti diversi. Questa cosa ha anche una ripercussione sull’estetica in senso più generale. Questo manifestarsi disordinato di attitudini ed estetiche diverse, ma allo stesso tempo anche estremamente vivace e vario, è una caratteristica che è resa possibile da questo nuovo aspetto.
Stessa cosa succede spesso anche nel mondo dell’architettura, dove una nuova generazione, formata da una molteplicità di piccoli collettivi e non più da grandi studi, preferisce vecchi metodi di disegno e rappresentazione, negando l’uso di tecnologie come i render.
Questa tendenza ricade molto in una ricerca di autenticità e di contenuto. Nel libro parlo di nuovo primitivismo, come nell’Ottocento, quando si andava a guardare l’arte dei cosiddetti “primitivi”. Veniamo da decenni condizionati dall’alta definizione, questa necessità di migliorare sempre di più nella produzione digitale e fotografica. La cultura dell’ossessione per l’HD ha generato anche un movimento di diffidenza rispetto alla verità di ciò che vediamo. La sensazione quindi è che un oggetto troppo lavorato e troppo raffinato possa essere adulterato o finto. L’associazione generale che si fa è che una cosa meno lavorata sia più genuina, poi questa cosa non è sempre vera.
In secondo piano c’è anche una questione legata alla velocità. La comunicazione adesso viaggia a ritmi molto sostenuti soprattutto nel mondo delle comunità e delle subculture online. La produzioni delle immagini è necessariamente veloce e non raffinata, poiché la necessità è di rimanere nel flusso della conversazione con i tempi giusti. non c'è neanche il tempo per curare a volte la confezione, si vuole dare un messaggio in maniera immediata, più velocemente possibile.
Arriviamo quindi alla memetica, espressa da te come “virus della mente”. Come funziona la grammatica dei meme?
In questi processi non ha quasi mai importanza la provenienza dell’immagine, sono tutte soltanto dei potenziali veicoli per comunicare. Un’immagine può anche essere completamente de-significata e re-significata in una chiave nuova. Le immagini sono immagini e possono essere manipolate in qualsiasi modo senza nessun tipo di remora o rispetto al contenuto che si sceglie. Indipendentemente da quella che è la fonte dell’immagine, può essere trasformata in un template per dire qualsiasi cosa. Questo accade anche con le immagini più serie, che in qualche modo dovrebbero rimanere secondo la nostra vecchia visione del mondo rilegate nel mondo a volte della politica, a volte dell’arte, a volte della religione.
Più un evento è considerato weird, anomalo, più cattura l’attenzione. Le immagini a volte vengono utilizzate in maniera metaforica per esprimere dei sentimenti e delle visioni del mondo. A volte vedi un’immagine che fa riferimento a un evento storico importante, magari che ha delle implicazioni sociali politiche, però viene utilizzato come un template per dire tutt’altra cosa. Fa parte di quell’attitudine anarchica all’utilizzo di qualsiasi materiale per dire qualcosa. È un atteggiamento irrispettoso, completamente anarchico.
E il ruolo della tecnologia?
Sicuramente non è neutro. Ma io credo che quello che emerge sia l’umanità dietro a questi dispositivi: una necessità di comunicare, di stabilire delle connessioni tra le persone, di trovare delle fratellanze anche tra persone che sono lontane nello spazio e non solo. Esistono migliaia di macchine e di occhi puntati sul mondo che prescindono dall’occhio umano, immagini che producono le macchine e altre macchine cercando di interpretare.
Oltre al concetto di arte, è proprio quello di realtà che è cambiato.
Anche quando si parla di amore per il non-sense, per le cose strane e surreali, anche quello è testimonianza di un tentativo di dare forma visibile a un mondo che viene ormai viene percepito come insensato. Prendiamo come esempio Surreal Cake, un meme che ha messo in discussione la natura stessa del mondo. Il sito americano Buzzfeed aveva pubblicato un video in cui una cake artist alle prese con una serie di oggetti, che in realtà non erano altro che torte iper-realistiche. Da questo video, diventato poi virale, è nata una lunga sequenza di meme surreali. Quello che vediamo è veramente quello che vediamo o ci stanno ingannando? Si tratta di meme filosofici che riflettono sulla natura stessa della realtà, e non è affatto un caso che questo trend abbia preso piede nel 2020, momento in cui le persone si dovevano confrontare con una realtà quasi distopica. Viviamo in un momento in cui è molto difficile capire la veridicità delle cose, e la memetica si fa spesso carico di riflessioni molto profonde sul senso stesso della realtà, anche se impacchettate nel template dell’umorismo.