Platone si cimentò nella lotta e nel pugilato ai giochi di Delfi e di Corinto, mentre Euripide trionfò ad Atene nelle stesse discipline. Nella cultura greca il corpo è sempre stato lo specchio dell’anima e di conseguenza l’uomo virtuoso non può che essere atletico, sportivo, forte. Domenica 5 Settembre, allo Stadio nazionale del Giappone di Tokyo, si è tenuta la cerimonia di chiusura della sedicesima edizione delle Paralimpiadi, iniziate lo scorso 24 Agosto. Cinquecentotrentanove eventi, ventidue discipline sportive e centosessantuno i paesi partecipanti. “I giochi paralimpici di Tokyo non sono stati solo storici, sono stati fantastici” ha affermato il presidente dell’International Paralympic Committee, Andrew Parson, nel suo discorso di chiusura e ha proseguito “Gli atleti hanno infranto record, scaldato cuori, aperto menti e cambiato vite”.
L’arte delle Olimpiadi
Il rapporto tra arte e sport è più antico di quanto si possa pensare. Dalle Olimpiadi e Paralimpiadi al Pentathlon delle arti.
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- Valentina Petrucci
- 13 settembre 2021
Uno spettacolo, questo, così antico da riportarci ad una riflessione semplice, è grazie alle Olimpiadi che nacque il più grande museo a cielo aperto dell’antichità, poiché ogni vincitore trova nella sua vittoria anche il diritto a farsi erigere una statua sul campo. La mecca dei giochi era e sarà sempre Olimpia, che prevedeva non solo eventi sportivi, ma durante le competizioni i campioni, gli “atleti” dell’arte, si riunivano nella città sacra del Peloponneso per far conoscere a tutti i frutti del loro genio, della loro arte.
Nel 455 a.C. Mirone realizzò forse la scultura più nota al mondo: Il Discobolo. Nota a noi solo attraverso copie, tra cui la più famosa è quella Lancellotti. La scultura era stata ideata e poi creata in bronzo, un materiale che aveva la funzione di esaltare, attraverso la sua luce, il corpo dell’atleta, rendendolo quasi divino nelle sue forme e nella sua azione. Chinato in avanti, il busto in torsione, la gamba destra piegata a sostenere il peso dell’azione, questa scultura racconta con estrema precisione il corpo e l’anima dell’atleta. La posizione chiastica porta equilibrio alla spinta fisica, tutto è bilanciato, tutto il corpo è concentrato. L’atleta, era infatti il soggetto che incarnava il concetto di kalokagathìa, ovvero che la bellezza del corpo è assolutamente imprescindibile da quella dello spirito. Un concetto che considera la bellezza fisica come derivante dal valore morale ed etico del soggetto. Un atleta, per essere definito tale, deve avere rigore, bontà d’animo, deve essere dedito allo studio, alla cultura.
Negli ultimi anni del XIX secolo grandi scoperte, da Troia a Micene, stimolarono l’interesse culturale, sopratutto quello per l’antica Grecia. Ernst Curtius, archeologo tedesco, che riportò alla luce nel 1877 l’Hermes di Prassitele duranti gli scavi fra le rovine del tempio di Hera a Olimpia raccolse numerose testimonianze dei giochi in onore di Zeus e così mentre vecchi sport tornavano in auge, altri nuovi ne nascevano. Mentre il mondo culturale è in grande fermento per le nuove scoperte, un barone francese, Pierre de Coubertin, decise di lanciarsi in un progetto visionario: nuove Olimpiadi ad Atene. Nel 1896 infatti con 285 partecipanti provenienti da 14 paesi del mondo il progetto vide la sua partenza. “Si tratta di unire di nuovo, con i legami di un legittimo matrimonio, due antichi divorziati: il Muscolo e la Mente” dichiara lo stesso de Coubertin in un congresso del 1906. Queste gare però prevedevano la partecipazione di artisti e alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912 debutta il Pentathlon delle Muse, una competizione di pittura, scultura, architettura e musica che vedrà purtroppo la sua fine nel 1948.
Si tratta di unire di nuovo, con i legami di un legittimo matrimonio, due antichi divorziati: il Muscolo e la Mente.
LeRoy Neiman, artista statunitense contemporaneo, dipinse nel 1970 un’opera che racchiude, tra i colori e le linee di forza, tutta la frenesia, la forza, la potenza e la gioia di queste competizioni dalla storia così antica. I colori sono vivaci, stesi in maniera disomogenea, come se gli stessi si modificassero a causa della velocità dei corpi e delle luci del giorno, fotogrammi sequenziali che si bloccano per offrire allo spettatore l’idea di velocità e potenza degli atleti. Una linea obliqua attraversa l’opera da sinistra verso destra, andando in profondità così da non sembrar mai finita. “L’arte esca dallo stadio di contemplazione della bellezza per esprimere la bellezza dell’energia” dichiarerà Raniero Nicolai, medaglia d’oro per la letteratura alle Olimpiadi di Aversa del 1920. La bellezza appunto, la stessa di tutti quegli atleti che con la loro forza di volontà e straordinaria caparbietà, ci hanno sbalordito con le loro imprese olimpiche.
Immagine di apertura: Olympic Track, LeRoy Neiman. 1970