Gufi blu, gatti verdi radioattivi, serpenti attorcigliati e conigli su un pavimento di gusci di uova. “Non è così, forse, la vita che ci circonda? Questa è la condizione umana. Nel momento in cui veniamo alla luce, la realtà è uno shock, è un posto nuovo, pieno di ansia e di paure. E lo scopo dell’arte è diminuire quelle paure”. L’artista americana Sandy Skoglund, con oltre 60 anni di lavoro, risponde alle inquietudini di oggi con un immaginario fantastico che richiama il bestiario grottesco di Hieronymus Bosch e le dimensioni parallele di David Lynch. Per la prima volta in Italia, Camera. Centro Italiano per la fotografia le dedica un’antologica: “Sandy Skoglund. Visioni Ibride”, fino al 24 marzo. Cento lavori, fra fotografie (insieme a Jeff Wall e Cindy Sherman, Skoglund ha dato origine alla staged photography), installazioni e sculture provenienti dallo studio e da collezioni private italiane e straniere, con lavori raccolti fin dai suoi esordi artistici negli anni Settanta. Nata nel 1946 a Weymouth, Massachusetts, dopo aver studiato regia, incisione, e grafica, ha ricevuto il Master of Arts nel 1971 e Master of Fine Arts nel 1972. Si trasferisce a New York dove inizia a lavorare come artista concettuale, occupandosi di produzione artistica ripetitiva e orientata al processo, con gli anni si avvicina alla pratica artistica della fotografia e della ricostruzione scenografica. Esile, minuta ed estremamente composta, l’artista americana si aggira all’inaugurazione della mostra torinese, curata da Germano Celant, additando opere e raccontando l’ultima fatica, fino a quel momento inedita, Winter. Insieme a Fresh Hybrid, Winter è la seconda realizzazione del cicloThe Project of the Four Seasons. Si racconta ci abbia messo 10 anni per realizzarla. “Ho scattato la fotografia il 22 di dicembre, a pochi giorni dal Natale”, spiega Sandy Skoglund. “Non avrei mai pensato di realizzarla in dieci anni, ma ho avuto diversi blocchi emotivi, il primo era cercare il materiale per fare i fiocchi di neve. Quando lavoro la mia prima domanda, una volta scelto il tema, riguarda il focus e l’idea principale. Sul tema dell’inverno mi sono venuti in mente i fiocchi di neve. In primis li ho realizzati in argilla, perché ho esperienza nella ceramica e mi piaceva l’idea della fragilità, ci ho lavorato per due anni e poi li ho odiati. Ho sperimentato i materiali. Poi ho finito con il tagliare i fiocchi di neve in modo digitale. In un certo senso Winter è un lavoro completamente digitale, ma esiste allo stesso tempo fisicamente”.
Il mio lavoro è essere lo specchio
In occasione della personale a Torino, abbiamo intervistato Sandy Skoglund, l’artista americana che, insieme a Jeff Wall e Cindy Sherman, ha dato origine alla staged photography
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- Francesca Esposito
- 18 febbraio 2019
- Torino
Perché l’inverno?
Ho lavorato sui paesaggi artificiali per anni. L’inverno è un nuovo inizio, in un certo senso.
In tutte le sue opere e nelle installazioni si ritrova un importante rapporto con lo spazio.
Il mio interesse è come noi esseri umani concepiamo lo spazio. Per esempio, un triangolo e lo spazio all’interno del triangolo oppure come possiamo creare allo stesso tempo spazi piatti e spazi profondi. Questo spiega la parte del mio lavoro fotografico, nelle installazioni e negli aspetti tridimensionali delle sculture c’è una costruzione architettonica, nel mio lavoro sai sempre di trovarti all’interno di uno spazio, non sei mai in un posto indefinito.
Molti suoi richiamano il cinema, come l’universo di ansie e paure di David Lynch.
Le nostre vite cercano di diminuire quella sensazione di ansia, ma credo che questo sia lo scopo dell’arte. Lo scopo dell’artista non è stare nel suo studio ed essere ansioso, ma elaborare opere d’arte in grado di comunicare questi sentimenti agli altri e aiutare questo tipo di pensieri ad andare via. Inoltre, deve chiedersi il perché delle cose.
L’ha influenzata anche il mondo dove ha vissuto?
Il paesaggio americano è molto diverso da quello europeo, ha 200 anni e quindi non c’è il continuo ricordo del passato, abbiamo una sorta di freschezza nella vita. Inoltre, siamo cresciuti con questo tema, che tutti possono avere tutto o almeno è un’idea in cui speriamo. La speranza, in psicologia e filosofia, è un elemento fondamentale: se non c’è qual è lo scopo della tua giornata?
Nei suoi lavori, l’aspetto sociologico gioca un ruolo importante.
C’è anche tanta archeologia, dietro molte delle mie opere d’arte c’è un lungo lavoro di ricerca e di storia.
L’arte è spesso lo specchio della propria epoca. Ha questa sensazione del suo lavoro?
Non so se l’arte sia lo specchio della nostra epoca. Ma so cosa è il mio lavoro, è essere lo specchio, è essere passivi, ricevere, partecipare il più possibile, senza giudicare.
Un lungo lavoro di ricerca prepara il risultato finale dell’opera. Oggi Internet è l’ambiente dove più spesso si fa ricerca, ma se tutti attingono dallo stesso contenitore, il risultato è, anche se con sfumature differenti, sempre lo stesso. Cosa suggerisce ai giovani artisti?
Stare semplicemente fermi in uno spazio; non uscite, rimanete silenziosi e con voi stessi. C’è un universo dentro e un universo fuori, ho usato diversi processi per cercare di trovare la realtà, un artista deve sapere raccontare la verità su cosa vede. Ci sono dubbi, certo, ma è necessario cercare di separare i propri pensieri dal mondo. Internet non è altro che il luogo dei social, è facile, utile e veloce, ma non può essere la sostituzione al pensiero reale.
- Sandy Skoglund. Visioni Ibride
- 24 marzo 2019
- Camera - Centro Italiano per la Fotografia, Torino