A Londra, la più estesa mostra ricognitiva dei lavori di Heidi Bucher (1926 –1993) è attualmente ospitata dagli spazi della Parasol unit foundation for contemporary art. Diversi, impalpabili lavori in latex, realizzati negli ultimi vent’anni del proprio percorso artistico, sono accompagnati da lungometraggi che documentano secondo quali modalità l’artista processava, faceva esperienza e modellava diversi componenti materici.
Come se si attraversasse una sorta di tempio, per preservare gli impulsi umani, qui ogni regione del corpo, visitando la sua mostra, sembra puntare verso molteplici direzioni. I piedi seguono una linea parallela alle pareti, mentre la parte superiore del corpo è tesa in avanti, lasciando che solamente il volto si indirizzi verso il lavoro. Ogni terza, oppure ogni quarta soglia in latex, allestita a parete, si comincia lentamente a cessare ogni fase di avvicinamento, smettendo di guardare realmente, per vedere attraverso.
Heidi Bucher. Calchi scarnificati della realtà
Per la prima volta, in un’istituzione pubblica in Gran Bretagna, l’artista svizzera è celebrata con un corpus di lavori in latex, realizzati negli ultimi vent’anni di carriera.
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- Ginevra Bria
- 28 novembre 2018
- Parasol unit foundation for contemporary art, Londra
Parasol unit foundation for contemporary art, fino al 9 dicembre 2018
Parasol unit foundation for contemporary art, fino al 9 dicembre 2018
Parasol unit foundation for contemporary art, fino al 9 dicembre 2018
Parasol unit foundation for contemporary art, fino al 9 dicembre 2018
I suoi calchi scarnificati della realtà pongono l’attenzione sul lavoro come un oggetto che mantiene un legame specifico con il processo di una propria, probabile contemplazione. Ornamenti, vestiti, interni (Raumhäute, pelli delle stanze) testimoniano come il processo di Bucher abbia invariabilmente preservato un’impronta fantasmatica di una superficie architettonica o di un oggetto che diventa simultaneamente l’incapsulamento fisico delle cose e la loro liberazione dai ricordi. Negli spazi della Parasol unit foundation, la mostra rievoca come la vera sorgente di cambiamento, nella pratica di Bucher, sia stato il periodo che lei ha vissuto a Los Angeles (1970 – 1973), dove l’artista, allieva di Max Bill, ha potuto vedere all’opera artisti che nella California del Sud utilizzavano componenti non-tradizionali per realizzare i loro progetti scultorei. Dopo aver cominciato un’amicizia, che poi sarebbe durata tutta la vita, con Ed Kienholz, Bucher ha appreso come potevano essere processati nuovi materiali attraverso i lavori di De Wain Valentine, Craig Kauffman, Robert Irwin, Helen Pashgian e quasi sicuramente Robert Overby.
Nella processualità di Bucher, la pellicola in latex ci ricorda che alcune certezze persistono nelle nostre vite, ben oltre la nostra permanenza sulla terra, che quel che ci protegge, anche se si tratta di una casa, di una maglietta, di un grembiule o un letto, potrebbe, in ultimo, essere più duraturi di coloro che li abitano. Ma la sua peculiare associazione, la sua intuizione su un legame formale tra materiali flessibili e cultura lo aveva sperimentato nel 1967, quando Bucher cominciò ad attirare l’attenzione negli Stati Uniti per la sua serie di sculpture-cum-clothing, i Landings to Wear (1967–1970), composti in collaborazione con il suo primo marito. A Londra, nella galleria a piano terra, una serie di latex Häutungen su larga scala rimangono sospesi al soffitto, oppure appesi alle pareti, o ancora semplicemente adagiati a terra. Il primo Raumhaut (pelle della stanza) di Bucher, dal titolo Borg (1976) sembra riversato a pavimento, evocando un simulacro oscuro e carnoso della struttura perimetrale del proprio studio, situato in una macelleria ormai smantellata, in Svizzera. Iniziando dai primissimi lavori di Bucher, la mostra monografica include strutture minimaliste provenienti dalla serie della Casa di colla di Bucher, Weissleimhaus (from 1976–1983), che mette in luce le sue ricerche estetiche dedicate alla trasformazione e alla metamorfosi. Bucher cattura le proprie simulazioni del mondo in numerosi sui lavori, come il costume-oggetto in latex, Libellenkleid (1976), e Der Schlüpfakt der Parkettlibelle (La schiusa della libellula, 1983).
Attraverso questi lavori, Bucher non prova a compensare, oppure ad attirare la nostra attenzione, ma preferisce avanzare diretta verso la rappresentazione di un’annichilazione, che la cattura e la ossessiona, come solo le strutture-fantasma riescono a fare. Per il visitatore più impaziente, l’opera di Bucher potrebbe essere percepita come sospesa, fra le superfici di un vuoto fastidioso. Ma i lavori più sorprendenti di tutti si presentano inaspettati, come il calco di un interno preso in un ex sanatorio psichiatrico Kleines Glasportal, Bellevue Kreuzlingen (Piccolo portale di vetro, Bellevue Kreuzlingen, 1988); e un film, dal titolo Bodyshells (1972), che documenta come gli aspetti più surreali e immaginativi della sua sensibilità abbiano creato delle sculture indossabili di schiuma vinilica bianca, chiamate appunto Bodyshells; elementi filmati mentre alcune persone, al loro interno, si muovono liberamente per Venice Beach in California.
Dando per scontato che si sia avuta la possibilità di dilungarsi nell’osservazione del primo e che si sia offerto al secondo la possibilità di saturare il nostro campo visivo, si rimane sopraffatti dalla prova dell’instancabile pensiero all’opera di Bucher. Esistono, in verità, molteplici lungometraggi che mostrano Bucher nel pieno dello svolgimento dei propri rituali, mentre attraversa gli spazi, oppure mentre cosparge di garza i muri e i pavimenti, inumidendola per farla aderire alle superficie per poi per creare i contorni. Di fronte a queste immagini in movimento si percepisce una sorta di stanchezza dello sguardo, uno sfregamento implacabile del vedere, una grande assolutezza di tutto quel che succede, proprio mentre sia l’arte che l’artista recedono, fino a diventare un muro sottile fatto di costanti mappature della realtà. Qui la pratica di Bucher rifiuta di invitarci ad entrare; e oggi ci appare intensa e impressionante, solo perché riusciamo ad intravederne le superfici solidificate, grazie ad una grande precisione allusiva. I suoi gesti scrupolosi oggi attirano l’attenzione verso sé stessi, oscurando il resto. Ma la sensazione di sorpresa può velocemente adombrarsi, nello spettro di un’illusione, della presenza di un mondo parallelo, che possibilmente oscilla e ci esiste affianco, vestendo una nuova pelle che non si consuma mai.
- Heidi Bucher
- Dal 19 settembre al 9 dicembre, 2018
- Ziba Ardalan
- Parasol unit foundation for contemporary art
- 14 Wharf Road London N1 7RW