“Perché tanta insistenza, quasi un accanimento su qualcosa come l’idea di Bellezza, sempre in fuga, mutevole e comunque refrattaria a ogni possibile definizione? Che altro c’è d’altronde che meriti altrettanta dedizione, che consenta un esilio da tutto il resto?”. Si apre con questi interrogativi il testo firmato dall’artista Giulio Paolini (Genova, 1940) che accompagna la mostra alla Fondazione Carriero di Milano. Al centro c’è quindi l’ossessione per la bellezza intesa come dimensione filosofica, ideale dell’esistenza; un vettore che da sempre muove la ricerca di Paolini, attorno al quale l’artista ha definito veri e propri paradigmi artistici e della visione, che hanno contraddistinto in Italia una declinazione specifica e fondamentale dell’arte concettuale di cui mesi fa i visitatori hanno potuto vedere un altro capitolo-chiave nella precedente mostra “Between the Lines” dedicata a Sol LeWitt.
Giulio Paolini e la definizione ideale di bello
Dopo Pascali e Sol LeWitt prosegue il tributo della Fondazione Carriero all’Arte Povera e Concettuale. È il turno di Giulio Paolini
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- Riccardo Conti
- 27 novembre 2018
- Milano
“Giulio Paolini del Bello ideale” è una mostra-percorso pensata dal curatore Francesco Stocchi attraverso una trentina di opere che coprono tutta la carriera dell’artista dai primi anni Sessanta a oggi. Un progetto espositivo concepito come processo di narrazione, articolato verso tre principali nuclei del suo lavoro: Il ritratto e l’autoritratto (l’autore è assente), In superficie (linea, prospettiva, orizzonte, tautologia) e Uno di due (il mito e il classico). L’intensità di ciascuna di queste direzioni riporta sempre, nell’opera di Paolini, a due concetti fondamentali: lo sguardo e l’assenza come appare chiaro nella generosa presenza di opere significative radunate per l’occasione. Un binomio che custodisce in sé quella dimensione “ideale” della bellezza perseguita dall’artista, che infine identifica il bello proprio come il non visto, ciò che sta fuori dalla cornice e dallo spazio della rappresentazione.
Al centro della mostra c’è l’ossessione per la bellezza intesa come dimensione filosofica, ideale dell’esistenza
La mostra allestita lungo i tre piani della fondazione con puntualità e metodo ci riportano dunque continuamente a quei pochi, ma fondamentali elementi della semantica di Paolini, a quella modalità espressiva tanto innovatrice quanto radicata nella più profonda cultura visiva della storia dell’arte Italiana. Un dialogo, quello con il passato, espresso continuamente e qui ribadito da alcune opere-chiave della sua produzione come Senza titolo (1961), Monogramma (1965), Nécessaire (1968), e Controfigura (critica del punto di vista) (1981).
Il mondo classico, che espresse quei concetti fondanti di “bello”, accompagna molte delle manifestazioni scultoree di Paolini, che sovente utilizza immagini desunte dalla statuaria classica e neoclassica (ne è un esempio Aria, datata 1983-84) per strutturare i suoi teoremi visivi nei quali lo spettatore si ritrova ad essere elemento attivo, tramite l’affacciarsi, l’accostarsi e il rispecchiarsi in quelle opere (Elegia, 1969). La storia dell’arte viene quindi rivendicata come linguaggio e deposito primario della memoria dell’artista, ridiventando presente, “evento” e non citazione.
Nel corso della sua lunga carriera, Paolini ha ricondotto le ragioni della sua arte al puro sviluppo di un’opera. Il processo è dunque comprensibilmente il momento più significativo di ogni sua creazione, indipendente dai vari temi, dalle varie decadi da cui provengono le opere, l’arte di Giulio Paolini si caratterizza sempre nella dimensione “potenziale” che manifesta ogni volta uno stato sospeso, di un’attesa che proietta ciascun segno ed elemento in una dimensione temporale eternamente dilatata come i miti dai quali attinge.
I confini dello sguardo e della rappresentazione (la cornice, le fughe prospettiche) sono costantemente evocati nell’arte di Paolini che come nessun altro artista ha posto il tema dell’indefinito campo di libertà che si estende di fronte al “pittore”, invitandolo ad agire oltre la dimensione del quadro. L’apertura di una prospettiva mentale che racchiude la definizione pura di arte concettuale rappresenta in Paolini i limiti della visione: è quindi nell’invisibile e nell’inesplorato che l’artista prosegue come un moderno Odisseo il suo viaggio (Finis Terrae, 2018). L’allestimento realizzato in collaborazione con la scenografa svizzera Margherita Palli (che nelle stanze ha concepito due installazioni che dialogano con l’immaginario di Paolini, in una lettura dichiaratamente teatrale ma coerente con l’opera del maestro), evidenzia le analogie e omologie formali tra le opere, mettendole in dialogo tra loro e trasformando con opere come AB 3 (1966) l’intero spazio della fondazione in un’unica opera. Scriveva Carla Lonzi nel catalogo della mostra di Giulio Paolini alla Galleria dell’Ariete di Milano nel 1966: “Nella nostra vita gli angoli delle stanze non si contano, eppure è proprio l’evidenza di questa possibilità a rendere l’oggetto del tutto immateriale, unicamente ottico: un quadro”.
- Giulio Paolini. Del bello ideale
- Francesco Stocchi
- Fondazione Carriero
- Margherita Palli
- 26 Ottobre 2018 - 10 Febbraio 2019
- Via Cino del Duca 4, Milano