Il mammut acrobatico dell’artista francese Daniel Firman è tornato a sconfiggere il senso di gravità. L’enorme installazione scultorea dal titolo Nasutamanus (2012) che rappresenta un elefante in pieno atto di fluttuazione sta nuovamente compiendo un atto di equilibrio con la sua lunga proboscide, ma questa volta la creatura è caratterizzata da un’angolatura ruotata. Al posto di realizzare una versione dell’elefante verticale, il mastodonte compare alla vista come se la sua proboscide stesse risucchiando la minuscola superficie di parete che aderisce alla parete più vicina. Lo spiazzamento è un risultato certo per lo sguardo che fatica ad abituarsi a vedere l’enorme animale stazionare a un metro dal pavimento. Fino al 6 gennaio 2019, Nasutamanus è parte di una mostra collettiva intitolata “A Balancing Act” presso la Kunsthal KAdE.
Kunsthal KAdE. Atti di equilibrio in stato di estrema precarietà
Ventiquattro artisti internazionali indagano il concetto di equilibrio, attraverso sculture, installazioni, fotografie, dipinti, performance, disegni e video.
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- Ginevra Bria
- 15 ottobre 2018
- Amersfoort, Olanda
courtesy de kunstenaar. Foto: Peter Cox
courtesy de ontwerpers. Foto: Mike Bink
courtesy de ontwerpers. Foto: Peter Cox
Foto: Peter Cox
Foto: Peter Cox
Foto: Peter Cox
Foto: Peter Cox
courtesy de kunstenaar en Galerie Fons Welters, Amsterdam
Foto: Peter Cox
Foto: Peter Cox
Foto: Peter Cox
Il museo olandese è collocato ad Amersfoort (Utrecht), situato all’interno del complesso rinominato Eemhuis e disegnato dagli architetti di Rotterdam Neutelings Riedijk Architects. L’istituzione non detiene una collezione propria, ma con le ultime mostre si sta orientando verso un più ampio impulso a dare il benvenuto ad artisti e altre istituzioni provenienti da tutto il mondo. In aggiunta alle mostre, Kunsthal KAdE organizza una programmazione aperta al pubblico di visite guidate, laboratori e conferenze. Attualmente lo spazio espositivo vanta la più estesa ricognizione artistica dedicata al concetto di equilibrio, formulando un itinerario che occupa diversi piani e centinaia di metri quadrati. La selezione dei lavori, operata da due curatrici, è affettatamente ampia e deliberatamente non congruente: includendo dal video di Alex Schweder & Ward Shelley ReActor, Half Turn (2016) alle sculture di Auke de Vries, a un mobile di medie dimensioni di Alexander Calder. Ma ci sono anche lavori preziosi sui quali soffermarsi.
Di Jose Dàvila, ad esempio, le due curatrici hanno selezionato Joint Effort (2015) realizzato in vetro, roccia e cinghie da carico. L’artista ha posizionato due lastre di vetro trasparente in prossimità di un enorme masso, utilizzando fasce da carico commerciali e colorate per contenere la tensione tra questi oggetti discreti. La scultura appare in stato di equilibrio precario, come un insieme di gesti captati tra distruzione imminente e la permanenza. La struttura diventa quindi attiva: una permanente e performativa interdipendenza di cose. Dávila cita costantemente, si riappropria e reinterpreta alcuni movimenti della storia dell’arte. In queste sculture lui condensa la freddezze e la precisione del minimalismo, espresso da materiali grezzi. I richiami a Barnett Newman creano non solo un’analogia – ben ritrovabile nelle cinghie colorate che sono una reminiscenza potente dei suoi dipinti, ma anche nella modalità secondo la quale queste sculture sembrano scendere a patti con il concetto di sublime, emancipato dall’artista americano.
In una piccola stanza scura, i visitatori possono anche guardare A Game of Chess (2011) di Marcel Dzama, un film portato a termine a Guadalajara, in Mexico, un girato che porta on sé l’influenza dell’artigianato locale e le tradizioni religiose. La nozione di capro espiatorio e di risurrezione miscelate con l’idea senza tempo della rivalsa rappresentato dal gioco, nonché la distinzione tra realtà e finziona, alla fine sfumano e entrambi i personaggi in costume e quelli della vita vera vengono uccisi. La linea della storia, in questo senso richiama quella prediletta dai surrealisti nei confronti della logica del sogno rispetto ad altre forme narrative, incarnata dalle pellicole di Luis Buñuel tra gli anni Venti e i Trenta. Se dunque i video di Samson Kambalu Rocking Chair (2017) e Snow Ball (2015) espandono il concetto speculative della mostra di analisi tra equilibrio fisico ed equilibrio mentale, la foto singola di Job Koelewijn, titolata A balancing act (1998), ripresenta una delicata performance urbana posta all’interno di un paesaggio intrappolato in uno spazio di infinito claustrofobico, come il troppo stretto ed eterno mondo della storia dell’arte. Un paesaggio comune che abbiamo tutti visto così tante volte, ma che adesso diventa veramente visibile per la prima volta, grazie ad un atto di equilibrio, inscenato in uno spazio precario e in un tempo che diventa differente.
- A Balancing Act
- 15 settembre 2018 – 6 gennaio 2019
- Judith van Meeuwen e Marjory Degen
- Kunsthal KAdE
- Eemplein 77, Amersfoort, Paesi Bassi