Per tutti coloro che ne hanno seguito le gesta negli ultimi vent’anni è sufficiente leggere il nome della “art band” viennese Gelitin per rievocare una serie d’immagini, situazioni buffe, eccentriche, talvolta scandalose eppur sempre distinguibili nel flusso ininterrotto dell’art world. Per tutti i neofiti, il collettivo austriaco Gelitin è un gruppo di quattro artisti quarantenni diventati noti per le loro opere ed eventi partecipati, che hanno descritto fin dal 1993 (anno della formazione del gruppo) un proprio approccio autonomo e identitario in quella tradizione artistica tipica degli anni Novanta che il critico Nicolas Bourriaud definì come estetica relazionale, conquistando velocemente critica e pubblico delle più importanti istituzioni e biennali dell’arte contemporanea.
Come terzo e penultimo capitolo del progetto espositivo ideato dal Thought Council della Fondazione Prada (i curatori Shumon Basar, Cédric Libert, Elvira Dyangani Ose e Dieter Roelstraete), “Slight Agitation” propone nuovamente un intervento site-specific concepito per gli ampi spazi della Cisterna del distretto artistico milanese. Dopo le opere di Tobias Putrih e Pamela Rosenkranz, ecco il progetto elaborato dai Gelitin dal titolo Pokalypsea-Apokalypse-Okalypseap e composto da tre imponenti sculture situate in tre ambienti.
Il titolo, già di per sé evocativo, ci suggerisce l’identità e la densità del progetto; fatto d’incastri, decostruzioni e ricombinazioni di elementi che spaziano dall’infinità di oggetti recuperati per erigere le tre sculture-installazioni, come vecchie ante di armadi, comodini e altri mobili che ci suggeriscono un immaginario domestico sostanzialmente congelato agli anni Settanta, alla plastilina policroma per realizzare la figura umana, ai blocchi di polistirolo affiancati per comporre l’eccentrico iglù-obelisco.
Un obelisco appunto, poi un arco di trionfo e infine una sorta di torre di babele-anfiteatro: i Gelitin sembrano voler rivisitare e far deflagrare la retorica delle classiche forme architettoniche pubbliche e monumentali, espressione di potere, conquista e memoria storica invertendone i codici e il precipitato simbolico. Laddove i segni architettonici che accompagnano tali monumenti sono solitamente legati a una retorica di supremazia, di centralità e di protensione verso l’alto, questa mal celata metafora fallica del potere viene sabotata dai Gelitin che vi contrappongono invece le loro installazioni anarchiche, aperte e collettive costellate da segni umoristici ed evanescenti, che sempre alludono alla centralità del corpo come unico possibile strumento anarchico.
Il corpo dei Gelitin è proprio il loro, come principio di tutta la loro poetica: da quando il gruppo appena ventenne si costituì, i loro corpi erano quelli di ragazzi in un campo estivo. Evasione, complicità, quell’estetica ormai scomparsa di una generazione giovane europea che viaggiava in camper o roulotte per raggiungere laghi e montagne dove allestire insediamenti effimeri, della durata di un’estate e dove combinare esperienze regressive ma autentiche. Ecco che in quelle comunità teatrali improvvisate, il gruppo ha assunto la fisicità e la sua espressione nelle sue qualità più dissacranti e incontenibili.
La centralità del corpo, si diceva, è qui ribadita dalla posizione occupata dall’Arc de Triomphe (2003-2017) nello spazio centrale della Cisterna. La figura maschile descritta dai Gelitin “alta come un elefante” è l’ennesima espressione scanzonata e ribelle di quella sostituzione simbolica che vede la parte apicale di uno dei qualsiasi archi trionfali che dominano le città del mondo, rimpiazzata qui da un corpo in tensione a creare un arco a tutto sesto (presumendo quindi una durata limitata nel tempo dell’azione) con un pene eretto dal quale zampilla armoniosamente dell’acqua come in una fontana, finendo direttamente nella bocca dell’individuo e creando così un una sorta di loop.
È del tutto evidente il gioco semantico che affratella questo anti-monumento del quartetto austriaco a episodi della storia dell’arte come il Self-Portrait as a Fountain (1966) di Bruce Nauman, alla Fontana (1917) di Duchamp: in entrambi i casi la sostituzione di un elemento statico e monumentale tipico dell’arredo urbano con un corpo o con un oggetto che sottende alla sue funzioni fisiologiche. L’urina, lo sputo creano quindi un contrasto simbolico tra acque pubbliche e fluidi privati, personali.
È un aspetto per niente secondario quello dei vari “fluidi” che spesso accompagnano le operazioni dei Gelitin, come ben descrive il curatore Dieter Roelstraete in suo saggio che accompagna la mostra: “Il mondo Gelitin è interamente composto da umori e c’è ancora qualcosa d’inesplorato e non sufficientemente teorizzato nella fascinazione formale per i fluidi che connota l’arte del gruppo, in cui la liquefazione assurge a principio scultoreo e in cui i fluidi corporei assumono una preminenza assoluta”. Non si deve tuttavia pensare all’utilizzo di saliva, sperma o urina come a presenze superficiali, grottesche e tipiche di molta arte sensational tipica degli anni Novanta, ma rimandano ancora al corpo e alle sue funzioni, presentando per altro similitudini con l’esperienza di Atelier Van Lieshout, entrambi creatori di dispositivi, di strutture utopiche e splendidamente inutili.
Progettare dispositivi. In questo, va detto, i Gelitin sono da sempre prolifici e inarrestabili creatori: persino la loro vastissima produzione “scultorea” non si definisce mai in forme concluse e compiute ma in oggetti che alludono a funzioni, azioni esattamente come corpi con le loro rispettive vite. E poi ancora altri “dispositivi” come libri d’artista e persino libri per bambini, estendendo la loro performatività al di fuori dei luoghi deputati all’arte, creando esperimenti di Land art come il grande coniglio rosa realizzato nel 2005 in Piemonte o creando spazi parassitari come il balconcino costruito con mobilio di scarto a 300 metri di altezza sul World Trade Center The B-Thing (2000).
La destabilizzazione di monumenti e spazi, il rovesciamento di senso e funzione, innesca nelle opere dei Gelitin varie forme d’improvvisazione, interazione ed esperienze simboliche. L’atto d’immaginare, concepire e solo assistere a tale destabilizzazione permette alla nostra immaginazione di testare i parametri dell’esperienza quotidiana, del vivere collettivamente e rimettere al centro la nostra anatomia nelle sue istanze più libere, indisciplinate e appunto, anarchiche.
© riproduzione riservata
- Titolo mostra:
- Slight Agitation 3/4: Gelitin
- Date di apertura:
- 20 ottobre 2017 – 26 febbraio 2018
- Sede:
- Fondazione Prada, Cisterna
- Indirizzo:
- largo Isarco 2, Milano