Un sentimento strano, fluido e accompagnato da un suono essenziale, è ciò che da sempre accompagna le opere di Allora & Calzadilla.
Allora & Calzadilla
Al Festival d'Automne di Parigi, gli artisti portoricani Allora & Calzadilla fanno parlare, vibrare, cantare e suonare ossa d’elefante, Veneri protostoriche, fischietti e pagine di un quotidiano, trasformando in poesia l’elemento crudo dell’osservazione antropologica.
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- Ivo Bonacorsi
- 23 settembre 2013
- Parigi
Chi conosce il loro lavoro – di cui vale la pena ricordare il Padiglione Americano alla Biennale di Venezia del 2011 – sa che i due artisti portoricani definiscono un perimetro e una misura straniante, alla quale si attengono con gioia e rigorosa disciplina. È la stessa energia che, in questi giorni, investe le battute d’avvio del Festival d’Automne à Paris.
Seguendo una strategia complessa, da cui si dipanano fili reali di narrazioni e suoni, Allora e Calzadilla compattano in due nuovi film – 3 e Apotome, visibili alla galleria Chantal Crousel – materiali splendidi e algidi nelle metafore squisite.
Facendo parlare, vibrare, cantare e suonare materiali eterogenei – ossa d’elefante, Veneri protostoriche, fischietti e pagine di un quotidiano – Jennifer Allora e Guillermo Calzadilla procedono nella rielaborazione di un materiale comune, a prima vista incongruo, ma soprattutto procedono nella loro serie d’incontri con mondi situazioni e scenari su cui innestare il lavoro di critica sociale e la loro estetica, per poi trasformare in poesia l’elemento crudo dell’osservazione antropologica.
Per il programma del festival d’autunno parigino si potrebbe partire dall’effetto virale del poster, che riproduce la foto di un lavoro davvero datato, Hope Hippo, la prima partecipazione di questo duo d’artisti alla Biennale di Venezia, nel 2005: un giovane uomo seduto sopra un ippopotamo di fango intento a leggere il giornale. Tanto si scrisse su questi colpi di fischietto che partivano ogni qual volta nel testo si incontravano frasi che riguardavano l’ingiustizia sociale: un termometro, un allarme o un’ammonizione; piuttosto il segnale di una precisa allerta al genere umano. Questo lavoro – creato in quell’occasione con il fango della laguna – è sparito, ma si è ora rimaterializzato in una splendida collocazione: Hope Hippo troneggia in una posizione strategica nella Grand Galerie de l’Evolution al Museo di Storia Naturale di Parigi, come un guardiano alla sommità di un osservatorio speciale in grado di continuare la sua missione sofisticata. Che la lettura del quotidiano nell’accezione di Heidegger faccia parte della deriva religiosa dell’uomo nel mondo moderno contribuisce probabilmente ad aumentare il credito nell’utilizzo delle metafore che permea il lavoro di Allora & Calzadilla.
Eccoli allora metterci in guardia sul fatto che non si tratta solo della riedizione di un vecchio lavoro, ma l’inizio di una nuova favola con nuovi lavori prodotti per questa occasione e che sono scaturiti dalla frequentazione di questo luogo. Gli artisti suggeriscono che, non solo non siamo in una silenziosa Wunderkammer del pensiero post-illuminista, ma che il luogo è anche impregnato di sostanze e reperti sensibili da riattivare. È un guardiano che ha raccontato loro l’incredibile e bizzarra storia dei due elefanti Hans e Parkie i cui scheletri giacciono nelle riserve della Zooteca e sono stati l’input di Apotome, film e partitura di 23 minuit e 5 secondi nell’esecuzione di Tim Storms, l’uomo capace di emettere le frequenze più basse del mondo. Un grottesco gioiello che si attiva solo grazie alle sue incredibili capacità vocali. Per i due animali fu, infatti, improvvisato un concerto nel maggio del 1798 e in esclusività: fu la prima performance musicale a essere documentata a uso della sola specie animale. Un perfetto esempio di connessione metalinguistica tra specie e un esperimento effettivo di comunicazione su base evoluzionistica. Ora il cantante americano ne reinterpreta i brani – che vanno da Ifigenia in Tauride di Gluck, fino al canto rivoluzionario Ça ira – musica davvero inudibile e, proprio come per il titolo del film, una difficile misura pitagorica del canto.
Lo sforzo è quello di descrivere l’eccedere della sensibilità uditiva e la performance di Tim Storms – nell’intenzione di Allora e Calzadilla – cerca di far riaffiorare ciò che nell’atto comunicativo e interpretativo resta spesso tagliato fuori. Sicuramente immersi in un incredibile trip bio-musicologico, chiudono il loro trittico parigino con 3, film godibilissimo di 18 minuti e 13 secondi costruito attorno alla Venere paleolitica di Lepugne.
La performance della violoncellista Maya Beiser sembra scolpire una forma musicale sull’andamento sinuoso della disproporzione formale di questa abnorme figurina ricavata da un Mammuth. Paralleli formali, conflitti aperti tra proporzione e sproporzione, gusto esacerbato per il disequilibrio sono quanto di meglio, anche in questa perfetta prova parigina, Allora & Calzadilla continuano a reinventare.