“Ogni tanto c’è chi definisce il mio lavoro in rapporto con l’architettura”, incalza. “Io non ne sono così convinto. A me interessa piuttosto l’aspetto legato alla costruzione. L’architettura per me è un dispositivo politico e sociale che serve a organizzare un gruppo di persone all’interno di un territorio urbano che è in tensione: è un esercizio ideologico per dirimere il sistema di rapporti sociali nel contesto urbano. Il mio lavoro, invece, comincia prima, su un piano antropologico e filosofico. Il lavoro del costruttore è comprendere la posizione dell’uomo in rapporto con la natura.
Possiamo avere solo la percezione dello spazio, dobbiamo definire la nostra presenza nella natura costruendo. La casa è il modello teorico della legittimazione dell’umanità, e nello stesso tempo la materializzazione della percezione della solitudine dell’uomo nel mondo. La domus è la sola cosa reale al mondo.
Loredana Mascheroni: Come hai concretizzato queste tue riflessioni nel progetto per la Biennale di Venezia?
Pedro Cabrita Reis: Mi piace fare lavori che contaminano spazi diversi, come un corpo che si allarga e assorbe lo spazio, lo chiama, lo integra nella sua identità. Quando ho visitato Palazzo Falier, lo scorso novembre, sono stato colpito dalla sua doppia anima: era un tipico palazzo veneziano, eppure assolutamente minimalista. La sua austerità mi piaceva e lo rendeva adatto a creare una tensione: aveva una temperatura particolare. A Remote Whisper dà origine a un’esperienza di tempo e di spazio che non è fisicamente definita, a un’intangibile situazione dove la traiettoria di visita dello spettatore determina la sua percezione del lavoro. Il percorso tra le sale viene interrotto da elementi di rottura come giacche degli operai, arance, brocche d’acqua... come in uno spartito dove il silenzio contribuisce a creare la melodia tanto quanto le note. Questi momenti di interruzione della fruizione dell’itinerario obbligano a ripartire e a pulire il processo della comprensione.
Loredana Mascheroni: Secondo quale prassi è stata creata l’installazione? Sei partito da un modello?
Pedro Cabrita Reis: Ho cominciato da un modello molto ricco, stratificato, che mi ha aiutato a mettere a fuoco le differenti prospettive secondo cui affrontare l’installazione. Ho messo in luce una rete complessa di prospettive, una strategia per comprendere la realtà. Un’opera d’arte ha il compito di allargare l’intelligenza grazie alla creazione della domanda perfetta, una domanda utopica che in se stessa racchiude tutto. Il modello è stato un punto di riferimento strutturale e concettuale, ma il lavoro vero e proprio l’ho fatto direttamente a Palazzo Falier. Modelli e lavoro non sono legati uno all’altro. In genere ho tutto nella mente. Niente è fatto in maniera definitiva: bisogna essere molto attenti e pronti a cambiare, a dimenticare quello che si è fatto in passato. È come essere in campagna a caccia: non hai bisogno di avere molto equipaggiamento ma di essere capace di saltare e muoverti.
Loredana Mascheroni: Una delle cose che caratterizza il tuo lavoro e includere oggetti trovati.
Pedro Cabrita Reis: Lungo la strada che da Palazzo Falier portava a casa abbiamo trovato dei graffiti della Venezia antifascista che abbiamo incorporato nel progetto, come del resto altri materiali reperiti in città. Tutto quello che si trova nella tua vita quotidiana è importante, perché può parlarti in modo molto specifico, portare con sé la storia — i remote whispers — del luogo a cui appartiene. Quando cammino per una città mi appunto quello che incontro, che poi diventa parte del mio lavoro. Ecco perché ogni mio lavoro è diverso, porta con sé l’anima dello spazio che lo ospita.
Loredana Mascheroni: Il rapporto con lo spazio è centrale nel tuo lavoro.
Pedro Cabrita Reis: Non si tratta mai di riempire lo spazio con l’arte, che è una prassi che scivola nella decorazione di interni. Dietro a uno spazio c’è un’idea, una storia, un momento, un percorso. Bisogna saper proporre un intervento che non negozi con lo spazio, ma che si ponga in continuazione con esso, un’opera di rinnovamento. Credo nell’importanza di partire dalle rovine per ricostruire.