A Rivoli Paola Pivi riunisce un migliaio di ritratti fotografici di tulku del buddismo tibetano, persone riconosciute come la reincarnazione di un maestro buddista vissuto in precedenza. Questi ritratti di dimensioni differenti sono allestiti lungo i lati della Manica Lunga, una galleria lunga più di 140 metri, in fondo alla quale è stato esposto un thangka (dipinto) tibetano del XVII secolo raffigurante il tulku Tsuglag Gyatso, il Terzo Pawo Rinpoche (c.1576-1630).
L'artista si propone di raccogliere ritratti e informazioni del maggior numero possibile di tulku e delle loro precedenti reincarnazioni, a partire dall'avvento della fotografia fino ad oggi, ai fini di creare una collezione quanto più completa, se non esaustiva, di immagini fotografiche raffiguranti i tulku, appartenenti alle diverse scuole buddiste e bonpo, in tutte le aree del mondo dove è praticato il buddismo tibetano. Nel 2013 il Witte de With Center for Contemporary Art di Rotterdam, che ha commissionato il progetto insieme al Castello di Rivoli, presenterà l'ulteriore sviluppo di questa ricerca. La ricerca e la raccolta di immagini continueranno fino al 2018.
Pier Francesco Cravel: Il senso di questa mostra è lo studio etnografico di una teocrazia in via di estinzione o la denuncia del rischio di distruzione di una cultura?
Paola Pivi: Il buddismo tibetano è diffuso oltre i confini del Tibet, in India, Mongolia, Bhutan, Nepal e altre regioni del mondo. Oggi esistono tulku che si reincarnano in Occidente o che vi si trasferiscono. In alcune di queste aree, come ad esempio in Bhutan, non c'è il rischio di distruzione della cultura.
Il tulku in una teocrazia è un capo religioso ma anche un capo politico. Essi sono venerati come figure divine e hanno un grande potere. In presenza di un tulku ci si abbassa perché la propria testa sia più bassa della sua. Quando in una stanza c'è un tulku, se per una qualche ragione si abbassa, tutti quanti si abbassano, dando luogo a una sorta di bellissima danza di teste. Sono rituali antichi, tramandati da centinaia di anni. Poiché sono occidentale, ho delegato la direzione della ricerca ai tibetani stessi, assecondandoli ogni volta che, per rispettarne la cultura, mi veniva chiesto di modificare degli aspetti del progetto.
Raccogliere tutte queste immagini è un lavoro colossale che dura da tre anni e che ancora dobbiamo finire. Abbiamo avvicinato tutte le istituzioni nel mondo che potrebbero conservare delle foto come —cito tre esempi a caso—il Newark Museum di Newark (US), il Pitt-Rivers Museum presso Oxford University, il Namgyal Institute of Tibetology, a Gangtok, in Sikkim. E grandi fotografi, come Melina Mulas che ha avuto l'incarico dal Dalai Lama anni fa di fotografare molti tulku e maestri, Don Farber, che li ha ritratti per trent'anni, Tim Rooderys, che avendo appreso di questo progetto ha deciso di dedicarvi sei mesi della sua vita, e molti altri ancora.
Il mio lavoro di artista consiste nell'avere avuto quest'idea e averla portata fin qui. Ho deciso la dimensione delle foto e scelto quelle che mi piacevano di più, attratta da un particolare architettonico, dalla bellezza di uno sfondo, dalla decorazione dei troni, dagli abiti, dalle posture o dagli sguardi. Posso disporre una dopo l'altra le immagini di due tulku di cui il secondo è la reincarnazione del primo. Decidere il loro allestimento.
Per un buddista un’immagine grande, bella, scattata da Raghu Rai o Matthieu Ricard e un’immagine sfocatissima, molto piccola o pubblicata sul web, hanno lo stesso valore spirituale
È un thangka tibetano del XVII secolo. È esposto in posizione centrale, come simbolo dell'origine della tradizione ritrattistica fotografica dei tulku. La fotografia più antica finora ritrovata, che ritragga un tulku, risale al 1873; ritrae Sidkyong Tulku, tulku e ottavo re del Sikkim, una monarchia indipendente fino al 1976 e ora uno stato dell'India. In mostra abbiamo i ritratti del Decimo e Undicesimo Pawo Rinpoche, quello di Lama Osel, uno spagnolo, perché oggi le reincarnazioni avvengono anche in Occidente. Altre immagini antiche provengono dall'archivio del Ministero della Religione del Governo Tibetano In Esilio (Dept. of Religion and Culture, Central Tibetan Administration) da un vecchio album di foto scattate da qualcuno che cinquanta anni fa deve aver avuto un'idea simile alla mia. Non conosciamo nemmeno il nome di oltre la metà dei personaggi ritratti in questo album.
Queste foto sono sacre, la foto "è" il tulku. Se proprio vogliamo cercare un corrispondente per capirci, potrei dire che sono come l'ostia.
Centinaia di persone, di istituzioni e di tulku, a iniziare dal Private Office di Sua Santità il Dalai Lama, fino a dei tulku bambini che apparentemente ancora sanno poco del loro destino, mi hanno dato la loro fiducia prestandomi le loro foto o le foto di altri tulku che avevano. Queste foto sono sacre per definizione, anche senza bisogno di una cerimonia o rituale. Per questo non potrò gettare le prove di stampa, perché contengono il tulku. Queste immagini potenti e bellissime già esistono nella cultura del buddismo tibetano, si trovano nei monasteri, nelle case buddiste, nei negozi, negli uffici, si possono comperare per strada. Ho fatto una raccolta a tappeto di tutte queste immagini e parallelamente una ricerca su ognuna di esse, avvalendomi della straordinaria consulenza del grande storico tibetano Tashi Tsering, Direttore di Amnye Machen Institute, Tibetan Centre for Advanced Studies, in Dharamshala, India. In mostra sono esposte anche molte foto antiche di tulku di cui non conosciamo nemmeno il nome. Studiando gli itinerari dei missionari che avevano scattato le foto, tenteremo, interrogando gli anziani del luogo, di identificarle.
In un'epoca caratterizzata dalla diffusione delle immagini attraverso il web e quindi anche dalla velocità del loro consumo ha senso rievocare la sacralità stessa di un'immagine? Queste immagini postate su Facebook non perdono la loro dimensione trascendente?
No, per un buddista un'immagine grande, bella, scattata da Raghu Rai o Matthieu Ricard e un'immagine sfocatissima, molto piccola o pubblicata sul web, hanno lo stesso valore spirituale.
Paola Pivi
"Tulkus 1880 to 2018"
a cura di Davide Trapezi
fino al 6 gennaio 2013
Castello di Rivoli, Museo d'Arte contemporanea
Piazza Mafalda di Savoia
Rivoli (Torino)