di Lucia Tozzi

La metropolitana di Napoli deve la sua iniziale notorietà alla scelta dell’amministrazione di commissionare a grandi artisti opere site-specific per gli spazi interni ed esterni delle stazioni, in modo da riuscire in un colpo solo a rendere più attraente l’uso del mezzo pubblico, a dare impulso alla riqualificazione di quartieri degradati e a offrire una sorta di “museo obbligatorio” a una popolazione che in precedenza non ha mai avuto molte occasioni di contatto con l’arte contemporanea.

Il successo di questa operazione, unito all’aspettativa suscitata dai progetti di Siza, Fuksas, Rogers, Tagliabue, Perrault, Botta e altri per le nuove “stazioni dell’architettura” in corso di realizzazione, ha avuto però l’effetto di dirottare l’attenzione sui singoli interventi, lasciando in ombra l’imponente progetto della rete infrastrutturale. Quello che sta avvenendo a Napoli, in effetti, non è il prolungamento di una linea o la costruzione di un passante ferroviario, ma l’attuazione di un rivoluzionario sistema dei trasporti elaborato a partire dal 1994 nell’ambito di un processo di pianificazione integrato con l’urbanistica.

I numeri sono impressionanti: una volta ampliate, interconnesse e rifunzionalizzate le linee su ferro esistenti, e dopo averne costruite altre 3 ex novo, le linee della metropolitana dovrebbero passare entro il 2011 da 2 a 10, le stazioni da 45 a 114, i nodi di interscambio da 5 a 36, la popolazione servita dal 25% al 70%. Porto, stazione centrale e aeroporto saranno finalmente connessi dalla sola linea 1. Dopo la Tav, è la grande opera più importante d’Italia. Un investimento di tale portata lascia facilmente intuire come Napoli, più di qualsiasi altra città italiana, abbia individuato nella mobilità un potente strumento di trasformazione urbana, assegnandole un ruolo che oltrepassa gli stretti limiti delle problematiche della congestione. Se infatti l’altissima densità (8.551 ab/kmq contro i 1.841 di Roma) e la complessa orografia della città rendono indispensabile l’offerta di un’alternativa seria all’uso dell’automobile, la progettazione della rete non ha più nulla a che vedere con la banale esigenza di collegare centro e periferie: l’obbiettivo primario è anzi annullare la gerarchia tra il centro storico di Napoli e il suo circondario, formato a sua volta da centri storici e insediamenti di edilizia popolare saldati l’uno all’altro da uno sprawl ininterrotto.

A questo scopo le linee della metropolitana, invece di assumere la classica configurazione radiale, sono state strutturate in tre anelli intersecati tra loro e da una serie di collegamenti trasversali, in modo da garantire la più ampia possibilità di spostamenti ‘orizzontali’ tra i luoghi senza l’obbligo di passare per il centro e un altissimo numero di nodi di interscambio. I percorsi della metropolitana non si limitano, inoltre, a coprire le zone già abitate, ma precedono e condizionano la progettazione delle aree di futuro sviluppo: come nel caso della linea 8, che servirà l’area interessata dal progetto di riconversione dell’ex-Italsider di Bagnoli, destinata ad accogliere un parco, un porticciolo turistico e la città della scienza, o della linea 3 (che forma insieme alla 4 l’anello est) e di un tratto della 1, fondamentali per i nuovi piani di espansione del Centro Direzionale e di riorganizzazione dell’area orientale.

Ancora più interessanti sono gli interventi di eliminazione delle barriere: mentre nel resto d’Italia si continua a costruire infrastrutture pesanti come negli anni ’50, con un atteggiamento di totale indifferenza verso il contesto, a Napoli si elaborano soluzioni per cancellare quelle più dannose. La realizzazione della metropolitana regionale Alifana – che prevede l’interramento della vecchia linea ferroviaria che collegava il centro della città con i comuni a nord – ha creato ad esempio l’opportunità di progettare la riqualificazione di un’area notoriamente ‘difficile’ che tocca Miano, Secondigliano, Piscinola e Scampia: la sostituzione dei binari di superficie con una strada alberata e la ricucitura dei tessuti viari secondari determina l’attivazione di un nuovo spazio pubblico e di un’accessibilità finora sconosciuta a centri urbani da sempre separati.

“L’urbano è essenzialmente il luogo dello scambio, della mobilità”, non si stanca di affermare Bernard Tschumi. Il movimento frenetico ha sempre connotato la città di Napoli, ma questo è il primo tentativo serio di convertirlo da un’esperienza di fatica e sopraffazione in una forma di qualità della vita.