Chissà che fine faranno tutte le stazioni di servizio quando per fare il pieno basterà una semplice presa elettrica. Nasce subito una nostalgia preventiva. Nel primo anno di Domus, Gio Ponti invece scriveva Lo stile della benzina (Domus 11, novembre 1928) che metteva a fuoco il nuovo fenomeno degli impianti di rifornimento “Lampo” che cominciavano a comparire nei paesaggi urbani padani. Con l’annessione di Fiume del 1924 l’Italia aveva poi acquisito la sua prima raffineria, la Romsa, che dal 1926 era diventata proprietà dell’Agip, Azienda Generale Italiana Petroli. Mentre il termine fordismo non era ancora stato coniato e Tazio Nuvolari costituiva la sua prima scuderia corse, Ponti era affascinato da questi candidi padiglioni, “semplici, cementizi, bianchissimi, con larghe gronde sporgenti a sbalzo a riparare le macchine: sono ornati soltanto di sportivi richiami pubblicitari”.
Vedeva arrivare da lì la modernità che avrebbe cambiato tutta l’architettura, proprio in quelle colonnine dove si erano rifornite le Humber e Delage scandalosamente accostate da Le Corbusier ai templi greci di Paestum e del Partenone cinque anni prima in Vers une architecture: “L’automobile è un oggetto dalla funzione semplice (spostarsi rapidamente) e dai fini complessi (comfort, resistenza, estetica) che ha imposto alla grande industria la necessità della standardizzazione […] Da qui nasce lo stile, cioè l’acquisizione unanimemente riconosciuta di uno stato di perfezione generalmente avvertito”.
Ecco dunque lo stile della benzina, parallelo a quelli architettonici anche se questi ultimi rifiutano di ritenersi tali a partire dal modernismo, preoccupato solo della funzionalità e dall’impatto sociale, mai dell’estetica.
Tuttavia è divertente scorrere gli impianti di rifornimento in senso cronologico: a ogni decennio corrisponde se non uno stile, una cifra o quantomeno uno Zeitgeist. Dal machinisme degli anni ‘20 si passa alle forme sinuose degli anni ‘30 di Klampenborg in Danimarca dove nel 1937 Arne Jacobsen disegna un grande ombrello piatto e perfettamente circolare mentre l’anno dopo Giuseppe Pettazzi ad Asmara, in Eritrea, realizza il distributore Fiat Tagliero con sembianze déco che dal 2017 è patrimonio Unesco.
La Seconda guerra mondiale è una cesura anche in questo campo, ma poi le ricostruzioni nazionali e la nuova affluent society del Dopoguerra gonfiano le vele a queste piccole infrastrutture che sono occasione di rinnovamento dell’immaginario: il punto ristoro Pavesi che nel 1958 Angelo Bianchetti realizza sulla Milano-Laghi è un grande salto verso il futuro, così come lo è il Mottagrill di Cantagallo sull’Autostrada del Sole di Melchiorre Bega di due anni dopo, coronamento della grande avventura del boom italiano frutto del quadrumvirato Eni-Autostrade-Fiat-Pirelli.
Anche i maestri sono stati costretti a confrontarsi con questo tema, a partire da Frank Lloyd Wright che fa volare una delle sue coperture di rame sopra la Service Station di Cloquet, Minnesota nel 1958, mentre circa dieci anni dopo Jean Prouvé è totalmente a suo agio nel ripensare la catena Total in Francia e persino Mies van der Rohe nell’anno della morte (1969) si cimenta col tema, sull’Isola di Nun in Canada.
Gli anni ‘60 sono il decennio aperto dal libro d’artista pietra miliare del pop di Ed Ruscha, Twenty-Six Gasoline Stations (1963) e dal neofuturismo della serie a cartoni animati The Jetsons (1962) che hanno anticipato di poco i grandi spigoli rialzati della 76 Station a Beverly Hills di William Pereira e la Tramway Gas Station di Albert Frey e Robson Chambers in California, entrambe del 1965. Tra il 1970 e il 1971, ancora, poco prima della più grande crisi petrolifera del ‘900, Vittorio De Feo vinceva il concorso nazionale per il progetto di una stazione di servizio Esso, mentre Costantino Dardi e Giovanni Morabito realizzavano il metafisico cubo luminoso sospeso sopra la stazione Agip di Mestre-Bazzera.
Con la fine degli anni Settanta vediamo diffondersi poi una tipologia inedita, molto colorata, di stazioni di rifornimento in forma di dischi volanti nell’Unione Sovietica, da Kyiv a Baku.
Negli anni del postmoderno, invece, anche questi impianti in fondo funzionalisti e tecnologici si sono mascherati con il genius loci locale, come nella BP Station di Drakensberg, Sudafrica ovvero il paese dove è cresciuta Denise Scott Brown, coautrice di Imparare da Las Vegas (1972), il classico che ha studiato i billboard e gli effetti pop dell’uso di massa dell’automobile sulle città. Solo nel 1995 però Venturi, Scott Brown and Associates sono riusciti a realizzarne una pompa di benzina a Orlando, in Florida: la Exxon Gas Station per Disney World, in un certo senso il coronamento di un’intera carriera.
Anche l’era delle archistar si è distinta per progetti, con sir Norman Foster che nel 1998 ha ridisegnato la catena Repsol in Spagna, mentre negli ultimi anni si segnalano edifici dalle forme sempre più tonde come il Gas Galanta del Matúškovo Atelier SAD del 2011 in Slovacchia o appuntite come la stazione di servizio integrata con un fast food da Khmaladze Architects nel 2013 a Batumi in Georgia.