Si avvicina settembre, tempo di vendemmia, del fermento in cantina e di una miriade di eventi che richiamano appassionati, curiosi o semplicemente goderecci, che non vedono l’ora di rendere omaggio al Dio Bacco facendosi piacevolmente coccolare tra degustazioni e aperitivi. Se poi questa attitudine da “flâneur delle vigne” trascende la mera esperienza organolettica e si associa anche al desiderio di visitare opere di architettura contemporanea progettate da grandi maestri, l’agenda dei week ends settembrini comincia a farsi fitta. Dove il sole del Mediterraneo bacia la terra e addolcisce l’uva, paesaggi bucolici punteggiati di vigne avvolgono le cantine di aziende più o meno celebri che fanno della produzione vinicola non solo un lavoro ma anche una missione culturale: quella di trasmettere i valori di un sapere ancestrale conciliandoli con l’innovazione tecnologica e con la promozione del territorio di riferimento, commissionando a firme autorevoli le loro “cattedrali del vino”. Così dalla Rioja, al Bordeaux, alla Maremma, al Chianti, dalle costruzioni mimetiche che svaniscono letteralmente nel paesaggio (Archea associati) o si conformano ad esso (Botta, Pomodoro, Foster + Partners), alle sculture che si ergono come un landmark marcatamente riconoscibile (Calatrava, Gehry, Hadid, Sartogo, Portzamparc, Baggio Piechaud, Nouvel) o che non rinunciano ad astrazioni geometriche in dialogo con il paesaggio (Studiopizzi), fino alle opere schiettamente funzionali (Foster + Partners, Siza) e dal convinto sapore industriale (RPB workshop), le cantine sono espressione di cultura e di marketing strategico, a ricordare che una connessione “emotiva” tra architettura e vino non è poi così singolare: perché, come l’architettura è poesia “costruita”, così il vino – come diceva Stevenson – “è poesia in bottiglia”.
15 spettacolari cantine in Europa, firmate da grandi architetti
Da Gehry a Piano, da Hadid a Calatrava, una rassegna di progetti eccellenti che fanno da casa ad alcuni dei vini più celebri del pianeta.
Foto Roderich Kahn da Commons.Wikimedia
Foto Francesca Iovene
Foto Francesca Iovene
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- Chiara Testoni
- 28 agosto 2023
Questo articolo è stato aggiornato ad agosto 2024.
Concepita da un lato per rispondere alle esigenze del committente di spazi idonei per la produzione, lo stoccaggio e la vendita del vino e dall’altro come manifesto iconico per il prestigioso marchio “Rioja Alavesa", la cantina si situa in un contesto dall’orografia irregolare punteggiato da vigneti. Il chiaro e semplice impianto longitudinale si sviluppa in alzato con fronti poderosi rivestiti a nord da pannelli prefabbricati in cemento, a est e a ovest da lastre di alluminio, a sud da doghe di legno di cedro che ricordano le botti di vino. Una copertura sinusoidale in travi di legno lamellare e alluminio conferisce un carattere dinamico e scultoreo all’architettura.
Il complesso si adagia in una tenuta di quasi 300 ettari di terreno tra colline e vigneti. L’opera è caratterizzata da un volume cilindrico centrale sezionato da un piano inclinato parallelo alla collina, attraversato da un’imponente scalinata e piantumato a verde in copertura, e da due fabbricati laterali porticati. Il piano terra ospita la barricaia, le zone per l’invecchiamento, la vinificazione, l’imbottigliamento e l’imballaggio e gli spazi di degustazione; il piano primo gli spazi per la pigiatura e i locali tecnologici. Con il suo rivestimento in pietra di Prun, l’opera evoca l’immagine di un fiore che sboccia nel cuore della Maremma.
Una “bottiglia nuova per un vino storico”: così è stato concepito l’intervento commissionato a Zaha Hadid da una delle più antiche e rinomate famiglie di viticultori della regione per proteggere e valorizzare un vecchio padiglione espositivo in legno originariamente trasportato alla Mostra Internazionale di Bruxelles del 1910 e da allora in disuso. L’architetto irachena ha così ideato un involucro dalle forme sinuose e avvolgenti che sembrano evocare un decanter, o una navicella spaziale atterrata nella Rioja.
Un edificio schiettamente funzionale concepito per ottimizzare il processo produttivo viti-vinicolo dell’azienda ma anche per ospitare convegni, concerti ed eventi: questa la visione di Renzo Piano per la cantina nel cuore della Maremma che rivisita le tradizionali forme dell’architettura toscana in chiave contemporanea e con un linguaggio industriale. Il complesso è composto da una piazza aperta, un padiglione di vetro che ospita spazi amministrativi e commerciali, una torre che sovrasta la costruzione e da cui filtra la luce negli spazi ipogei, una cantina caratterizzata da una grande sala sotterranea, disposta ad anfiteatro, con una capacità di 2.500 botti di rovere. Vetro e terracotta incarnano la contaminazione tra processi industriali e tradizionali della vinificazione odierna.
"Un lembo di terra sollevato per aprire una sottile e longilinea fessura nel declivio naturale del terreno (…): non una cantina ma una grande ala di gabbiano affacciata a sud che può godere di un microclima molto particolare per la vicinanza del mare”. Così gli architetti descrivono la loro opera, incastonata nel paesaggio della Maremma come un’ala di gabbiano, appunto, o come la prua di una nave che punta verso il mare. L’edificio industriale, perfettamente integrato tra le colline e ricoperto di verde e piante arboree, con le sue forme sinuose sembra volere abbracciare il paesaggio, in una sintesi perfetta tra artificio e natura.
Il complesso situato in una delle più vivaci località di produzione vinicola della Spagna è caratterizzato da una geometria trilobata funzionale alle diverse fasi del processo produttivo: lavorazione, conservazione e mescita che si svolgono in ciascuno dei corpi di fabbrica. La struttura in cemento rivestita in scandole di acciaio cortén dal colore rossastro ricorda le accese e corpose cromie del vino.
La “Boutique Winery” dedicata alla produzione di vini DOC (dal Douro, al Porto al Moscatel), suddivisa in quattro piani, ospita al primo livello, quasi completamente interrato, un’area di stoccaggio e i servizi per il personale e i magazzini; al piano terra la seconda area di stoccaggio, gli spogliatoi e i servizi; al piano rialzato la reception e una sala di degustazione; a quello superiore, un auditorium. Il complesso rivestito esternamente in ardesia, pietra e sughero conserva un carattere “artificialmente naturale” che ben si inserisce tra i vigneti.
Per connotare l’immagine di una delle maggiori cantine del Bordeaux l’architetto ha pensato ad un volume sinuoso e avvolgente in cemento a vista. L’opera si configura come un maestoso “atelier del vino” di 5.500 mq sviluppato su due livelli: al primo piano sono collocate 52 vasche in cemento grezzo per la maturazione del vino ed una sala degustazioni; al piano interrato gli ambienti destinati alla produzione. L’edificio è stato progettato secondo criteri di sostenibilità, grazie alla presenza di una terrazza verde in copertura, allo studiato sistema di ventilazione e al meccanismo di filtraggio e reinserimento dell’acqua piovana.
Nella campagna umbra, il “Carapace” di Arnaldo Pomodoro è un’opera a metà strada tra arte e architettura: una scultura “abitata” in cui artificio e natura si fondono mirabilmente. La grande cupola rivestita di rame e incisa di crepe che evocano la terra da cui la costruzione scaturisce racchiude un interno dall’atmosfera crepuscolare come all’interno del ventre di un animale primordiale, con una maestosa struttura di archi a tre cerniere in travi reticolari di legno lamellare e arredamenti di un rosso brillante che evocano le foglie della vite.
Letteralmente immersa nel morbido paesaggio collinare del Chianti, la Cantina Antinori è prima di tutto un esperimento “geo-morfologico”: scavato fino a 15 metri nel fianco della collina, il complesso di quasi 45000 mq è per la maggior parte ipogeo e quasi invisibile dall’esterno, se non per le fenditure orizzontali che seguono i terrazzamenti a verde sotto ai quali si articolano gli ambienti di lavoro e ricreativi. Negli interni, materiali caldi e naturali come la terracotta, il calcestruzzo pigmentato di rosso e il cortén conferiscono agli spazi un’aura sacrale e senza tempo come in una cattedrale laica, dove i riti di un antico mondo contadino convivono con tecnologie industriali avanzate.
L’intervento di rinnovamento di un preesistente magazzino acquistato dal committente nei boschi della penisola del Medoc rifugge in qualsiasi modo da un linguaggio mimetico e vernacolare: l’opera si configura come un monolitico blocco in cemento bianco costellato di punti luce a LED che brillano segnalando la presenza iconica e inusuale dell’architettura nel paesaggio agreste. Il calcestruzzo è miscelato con un agente autopulente che consente di preservare la luminosità delle facciate e riduce i costi di manutenzione. Uno specchio d'acqua poco profondo che circonda la struttura riflette l’immagine dell’edificio e sembra fare magicamente fluttuare la poderosa massa.
Un’opera di land art: così appare questa cantina - ampliamento di un fienile in pietra esistente al centro del possedimento - che si inserisce tra le vigne con una geometria essenziale ed astratta: quattro pareti verticali a specchio e una terrazza/belvedere fluttuante sul paesaggio. Le facciate est e ovest sono in cemento rivestito da una serie di doghe orizzontali in acciaio inox lucidate e laccate di un rosso acceso, del colore del vino. La facciata nord è caratterizzata da un grande specchio che riflette le viti durante il giorno e rivela la sala della fermentazione nelle ore notturne. La copertura è una piastra orizzontale sottile, con la parte inferiore rivestita dello stesso materiale delle facciate.
L’edificio immerso nelle dolci colline del Bordeaux si pone come una struttura all’avanguardia per promuovere un vino di fama internazionale. La costruzione, a impianto circolare, è connotata da combinazione di due rampe: una esterna per enfatizzare il rapporto percettivo con il paesaggio e l'altra interna per condurre il visitatore nelle diverse fasi del processo vinicolo. Una galleria al livello superiore, con tavoli di degustazione, wine bar e spazi di intrattenimento, offre una vista panoramica sui vigneti adiacenti. Un involucro esterno in calcestruzzo rivestito in legno avvolge gli spazi, mentre una copertura in legno di 40 metri di diametro, composta da travi inclinate e rivestimento in tegole di terracotta di riciclo, si apre in un oculo centrale di 6 metri di larghezza da cui filtra la luce naturale.
Situata nel mezzo del Parco Naturale di Montevecchia e della Valle del Curone, la struttura si colloca a ridosso di un pendio collinare, radicandosi nel terreno. Una geometria semplice definisce l’architettura, con rigoroso impianto rettangolare. Al livello inferiore si situano gli spazi destinati alla produzione e un ambiente culturale, al piano superiore una piazza per eventi affiancata da un volume vetrato. La copertura, traforata da una scala e sostenuta da sottili colonne – tutto di acciaio Corten – sembra fluttuare nell’aria e inquadrare i vigneti e i piccoli insediamenti rurali che punteggiano il paesaggio. L’opera ha vinto il Premio Italiano di Architettura 2024.