In principio era la CCTV a Pechino, progettata da OMA e completata nel 2008. La sede del più grande network televisivo della Cina continentale ha cambiato lo skyline della capitale e del modo di intendere l’architettura nel paese. “CCTV è un edificio che introduce nuovi modi di concettualizzare, liberare e realizzare un edificio che non esisteva prima in Cina, e di cui sono sicuro che la cultura cinese e l'architettura cinese beneficeranno. Rappresenta chiaramente il posizionamento e la situazione della Cina.”
Questo edificio racconta anche una più ampia conversione economica e urbana del paese, che da essere il centro produttivo e manufatturiero per le multinazionale straniere si è trasformato in poco tempo in un polo di attrazione per le grandi compagnie internazionali. Non solo braccia nelle aree suburbane ma anche cervelli nei centri logistici delle metropoli cinesi.
Pechino, Shanghai, Guangzhou e Shenzhen sono i centri principali di quella che gli economisti chiamano “Headquarters Economy”, che coinvolge centri d’investimento, colossi della finanza, multinazionali dell’hi-tech case farmaceutiche.Le architetture muscolari che rappresentano questi colossi privati sono spesso grandi studi globali: da Zaha Hadid Architects a OMA, da SOM a Foster + Partners.
La Cina è un punto di osservazione privilegiato per studiare quel “processo di annullamento delle caratteristiche nazionali a favore dell’adozione su scala quasi universale di un singolo linguaggio moderno” che lo stesso Rem Koolhaas ha indagato con la Biennale Architettura di Venezia del 2014, in cui uno dei temi principali era Absorbing Modernity 1914-2014: “Nel 1914 aveva senso parlare di architettura cinese, architettura svizzera, architettura indiana”, spiegava l’architetto olandese nella presentazione della Biennale. “Cent’anni dopo, sotto la pressione di guerre, regimi politici diversi, molteplici condizioni di sviluppo, movimenti architettonici nazionali e internazionali, talenti individuali, amicizie, traiettorie personali casuali e sviluppi tecnologici, le architetture che un tempo erano specifiche e locali sono diventate intercambiabili e globali. Sembra che l’identità nazionale sia stata sacrificata sull'altare della modernità”.
Continuiamo questo filone di indagine con una selezione di headquarters costruiti in Cina negli ultimi cinque anni e progettati da grandi firme internazionali. Escludendo quindi architetti locali come Neri & Hu o Wang Shu, che con la loro pratica reinterpretano la cultura popolare cinese con un linguaggio contemporaneo.
Tralasciando i giudizi sulle singole architetture vogliamo raccontare una tendenza che per alcuni è parte del “disastro urbano” che si compie nelle grandi metropoli cinesi, mentre per altri è figlia di un inevitabile progresso.