Rinnovare anziché costruire: Laparelli sulla “fast architecture”

Abbiamo parlato con Ippolito Pestellini Laparelli, fondatore di 2050+, che attraverso i suoi progetti – e quelli di altri – ci racconta una delle best practice di cui abbiamo bisogno.

Che cosa succederebbe se di punto in bianco smettessimo di costruire nuovi edifici e iniziassimo a intervenire unicamente su quelli esistenti? Se iniziassimo a pensare che tutto il costruito delle città fosse già sufficiente e che lo sforzo progettuale si potesse concentrare solo sul migliorarlo?
A questo scenario utopico, così distante dalla realtà in cui viviamo fatta anche – e fortunatamente non solo – di “corsa al grattacielo più alto”, probabilmente non arriveremo mai. 

Quello a cui dovremmo essere già arrivati, però, è la consapevolezza di dover portare avanti delle azioni che possano migliorare l’approccio alla progettazione e preservare la nostra permanenza sul pianeta. Ne abbiamo parlato con Ippolito Pestellini Laparelli, che dopo la sua esperienza nello studio Oma durata quindici anni, è tornato a Milano e ha fondato 2050+, un’agenzia interdisciplinare impegnata in quella “attitudine” al recupero dell’esistente che ha radici in una chiara idea di fare progettazione.  

Al Café della Stampa di Domus a Cersaie 2024, Laparelli racconta del recupero dell’iconica Rinascente di Roma, progettata da Franco Albini e Franca Helg. Si tratta di un vero e proprio esercizio storiografico, una “operazione archeologica”, nata dalla volontà di preservare gli elementi cardine del design originale. I flussi a vista, i pannelli di Silipol delle facciate, e la ripresa del design degli interni, frutto di una lunga ricerca di archivio, sono stati la concretizzazione dell’approccio scelto dallo studio. “Questo progetto è nato nell’archivio Albini. Il ruolo dell’archivio è stato fondamentale, perché conservava tutte le versioni del progetto, comprese quelle non costruite e quelle bocciate dalla soprintendenza e che sono servite a costruire un dialogo con le autorità competenti” sostiene Laparelli, che in questo modo ha riportato alla luce idee che Albini e Helg avevano già avuto in passato e che non hanno mai visto realizzarsi.

Allo stesso modo in cui si parla di rivedere il sistema della moda, con i danni ingenti del fast fashion, bisognerebbe rivedere anche tutto il sistema dell’industria delle costruzioni e dell’architettura, che è diventato fast architecture.

 Ippolito Pestellini Laparelli, fondatore di 2050+

10 Corso Como, Women's Concept Store, 2050+. Vista dell'installazione, foto © Melania dalle Grave - DSL

Ma la memoria storica non è l’unica da preservare. Parlando con Domus, l’architetto spiega che esiste un aspetto spesso dimenticato o volutamente ignorato, ma che costituisce un valore intrinseco del fabbricato, che potremmo definire patrimonio energetico: “ogni manufatto costruito ha avuto nel suo processo di sviluppo e costruzione un’impronta ecologica, come fosse un accumulatore di energia grigia. Nel momento in cui consideriamo un edificio esistente, dobbiamo tener conto anche della quantità di energia che è stata mobilitata in tutto il suo processo di costruzione, fino alla realizzazione.” 

È come se invece di preoccuparci unicamente del ciclo di vita (Life Cycle Assessment) del nuovo edificio, guardassimo ancora più indietro, considerando lo sforzo materico, energetico ed economico impiegato per costruire quello precedente.
Ma è davvero tutto da salvare? Chiaramente, la risposta è no. Si tratta piuttosto di una questione di approccio: “allo stesso modo in cui si parla di rivedere tutto il sistema della produzione e della moda, con i danni ingenti del fast fashion, bisognerebbe rivedere anche tutto il sistema dell’industria delle costruzioni e dell’architettura, che è diventato fast architecture”.
Il parallelismo con il settore moda è calzante: costruire da zero, così come comprare vestiti economici da noti rivenditori online, è una scelta più facile, perché – quasi sempre – costa meno.

Ippolito Pestellini Laparelli. Foto Federico Scaglia

Ecco perché Laparelli cita il progetto House Europe, nato grazie a un’iniziativa di Arno Brandlhuber e del suo studio bplus.xyz, che promuove la definizione di un’architettura legislativa per facilitare ai paesi europei il recupero del patrimonio esistente, attraverso apposite leggi che, oltre a regolare gli standard di valutazione, producano degli sgravi fiscali concreti, spingendo istituzioni e privati a investire sul costruito. Herzog & de Meuron, Fosbury Architecture, Cobe, sono già parte di questo progetto in espansione, insieme a Lacaton & Vassal, vincitori del Premio Pritzker 2021, dei quali Laparelli cita, come esempio virtuoso di recupero, un edificio residenziale di 530 appartamenti a Le Grand Parc di Bordeaux (2017) che è valso loro anche l'EU Mies Award.

Al momento, House Europe abbraccia almeno 15 paesi europei, tra cui l’Italia, che “a differenza di molti altri, ha una grossissima esperienza accumulata rispetto al recupero di patrimoni esistenti” sostiene il fondatore di 2050+ “tanto è vero che il mercato riguarda per la maggior parte la trasformazione degli edifici già costruiti, piuttosto che quelli di nuova costruzione.” 

Ma anche in Italia, dove la tendenza al recupero dell’esistente è già una best practice, se non altro per il ruolo delle soprintendenze, esiste una parte del patrimonio architettonico che troppo spesso non è considerata da tutelare, e riguarda particolarmente gli edifici del dopoguerra.
Laparelli chiama in causa il “bidoncino” di Arrighetti in Largo Treves, a Milano: rivissuta per l’ultima volta durante la Design Week 2023, la torre di uno dei protagonisti della modernità milanese è stata appena demolita per lasciar posto a un nuovo edificio residenziale. “Bisogna capire effettivamente cosa sta succedendo nella città” dice Laparelli “e come la demolizione di un edificio diventerà una cartina tornasole di meccanismi che intrecciano l’economia politica della città stessa”. 

La pratica di 2050+, invece, si muove in tutt’altra direzione. Dopo la realizzazione di 10 Corso Como a Milano, l’architetto anticipa a Domus il nuovo progetto con cui lo studio si sta misurando: il recupero della Palazzina dei Principi a Napoli, di fronte alla reggia di Capodimonte. L’edificio che ospiterà la collezione di Lia e Marcello Rumma è una palazzina settecentesca, ma con una stratificazione che abbraccia epoche successive, dagli interventi ottocenteschi fino alla contemporaneità, aumentando la complessità dell’intervento. “Questo tipo di progetti è la dimostrazione che una strada diversa è possibile, anche se il lavoro è sicuramente più difficile, però” conclude Laparelli “è un lavoro necessario”. 

Immagine di apetura: © A. Bedini, A. Saletta | DSL Studio

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