Shajay Bhooshan, proprio come Zaha Hadid, fondatrice del celebre studio londinese scomparsa nel 2016, è un esperto di calcolo con una formazione matematica. Come ci ricorda Bhooshan, i progetti di architettura e urbanistica di Zha “non potrebbero essere stati concepiti né costruiti senza la progettazione parametrica”. Lo studio, nato nel 1980 e cresciuto negli ultimi anni anche grazie alla leadership di Patrik Schumacher, è curiosamente descritto da Bhooshan come “nativo digitale”. Un titolo che a quanto pare non si limita ai bimbi nati negli anni 1990.
Scherzi a parte, l’applicazione del digitale al design, così presente nel dna di Zha, da sempre permette ai progetti di Zha di essere “accuratamente in sintonia con i principi di ordine algoritmico e parametrico che sono condivisi sia dai sistemi naturali complessi sia dalle tecnologie computazionali.” Un piano che suona ambizioso ma che Bhooshan, in quanto esperto di calcolo, geometria e metodi di ottimizzazione, racconta (giustamente) al millimetro.
Zaha Hadid Architects è nata digitale: non è diventata digitale strada facendo.
Facendo costantemente riferimento al lavoro di architetti come Otto Frei, Antoni Gaudí, Felix Candela, Pier Luigi Nervi, “l’architettura di Zha è stata progettata appositamente per mantenere la coerenza, pur rispondendo alle complesse esigenze spaziali, sociali e ecologiche delle società del XXI secolo”. Ovvero tenendo conto della complessa rete di informazioni che caratterizza l’habitat della nostra società attuale.
Oggi studi come Zha si fondano sulla “costruzione di una fitta rete di collaboratori accademici, scientifici, progettisti, consulenti ingegneristici, start-up tecnologiche, fornitori di software” racconta Bhooshan. Attraggono talenti “in grado di “sviluppare un approccio di primo principio alla pedagogia architettonica”, che si adoperano nella sperimentazione costante di nuove tecnologie in tutti i campi del design: automotive, computer grafica, videogiochi, moda, robotica.
Bhooshan invita architetti e profani a interrogarsi “sull’importanza dell’architettura e delle tecnologie architettoniche per soddisfare la crescente necessità di spazi virtuali progettati ad hoc, che consentano agli utenti di vivere esperienze sociali produttive” e partecipative.
A questo proposito negli ultimi due anni Zha – anche grazie alla creazione di Zha Code – si è dedicato a progetti di ricerca e sviluppo nei mondi digitali, dalla mostra “Meta-Horizons: The Future Now” realizzata in collaborazione con Dongdaemun Design Plaza a Seoul e disegnata con l’obiettivo di creare un “catalizzatore per lo stimolo e lo scambio di idee volte all’esplorazione di nuove tecnologie e media”, fino alla costruzione di un Metaverso “high fidelity”, quindi gemello del suo potenziale corrispondente reale, chiamato Liberland.
E c’è stato anche Architecting the Metaverse, un “progetto artistico immersivo tra architettura, arte, tecnologia e intelligenza artificiale”, nato da una collaborazione di sei mesi con lo studio di Refik Anadol, specializzato in arte e deign interamente digitali. Un progetto pilota che combina il metaverso e l'IA generativa”, realizzato con tecnologie come giochi multi-player online di massa (MMO), ambienti 3D fotorealistici, tecnologie cloud e ad alta velocità che veicolano “la spazialità, l’immersività e la socialità”.
Dopo speculazioni di ogni genere su metaversi e mondi digitali, il parere di Bhooshan è una boccata d’aria fresca. Sebbene le leggi della fisica non vincolino i contesti virtuali, Bhooshan brillantemente osserva come la progettazione di spazi destinati a ospitare molti utenti umani in simultanea è portata a mettere in primo piano gli aspetti dell’esperienza spaziale, sia che si tratti di spazi virtuali sia che si tratti di spazi fisici.
Per esempio stadi, sale da concerto, o aeroporti. Il digitale è reale. Il design di una piattaforma come di uno spazio sociale, ha una conseguenza diretta sulla vita degli utenti.
Per questo Zha e Zha Code, che già da tempo si dedicano alla digitalizzazione dei flussi sociali, per poi riportarli in progetti fisici in città del mondo reale, nei loro progetti digitali hanno preferito tracciare “un continuum tra la metropoli e il metaverso e viceversa”. Quindi da un lato sono state messe in atto “una maggiore sperimentazione di mutazioni, configurazioni insolite e personalizzazioni da parte degli utenti”. Dall’altro, si è tornati a vocabolari già esplorati.
È così che le linee fluide del Centro Culturale Heydar Aliyev o del London Aquatics Center sono entrate nel Liberland Metaverse. Quest’ultimo è stao realizzato seguendo un’alta fedeltà fotografica e strutturale, e “progettato per ospitare spazialmente i cittadini e i collaboratori di Liberland, in attesa della sua realizzazione fisica”. Per Bhooshan questo tipo di iniziative hanno anche un’utilità pre-progettuale, una sorta di gigantesco customizzatore di città o realtà urbanistiche: “tali progetti includono clienti che desiderano creare esperienze di pre-vendita per testare e personalizzare il design prima della sua realizzazione fisica”.
Sulla realtà politica di Liberland, una micronazione libertaria tra la Croazia e la Serbia, proclamata da Vít Jedlička, politico e attivista ceco appartenente alla destra-libertaria, Bhooshan non si dilunga. Una zona d’ombra che ha caratterizzato altri progetti recenti dello studio, come quello di Al-Janoub, lo stadio realizzato per ospitare i mondiali del Qatar, la cui costruzione ha raccolto le critiche di molte organizzazioni, tra cui Amnesty International, per il trattamento disastroso dei lavoratori migranti impiegati nei cantieri. Non tutte le variabili del reale possono essere computate, oppure qualche dato talvolta è escluso dall’equazione?
Immagine di apertura: Liberland, masterplan. Foto courtesy Zaha Hadid Architects