Esattamente cinquanta anni fa, nel 1971, il gruppo progressive rock italiano Le Orme dà alle stampe il disco Collage in cui, a fare da traino, è il singolo ‘Cemento Armato’. La canzone, una suite acida e virtuosa, è una riflessione tra ecologismo e sociopolitica sulla condizione di vita nelle città italiane del post-boom economico, viste da molti giovani contestatori come asfissianti trappole di cemento da cui fuggire. Cemento armato, non troppo dissimile dal cemento a vista che in francese viene chiamato beton brut, termine che nel saggio The New Brutalism del 1955 il critico di architettura inglese Reyner Banham per primo associò con la definizione di brutalismo. Sono anni, quelli in cui scrive Banham, in cui l’Europa è impegnata nella ricostruzione. Questa si fonda sul modernismo, una delle cui più diffuse declinazioni è il brutalismo, che a partire dal Regno Unito con il tempo assumerà il valore di un macro-contenitore estetico ben oltre i suoi confini natali. L’architettura brutalista – assieme all’empiricismo scandinavo – segna una svolta politica per un’Occidente che formalmente guarda alla democrazia capitalista statunitense ma che, in realtà, sembra strizzare l’occhio al socialismo targato URSS. Il social housing europeo e non, infatti, si lascia ispirare tanto dalle intuizioni in campo sociale della Citè Radieuse di Le Corbusier quanto dalle colate di cemento sovietiche.
Brutalismo e Post-Punk: un rapporto di architettura e ribellione
Da stile architettonico inviso ai giovani contestatori del dopoguerra a simbolo di utopie di social housing, il brutalismo ha conosciuto, a partire dalla fine degli anni Settanta, una riscoperta estetica legata soprattutto alla musica ed alla controcultura post-punk.
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- Lorenzo Ottone
- 11 marzo 2021
I figli del dopoguerra nutrono, però, un forte scetticismo nei confronti della nuova urbanistica in cui l’edilizia si sviluppa a discapito della natura. L’ecologismo trova terreno fertile con il deflagrare del fenomeno hippy, dei suoi fiori e colori che, aspirando ad un panismo manierista, si pongono in posizione di rottura rispetto al grigiore brutalista ed alla sua sintesi formale.
Il post-punk e la ribellione brutalista
A distanza di dieci anni da ‘Cemento Armato’ il fuoco delle velleità pastorali hippy e progressive era stato però spento dal nichilismo urbano del punk, a cui segue fulmineo il post-punk. Questa scena controculturale riporta il modernismo accanto ad atmosfere proprie della Repubblica di Weimar – dal frequento uso di coverizzare ‘Lili Marlene’ agli omaggi espliciti dei Bauhaus e dei Cabaret Voltaire – al centro del discorso artistico. Anche esteticamente, dalle camicie militari dei Joy Division ai look dell’italiano Garbo, la palette cromatica, che era psichedelica e floreale, si è trasformata in una scala di grigi.
Le architetture brutaliste sono specchio del malessere dei giovani ribelli. Sono l’incarnazione del fallimento di ideali nobili quali il social housing e di un occidente che si prometteva di risorgere più comunitario e meno individualista dopo la Seconda Guerra Mondiale. Anziché fuggire dalle città e dai loro quartieri popolari e industriali in cui l’edilizia un tempo simbolo di speranza si erge trasandata e negletta, i giovani post-punk, con un occhio tra il nostalgico ed il decadente, abbracciano l’estetica del beton brut, trasformandolo in elemento cardine di una rinascita artistica. La città diventa, dunque, un’infrastruttura propedeutica alla creazione di nuovi linguaggi. Un libro recentemente edito, Superstructures - Notes of Experimental Jetset / Volume 2 (Roma Publishing), analizza queste dinamiche nel rapporto tra quattro movimenti artistici, tra cui il post-punk, ed Amsterdam. Le superfici in cemento a vista sembrano trovare una trasposizione perfetta nelle soluzioni cromatiche delle fotocopiatrici Xerox, la cui arte – la photocopy art – diventa espressione di opposizione ad una cultura dominante fatta di strobosfere, vezzi ed eccessi. Non è un caso che la gioventù post-punk, emarginata dalla ruggente società dei consumi occidentale, sviluppi, quasi come ripicca verso il mondo che ha tradito le periferie, una fascinazione per il blocco sovietico, dove l’architettura brutalista ha raggiunto alcune delle sue massime espressioni.
Sono anni in cui in Germania, nazione chiave tanto per la genesi della Bauhuas che per lo sviluppo del post-punk, è soprattutto il lato Est di Berlino a catturare gli artisti. Qua i vecchi edifici brutalisti ormai sfitti diventano squat in cui prolifera la controcultura, punk prima, techno dopo. Così come non è un caso che sia proprio a Berlino che la fascinazione filosovietica degli italiani CCCP prenda forma concreta. La band userà poi in una retrospettiva live del 1996, Live in Punkow, proprio una vista di edifici del quartiere berlinese di Pankow. Similmente, in Inghilterra è l’orgoglio socialista della vecchia working-class a determinare la visual identity della Factory Records – etichetta di Manchester tra le più importanti della scena post-punk anni ’80 – con il suo logo che ritrae il profilo di un capannone di una fabbrica dalla ciminiera fumante.
Eades, Former Warnings Cluster, official video
La riscoperta contemporanea del brutalismo
Negli ultimi anni, anche complice una situazione di incertezza economica e sociale, il post-punk è tornato prepotentemente a far parlare di sé negli scenari della musica underground, dall’America al Nord Europa, dal Regno Unito all’ex Unione Sovietica. Con esso si è raffacciato – anche grazie ad un nutrito movimento di riscoperta dell’architettura brutalista e neo-brutalista – l’uso dell’edilizia modernista in ambito musicale.
Se gli Egyptian Blue hanno utilizzato dei cut-out di council estate per l’artwork del loro Collateral EP, gli Eades hanno recentemente fatto dell’edilizia brutalista di Leeds il fulcro del video promozionale per il singolo ‘Former Warning Cluster’. La band già aveva utilizzato richiami all’estetica razionalista della Repubblica di Weimar nella copertina del loro EP Microcosmic Things, firmata dalla graphic designer Raissa Pardini. Sempre in Inghilterra, gli IDLES – originari di Bristol, città in cui l’architettura brutalista domina gli scenari urbani – hanno intitolato il loro acclamato album di debutto Brutalism, immortalando sulla copertina una scultura alquanto modernista realizzata dal cantante Joe Talbot.
A Berlino l’etichetta Detriti Records ha invece dato alle stampe il disco Etazhi della band bielorussa Molchat Doma. L’album, eretto a cult grazie alla viralità su Tik Tok di una canzone in esso contenuta, è diventato un instant classic non senza la complicità della copertina che immortala il Panorama Hotel, edificio modernista eretto nel 1970 a Štrbské Pleso, nell’attuale Slovacchia. L’olandese Pip Blom, per il disco d’esordio Boat, ha invece optato per l’edilizia modernista da resort della costa ovest americana con le sue tinte pastello che riportano alla mente le tele di David Hockney.
L’influenza della psicogeografia sulla musica
Più in generale si nota un interesse nei confronti della psicogeografia in molta musica indipendente contemporanea. Dall’uso sia grafico che concettuale dell’immaginario dei quartieri operai della contea inglese del Lancashire da parte del gruppo Working Men’s Club, alla scelta degli statunitensi Drums di intitolare il loro ultimo album Brutalism, ad indicare il rapporto tra la condizione dell’uomo contemporaneo ed i luoghi da esso abitati. I milanesi Calibro 35, invece, nel loro album Decade hanno tratto spunto dalle utopie di Superstudio ed Archizoom per sottolineare l’analogia tra le visioni dell’architettura radicale e le costruzioni musicali sviluppate sul pentagramma. Similmente, il progetto Olivetti Sound System esplora tramite DJset di musica elettronica e da sonorizzazione i paesaggi sonori evocati dall’edilizia industriale degli stabilimenti Olivetti. Il gruppo post-punk e post-rock inglese Squid – da poco sotto contratto con Warp – ha recentemente lanciato, in attesa dell’uscita del disco d’esordio Bright Green Fields, un sito tramite cui far virtualmente apparire la band in punti geografici scelti dall’utente, a sottolineare non solo la nuova liquidità della musica live ma il legame tra la narrazione della band e gli scenari urbani. Il video che accompagna ‘Narrator’, l’ultimo singolo del gruppo, conduce lo spettatore in modalità POV in scenari urbani ed extra-urbani tridimensionali in continua costruzione e dissoluzione, come se la band fosse stata collocata al centro di un processo di CAD.
Squid, Narrator, official video
Indipendentemente dai cilici ritorni delle scene musicali e controculturali, di cui Giambattista Vico si compiacerebbe, è senza dubbio interessante riflettere su come l’architettura – in varie forme e declinazioni – sia stata e tutt’ora sia parte integrante delle visioni creative di molti giovani artisti. Anche se non necessariamente investiti nell’architettura come disciplina, essi non possono esimersi dal non dialogare con gli spazi circostanti che influenzano a loro volta le loro opere, evidenziando ulteriormente l’inevitabile natura cross-disciplinare dell’arte.