Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1044, marzo 2020. Col titolo Primizie sui nuovi bagni di Ischia, nel marzo 1952 Gio Ponti presentava ai lettori di Domus una piccola opera di Ignazio Gardella: le Terme Regina Isabella a Lacco Ameno, nell’isola di fronte Napoli. La costruzione era ancora in corso di realizzazione, ma la fretta di pubblicare era giustificata da almeno due buone ragioni. La prima era il territorio a Ponti molto caro, perché gli ricordava la stagione delle incursioni mediterranee con Bernard Rudofsky. Il secondo motivo era l’architetto, Ignazio Gardella, il giovane maestro del Razionalismo non settario di cui nel 1941 su Stile aveva elogiato la “innata eleganza che con- ferisce una spiritualità alle sue realizzazioni di castigata semplicità” e di cui, solo pochi mesi prima (Domus 263), aveva inoltre commentato entusiasticamente la Casa al Parco, che segnava l’inizio della ripresa architettonica nella Milano del Dopoguerra, divenendo emblema di una modernità matura perché indipendente dai dogmi del rigido Razionalismo.
La memoria senza peso di Ignazio Gardella nelle terme di Ischia
Dagli scaffali dell’archivio, Fulvio Irace estrae Domus 268 (marzo 1952), sulle cui pagine Gio Ponti sceglieva di pubblicare le Terme Regina Isabella di Ignazio Gardella a Ischia, dove l’antico è integrato come “memoria vivente del passato”. Da Domus 1044.
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- Fulvio Irace
- 17 marzo 2020
Ponti amava di Gardella le “forme semplici schiette e pure”, la ‘longilineità’ (caratteristica della nuova scuola milanese) e l’indipendenza di giudizio manifestata nel campo dell’architettura d’interni, dove più importante di ogni funzione, era il peso della memoria, anzi, paradossalmente, l’affiorare di una memoria senza peso, che coincideva poi con la sua idea di tradizione. Sono questi i temi che attraggono Ponti e che egli intravvede con certezza nelle nuove Terme di Ischia, dove Gardella arriva nell’aprile 1950, con l’incarico di progettare il potenziamento dell’industria del wellness, su commessa di un gruppo di medici milanesi.
Il progetto l’impegna a lungo, per tentativi, come un rabdomante alla ricerca della vena d’acqua. Studia continue varianti perché non ha in mente una tipologia da fissare al suolo: un processo millimetrico e costante di variazioni testimonia il desiderio di far sorgere una forma dal contesto, in modo che, alla fine, l’edificio sembri un uovo nel suo nido.
Scartata una prima ipotesi di costruire il nuovo edificio alle spalle del preesistente complesso della fine dell’Ottocento, intuisce che muoversi nel centro di Ischia implica passi lenti e motivati. Passi attenti a calibrare ogni nuovo volume col delicato equilibrio ambientale di un’architettura povera e rustica, assai vicina all’ideale del sofisticato pauperismo delle coeve case a schiera a Cesate, nella periferia milanese. Appena arrivato, scatta numerose foto che catturano l’essenza del paesaggio naturale e antropizzato. In esso legge i segni della storia vivente dell’uomo che si adatta all’ambiente.
Ne esce rafforzata la convinzione che il problema non sia tanto d’inventare forme nuove, ma di lavorare dentro quelle esistenti: rifiuta schemi precostituiti, tipologie consolidate in favore di disposizioni e di allineamenti che inglobino la topografia, i resti dell’antico e la permanenza delle tracce.
Decide di conservare i resti dell’antico come il muro greco (che implica la soluzione di piegare la parete di una camera di cura) e il porticato ionico dell’originario edificio che, pur rimanendo uno dei segni più caratteristici delle nuove terme, Gardella si rifiutò di considerare un “landmark archeologico”, attribuendogli invece il ruolo di “memoria vivente del passato”.
Come scrisse Aldo Rossi, per lui “l’esperienza si confonde con la memoria” e “il nuovo e l’antico si mescolano alle sue adesioni allo spirito del tempo”. Il colonnato ionico viene preservato e sospeso alla facciata moderna retrostante con lo stesso spirito di alcuni interni di case milanesi, dove i ritratti degli antenati e i mobili in stile vengono reimpaginati in spartiti asciutti di pareti sottili.
Sono i “ritmi purificati” di cui parla Ponti: il bianco gessoso del portico si staglia sullo sfondo rosa della facciata, divenendo un paesaggio autonomo. Le sottili aperture a T riprendono il filo della trabeazione: con un vertiginoso salto di secolo, l’eclettico diventa contemporaneo. I corpi si sfasano seguendo allinea- menti che coincidono con l’apertura al paesaggio: la corte laterale alla maniera pontiana è il vuoto asimmetrico che tira le fila di tutti gli ambienti; le aperture allungate sono finestre che catturano il caleidoscopio del paesaggio circostante e trasformano i tanti frammenti nell’unità di un luogo inedito e sorprendente.
Immagine di apertura: nelle foto in bianco e nero del servizio originale non si coglie l’accostamento cromatico del fianco dell’edificio in intonaco rosa e delle colonne bianco calce. Coperture di gronda, davanzali delle finestre e zoccoli esterni sono invece in maiolica verde. Foto Archivio Domus.
Fulvio Irace è professore ordinario di Storia dell’architettura al Politecnico di Milano. Opinionista d’architettura per Il Sole 24 Ore, è autore di monografie sui protagonisti dell’architettura italiana del XX secolo e ha curato diverse mostre, tra cui “Gio Ponti. Amare l’Architettura” in corso al MAXXI di Roma.