Lagos, Kinshasa, Addis Abeba, Dar es Salaam, Niamey. Sono queste le città che, secondo le previsioni dell'ONU, cresceranno di più nei prossimi anni, portando l’Africa (che oggi ha circa un miliardo di abitanti) a più che raddoppiare la propria popolazione nel 2050 e a quadruplicarla entro fine secolo. Superando così il numero di abitanti di Cina e India messe insieme.
Lo-Fab African Bauhaus
L’idea di architettura di MASS Design Group – qualità, formazione, fabbricazione locale – potrebbe diventare un modello che risponde agli obiettivi delle Nazioni Unite per il raggiungimento degli obiettivi finalizzati alla dignità, prosperità e giustizia globali.
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- Marialuisa Palumbo
- 22 ottobre 2015
- Boston
La crisi ambientale, il riscaldamento globale e la desertificazione, oltre alla diffusione di epidemie in condizioni di sovraffollamento e di povertà, minacceranno questo scenario di sviluppo, ma non lo fermeranno. E questa crescita della popolazione porterà con sé il bisogno di case, scuole, ospedali, strade e infrastrutture di ogni genere. Il bisogno dunque di architettura e di architetti, di soluzioni e di strategie, in un continente che in questo momento ha circa un quarto degli architetti dell’Italia.
A partire da queste premesse Christian Benimana, direttore del Programma in Rwanda di MASS Design Group, ha elaborato una proposta per rispondere ad una “call for solutions” lanciata dalle Nazioni Unite alla ricerca di idee innovative per il raggiungimento dei 17 Sustainable Development Goals finalizzati alla dignità, prosperità e giustizia globali. La proposta di Benimana, una delle 20 visioni selezionate per essere presentate lo scorso 27 settembre davanti a un pubblico di stakeholder, policymaker e possibili finanziatori, consiste nella fondazione di un programma educativo, con una prima sede in Rwanda, finalizzato a formare una nuova generazione di architetti africani, a partire dall’approccio ecologico e centrato sulla persona che caratterizza la ricerca di MASS Design Group. Un approccio ecologico e umanistico, perché focalizzato sulla specificità dei contesti locali e sulla centralità del coinvolgimento della comunità, di chi userà e di chi costruirà un edificio.
Alla base della filosofia dello studio, c’è infatti l’idea che l’architettura debba andare oltre l’edificio, che sia uno strumento per realizzare un impatto sociale allargato: un impatto estetico e curativo, portando bellezza e qualità nell’abitare (ambienti sani, ben temperati, illuminati e aerati) ma anche un impatto sociale ed ecologico, attraverso il coinvolgimento della comunità in ogni fase del processo costruttivo, dal progetto alla realizzazione (dell’insieme, delle parti e dei dettagli), attraverso il coinvolgimento (o la formazione) di manodopera e artigiani locali, attraverso l’uso di materiali e tecniche costruttive locali. Lo-fab, nel senso di “locally-fabbricated” è una sigla, una rivendicazione e un movimento alla base dell’operatività del gruppo: è l’idea che questo approccio possa diventare esemplare di una architettura contemporanea radicata nella specificità di un luogo e di una comunità. Le ultime due realizzazioni dello studio, una scuola in un villaggio della giungla congolese e un centro di trattamento per malati di colera ad Haiti, sono emblematiche di questo approccio e delle sue potenzialità metodologiche.
La scuola di Ilima, realizzata in collaborazione con l’African Wildlife Foundation, è nata per funzionare insieme come scuola elementare del villaggio e come centro comunitario per la conservazione del paesaggio e della fauna selvatica. La sfida, su cui l’African Wildlife Foundation ha investito, è quella di mettere insieme conservazione e sviluppo, finanziando l’educazione per contrastare i comportamenti che minacciano l’ambiente. Per sopravvivere, infatti, la gente taglia gli alberi per produrre carbone e uccide animali anche rari per cibarsene. La costruzione della scuola, in questa che è una delle regioni più interne e più difficilmente raggiungibili della foresta pluviale del Congo, è finalizzata quindi a sostenere l’educazione, nella speranza che i bambini possano scoprire così nuove opportunità e modalità di sopravvivenza, legate magari alla difesa della ricchezza e della biodiversità di questa regione, piuttosto che alla deforestazione. MASS Design Group è intervenuto a sua volta usando soltanto materiali locali, mattoni di fango per le pareti, tegole di legno per il tetto, pannelli di legno intrecciato per le pareti mobili, trasformando anche il cantiere in una scuola a beneficio della comunità locale: una scuola per muratori e carpentieri.
Ad Haiti, in collaborazione con l’organizzazione medica Les Centres GHESKIO, MASS ha realizzato un centro per il trattamento di malati di colera, completo di una struttura per il trattamento locale delle acque, elemento chiave per prevenire la diffusione della malattia. Gli ospedali da campo infatti – la soluzione prevalente per trattare epidemie come questa – realizzati in tende temporanee, non hanno sistemi di decontaminazione delle acque reflue e utilizzano spesso servizi privati di raccolta e gestione delle acque di scarico, un sistema per niente sicuro in questo scenario di precarietà generale della città.
Qui, al contrario, la costruzione dell’ospedale, è stata l’occasione per costruire un sistema locale e sicuro di depurazione, basato su un biodigestore anaerobico a quattro camere. Il nuovo ospedale inoltre, con una struttura in cemento armato e un tetto a spioventi inclinati in acciaio, è stato progettato per resistere a futuri terremoti e allagamenti, ma anche per raccogliere, trattare e utilizzare l’acqua piovana, che dal sistema di gronda raggiunge una cisterna sottostante la piastra rettangolare su cui poggia l’edificio a padiglione. Il tetto piegato, oltre a ottimizzare la raccolta delle acque, genera un sistema di lucernari utili per la ventilazione e illuminazione naturale. La facciata, in acciaio perforato a mano da artigiani locali, con aperture più piccole nella parte inferiore per assicurare la privacy dei pazienti e più ampie nella parte superiore per ottimizzare la luce e la ventilazione, dà all’ospedale un aspetto accogliente e giocoso che ricorda i colorati taxi collettivi tipici di Haiti.
Realizzato attraverso un largo coinvolgimento di artigiani e imprese locali, il Cholera Treatment Center (CTC), si trova a ridosso di un grande insediamento informale sorto vicino alla discarica di Port-au-Prince. Per gli abitanti di questo slum, la cura della malattia trasmessa dall’acqua passerà attraverso la luce azzurra e l’efficiente sistema di gestione delle acque di questa architettura. È questo l’approccio che il “nuovo Bauhaus africano” si propone di insegnare.
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