Porta a un incremento del sapere e dell'esperienza professionale
È l'unico modo di progredire quando non si hanno rapporti
È causa di scoraggiamento
Favorisce le ostentazioni stilistiche
Fa perdere salute e denaro
Così inizia "The Competitive Hypothesis", nuova e vivace mostra dello Storefront for Art and Architecture di New York che presenta la storia nascosta della politica che ispira i concorsi d'architettura. La domanda è una citazione dal Survey on Guidelines for Competitions, l'indagine sulle regole dei concorsi realizzata a Londra nel 1872 dal Royal Institute of British Architects: prova che il dibattito sul senso dei concorsi di progettazione, immutato da almeno centoquarant'anni, non si concluderà tanto presto.
Un gruppo di otto curatori, guidato da Adrian Lahoud, ha trasformato il celebre, ristretto spazio a triangolo della galleria in una sequenza di quattro 'Storefront' triangolari ancor più piccoli. Ogni sezione rappresenta una lato nascosto della pratica dei concorsi. "The Competitive Hypothesis" si concentra su concorsi di progettazione recenti che hanno influito sul discorso dell'architettura e la mostra presenta i risultati del rifacimento di tre importanti competizioni. Non si tratta dei consueti bandi utilizzati per selezionare architetti e costruttori per gli edifici ordinari, ma di concorsi di grande visibilità che hanno contribuito a innescare nuovi movimenti d'architettura o sono stati il fondamento della reputazione di architetti destinati a diventare ben presto celebri.
Nell'ironico allestimento della prima parte della mostra gli aspiranti vincitori di concorso non solo trovano idee inventive sulle regole del gioco, ma capiscono anche quali trappole evitare. Per aggirare fastidiose regole sull'anonimato dei partecipanti ci si può ispirare a quel che fece il Superstudio nel 1976: tre mesi prima del concorso a tema "House for a Superstar" un socio dello studio mise in mano una cartolina con il David di Michelangelo ad Arata Isozaki, membro della giuria. E di fatto l'"anonimo" elaborato del Superstudio, che raffigurava la statua, si trovò a vincere il terzo premio. E si vedano anche i suggerimenti di "The Competitive Hypothesis" a proposito di "Quale motto non dare a un elaborato di concorso": proposte intitolate Upsidetown e Worms in Progress non sono mai andate lontano.


Daniel Fernández Pascual osserva che i concorsi di progettazione diventano uno spreco di idee e tempo per i promotori come per i concorrenti, e la mostra evita di proporre un'alternativa per i futuri concorsi d'architettura


The Competitive Hypothesis
Storefront for Art and Architecture
97 Kenmare Street, New York
Mostra a cura di: Adrian Lahoud, con Ana Dana Beros, Kata Gaspar, Carmelo Rodriguez Cedillo, Daniel Fernández Pascual, Ross Exo Adams, Ivonne Santoyo Orozco, Davide Sacconi
Progetto di allestimento: Amanda Clarke e Adrian Lahoud
Progetto grafico: Rafaela Drazic

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