La mostra The Utopian Impulse: Buckminster Fuller and the Bay Area, aperta dal 31 marzo al Museum of Modern Art di San Francisco, è la prima del genere a prendere in considerazione l'influsso locale che Bucky Fuller (1895-1983), mente mitica e inimitabile del XX secolo, ebbe sulle strutture costruite nella Bay Area e, cosa altrettanto importante, su quelle più generalmente – e perfino collettivamente – immaginate.
The Utopian Impulse analizza la partecipazione (talvolta in senso letterale) di Fuller a numerose correnti e sperimentazioni fondamentali, a partire dagli anni Settanta, tra cui quelle del collettivo d'architettura d'avanguardia Ant Farm. La proposta di Ant Farm per una città racchiusa in una cupola, battezzata Convention City 1976, è un esempio particolarmente calzante presente, con altri, nella mostra: grazie a modelli, video e fotografie si può osservare un'arena pubblica dedicata alla comunicazione in una città costruita per 20.000 abitanti (per la maggior parte interpretati da persone informate al momento della parte che dovevano sostenere nella loro postazione attiva e visibile). Intelligente e perfino inquietante presentimento del nostro stile di vita di oggi, la città sotto la cupola è importante, diciamo, per Times Square quanto, più in generale, per ogni 'piccola città' dove ogni abitante guarda lo stesso telegiornale della sera e contemporaneamente esprime il suo voto per il concorrente favorito di Ballando con le stelle o dell'Eurofestival. Dato il contesto da palcoscenico Convention City è un'eccellente esempio di una cosa che cuoce nello stesso brodo fulleriano ma esce dalla pentola priva di precedenti, prodotto indipendente e originale del suo tempo e del suo discorso.
In The Utopian Impulso c'è in primo piano anche la tenda OI (Oval Intention, 1976) di The North Face, società produttrice di equipaggiamenti da campeggio fondata nel 1966 nella Bay Area. La tenda è, con ogni evidenza, una vera e propria cupola geodetica, un gran passo avanti rispetto alla 'canadese' dei decenni precedenti. La OI è la realizzazione pratica della tensegrity: termine fulleriano che nasce dalla fusione di tension ("tensione") e integrity ("integrazione"). È una struttura fisica fatta di 'grandi idee' metafisiche. E in mostra accanto alla tenda c'è un video di 9 minuti che mostra Fuller in visita alla The North Face nel 1981.
The Utopian Impulse: Buckminster Fuller and the Bay Area
La mostra al MoMA di San Francisco investiga sulla presenza di Fuller nel mondo come lo vediamo oggi, e segnala con indizi credibili che le sue impronte si riscontrano in tutti i concetti dinamici e nell'estetica multifunzionale che guida l'architettura e il design moderni.
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- Katya Tylevich
- 22 maggio 2012
- San Francisco
'Influsso' è un termine freddo e astratto, ma vedere Fuller muoversi così tra le linee di pensiero che aveva ispirato colloca l' 'Influsso' in un'insolita e perfino immediata prossimità con lo spettatore. Se non fosse per la canonica regola museale del 'non toccare' ci si potrebbe sporgere ad afferrare le idee di Fuller, inglobate come sono in un mosaico di opere notevolmente differenti.
Ma The Utopian Impulso, invece che fermarsi comodamente agli anni in cui Fuller era attivo, traccia anche un ininterrotto filo rosso di interesse con il presente, esponendo progetti e proposte suggestive che Fuller non è vissuto abbastanza da poter vedere. Tra esse la Jellyfish House dello studio di San Francisco IwamotoScott: la proposta riguarda una completa e 'viva' casa unifamiliare, che filtra e purifica l'acqua della baia e ripara gli abitanti dai raggi UV. Profetica nella sua filosofia di sostenibilità, la casa si può far risalire all'albero genealogico di Fuller, benché concepita oltre vent'anni dopo la sua scomparsa. Analogamente magari non ci saranno video che mostrano Fuller che attraversa il Federal Building di Thom Mayne a San Francisco (terminato nel 2007) ma la mostra ne mette in rilievo lo schermo mobile che scorre lungo il tetto e scende sulla facciata per "favorire l'ingresso nell'edificio di luce naturale controllata". In questo modo The Utopian Impulse investiga sulla presenza di Fuller nel mondo come lo vediamo oggi, e segnala con indizi credibili che le sue impronte digitali si riscontrano in tutti i concetti dinamici e nell'estetica multifunzionale che guida l'architettura e il design moderni.
Il fatto che i progetti di Fuller restino per noi qualcosa da osservare in uno stato di ‘mancata realizzazione’ significa davvero – e fortunatamente – che per noi restano in uno stato di genuinità: inalterati dall’intervento della realtà e dalle esigenze del commercio, della società, e perfino della pratica
La mostra prende le mosse dai tredici progetti brevettati di Fuller, prestati dal R. Buckminster Fuller Archive della Stanford University: un repertorio di disegni e di immagini che Fuller creò negli ultimi anni di vita in collaborazione con il grafico Chuck Byrne e che venne intitolato Inventions: Twelve Around One. Tra le cose interessanti la celebre 4D House (1928) e la >Dymaxion Car (1933), benché tutte in realtà siano interessanti. Esposte in forma di belle stampe sulle pareti, mettono la mostra sotto il segno dell'estetica e delle potenzialità illimitate che Fuller progettava per il mondo che gli stava intorno. E servono anche da riferimento: guide visive che permettono al visitatore di seguire più facilmente il filo della germinazione indiretta dei semi piantati da Fuller.
Come eredità Fuller lascia molte strade da esplorare. The Utopian Impulso dimostra quanto fossero grandiose le sue idee, quanto 'personali' (per metterla in termini semplici) fossero i suoi ideali e il suo vocabolario. E i suoi progetti? Rimasero in gran parte 'non finiti' (al di là di ogni connotazione negativa). Non realizzati, forse non capiti, 'sulla carta'. Sono termini tipicamente ostici nel mondo dell'architettura e del design. Ma non sulle pareti dedicate all'Utopian Impulse, all'impulso dell'utopia. Il fatto che i progetti di Fuller restino per noi qualcosa da osservare in uno stato di 'mancata realizzazione' significa davvero – e fortunatamente – che per noi restano in uno stato di genuinità: inalterati dall'intervento della realtà e dalle esigenze del commercio, della società, e perfino della pratica. Diciamola crudamente: questi progetti non sono mai diventati "Fuller dietetico" o "Fuller leggero". Forse è per questo che restano suggestivi. Fuller si considerava un "globale": uno i cui interessi vanno all'integralità dei sistemi più che a una singola specializzazione. E si può quindi ben immaginare che anche un solo compromesso alle sue idee avrebbe potuto portare al loro crollo.
Ma soprattutto ciò che The Utopian Impulso riesce a fare è portare alla ribalta la presenza di una persona, il peso delle sue convinzioni e l'intelligenza globalizzante delle sue proposte. Il passo più difficile da compiere in The Utopian Impulso non è intellettuale (la mostra è molto convincente nell'illustrare l'effetto Fuller, passato e presente) ma materiale: quello che porta dall'ingresso della mostra, dove un video che mostra Fuller mentre parla (tratto dalla sua lezione di quarantadue ore, Tutto quel che so) e un minidizionario dei vocaboli inventati da Fuller dimostrano apertamente il suo magnetismo.