All'inizio del 2002, in occasione del centocinquantesimo anniversario della nascita dell'architetto Antoni Gaudí, Domus mi chiese un articolo sul controverso tema del proseguimento dei lavori della Sagrada Família. In quello scritto, pubblicato nel maggio dello stesso anno, spiegavo che, all'inizio degli anni Sessanta, quando andavo ancora all'università, ero stato fra i promotori di un manifesto schierato contro la continuazione dell'edificio: un manifesto che poté contare sull'appoggio incondizionato di tutta l'intellighenzia dell'epoca – da Bruno Zevi a Giulio Carlo Argan, da Alvar Aalto a Le Corbusier.
La reazione fu di forte impatto: fummo tacciati di essere degli eretici marxisti e, in quell'anno, la raccolta delle elemosine popolari per il prosieguo dei lavori superò tutti i record. Coloro che la organizzarono si sentirono più legittimati che mai: non solo di fronte a Dio (di questo già non ne avevano dubbi), ma anche di fronte agli uomini di buona volontà. Nel 2002, invece, il dilemma non era più se continuare la costruzione – che era già in uno stadio molto avanzato e nessuno avrebbe osato demolirla – ma come portarla a termine.
Adesso, dopo la consacrazione del tempio da parte del Papa, mi hanno riproposto la vecchia domanda. Negli otto anni trascorsi dal 2002 la mia opinione critica ha iniziato ad andare in crisi. I dubbi erano cominciati a sorgere quando, dalla strada, avevo cominciato a vedere erigersi la navata centrale. Quello spazio sembrava maestoso, impressionante.
Il mio rifiuto vacillò ulteriormente quando Alfons Soldevila – eccellente architetto di avanzato linguaggio tecnologico, di strutture tese, ferro galvanizzato e policarbonato, con il quale ho collaborato in diversi progetti – mi garantì che, se avessi conosciuto a fondo l'opera, avrei cambiato completamente idea. Mi assicurò che la Sagrada Familia era la costruzione più importante del Ventesimo secolo e che era disposto a dimostrarmelo di persona. Ho accettato l'invito per poter scrivere questo pezzo con cognizione di causa: ho appena visitato il tempio da cima (più di sessanta metri di altezza) a fondo insieme ad Alfons e a Josep Gómez Serrano, uno degli architetti responsabili del progetto, e devo ammettere di essere rimasto sbalordito.
L'obiezione di maggior peso contro la continuazione del tempio è stata sempre che non sapevamo come lo avrebbe fatto Gaudí, un architetto che improvvisava in continuazione durante i lavori, perché i suoi progetti e i suoi plastici erano andati distrutti nei caotici saccheggi della guerra civile, e qualsiasi interpretazione sarebbe stata inevitabilmente un tradimento dell'artista. Questo è vero solo a metà. Gaudí aveva elaborato tre progetti consecutivi durante la lavorazione. Di ciascuno di essi disegnò tavole e realizzò modelli dettagliati. Il primo – cui corrisponde la baroccheggiante facciata della Natività e il suo cubista volto interno – è ancora molto rispettoso del linguaggio gotico; il secondo è molto più libero e organico; il terzo è assolutamente originale, innovatore, abbagliante: Gaudí allo stato puro.
Architetture in–finite 1
A Barcellona, la Sagrada Família di Antoni Gaudí.
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- Oscar Tusquets Blanca
- 10 marzo 2011
- Barcellona
Di questo terzo progetto – che l'artista considerava definitivo, anche se non lo vide mai terminato – fece un modello in scala 1:10, un plastico molto dettagliato all'interno del quale si poteva camminare. È vero che questo modello fu fatto a pezzi (che ora si stanno rimontando con un lavoro archeologico), ma ne esistono eccellenti fotografie ed è stato possibile riprodurlo con estrema precisione. La fedeltà di questa ricostruzione è stata favorita dal fatto che, nonostante la sua apparenza aleatoria, quest'opera si basa su delle rigide geometrie. Sembra che Gaudí, preoccupato dai problemi che aveva avuto con la facciata de La Pedrera, per il tempio avesse deciso di fare ricorso a una struttura geometrica rigorosa. Sono geometrie complesse – paraboloidi iperbolici, iperboloidi, poligoni regolari che girano in spirale in entrambi i sensi, formando i fusti delle colonne – ma che, una volta definite, non accettano interpretazioni: si possono ricostruire su scala 1:10 o dieci volte più grandi. È quello che è stato fatto nella navata, oggi praticamente terminata. Se l'architettura è soprattutto spazio e luce, l'interno di questo tempio è Architettura con la a maiuscola: Architettura emozionante e grandiosa di fronte alla quale le eccentricità formali e strutturali di oggi sembrano giochi da bambini.
Nelle parti che Gaudí non fece in tempo a definire si presentano però due problemi fondamentali. Uno è che i prosecutori, pur avendo portato avanti i lavori indovinando le cose essenziali, non hanno avuto né il talento di Jujol nell'interpretare Gaudí in un linguaggio gaudiniano, né il talento di Scarpa o di Albini per dialogare con lui in un linguaggio personale, e di conseguenza quasi tutti i dettagli non definiti dal Maestro risultano stonati. Il protagonismo di modeste scale elicoidali, corrimani in inox e vetro, spot luminosi, pavimenti, chiavi di volta, vetrate e, in generale, tutti gli elementi decorativi non è all'altezza dell'insieme. È vero, però, che non riescono a sminuire l'immensa qualità del monumento e sono relativamente facili da sostituire in un auspicabile futuro. Il secondo problema, di certo più grave, è la difficoltà di trovare artisti contemporanei in grado di portare avanti i progetti figurativi del Maestro. Gaudí voleva usare le facciate per raccontare attraverso le immagini la storia sacra, come si faceva nelle cattedrali medioevali. All'inizio del Ventesimo secolo questo non era semplice, ma il genio di Gaudí aveva risolto il problema, sfiorando il kitsch, nella facciata della Natività con quei muri che si increspano formando delle figure, molte delle quali ottenute prendendo a modello persone e animali reali (George Segal mezzo secolo prima). Il penoso risultato della facciata della Passione, affidata allo scultore Josep Maria Subirachs, è indice dell'immensa difficoltà del proseguire su questa strada. Bisogna ancora erigere la facciata principale, quella della Gloria. Trovare in tutto il mondo un artista contemporaneo in grado di affrontarla è la sfida più impegnativa con cui bisogna cimentarsi adesso. L'arte figurativa vive un momento difficile, quella a contenuto religioso ancora di più, e quella capace di trasmettere la gloria della resurrezione è estinta. L'arte contemporanea ha prodotto molte crocifissioni, ma nessuna resurrezione degna di nota.
Torniamo all'origine. Come possiamo esserci sbagliati tanto? Se cinquant'anni fa ci avessero dato ascolto, questa meraviglia non esisterebbe. Sarebbe rimasta lì come un rudere o l'avrebbe portata a termine un architetto in voga in quegli anni. Quanta gente l'avrebbe visitata? Questo tempio non ha mai ricevuto nessun appoggio economico dalle istituzioni, vive delle donazioni – più di due milioni all'anno, più di venticinque milioni di euro. Si sta finanziando come una cattedrale medioevale. In questo modo si riuscirà a portare a termine. Non so se è la migliore opera del secolo scorso, ma il miglior edificio religioso degli ultimi tre di sicuro sì. Oscar Tusquets Blanca
Nato nel 1852 a Reus, Terragona, Antoni Gaudí i Cornet frequenta l'Escuela Superior de Arquitectura di Barcellona, laureandosi nel 1878. Nel 1884, succede a Francisco de Paula del Villar y Lozano nella progettazione del Temple Expiatori de la Sagrada Família, a cui lavorerà ininterrottamente per quarant'anni. A partire dal 1910, Gaudí rinuncia progressivamente a tutti i suoi incarichi per dedicarsi in modo esclusivo alla Sagrada Família. Investito da un tram mentre si reca a pregare, muore il 10 giugno del 1926: è sepolto nella cripta della Sagrada Família.