Sull’isola della Giudecca, l’area industriale dismessa della Junghans è stata trasformata in un quartiere. Cino Zucchi, vincitore del concorso per il masterplan, ha realizzato cinque variazioni sul tema della residenza. Testo di Mirko Zardini. Fotografie di Orsenigo Chemollo / Orch e Cino Zucchi.
Brillanti atmosfere a Venezia
Mirko Zardini
Le indicazioni della brochure dell’agenzia immobiliare sono precise: quattro fermate di vaporetto dalla stazione ferroviaria di Venezia Santa Lucia, per arrivare fino alla Giudecca, all’attracco Palanca. Da piazzale Roma, per chi arrivasse a Venezia in automobile, si segue lo stesso percorso. Dall’aeroporto basta raggiungere piazzale Roma, e poi imbarcarsi sulla stessa linea di vaporetti. Indicazioni precise, e utili, soprattutto per chi veneziano non è. Evidentemente non veneziani sono molti dei possibili acquirenti cui si rivolge l’agenzia immobiliare che si occupa della vendita degli appartamenti in alcuni dei nuovi edifici realizzati a Venezia nell’isola della Giudecca, nell’area che un tempo ospitava le industrie Junghans.
Il complesso di edifici che oggi possiamo visitare, in parte già occupato, è il frutto di un concorso a inviti, indetto nel 1995 da un operatore privato in collaborazione con il Comune di Venezia, di cui è risultato vincitore Cino Zucchi. Un piano generale per tutta l’area (un programma di recupero urbano) è stato sviluppato a partire dal progetto di concorso; successivamente, la progettazione dei diversi edifici è stata affidata a Cino Zucchi, Boris Podrecca, Bernard Huet / Lombardi De Carli Associati, Giorgio Bellavitis e lo studio Archè. Parte dei nuovi alloggi è destinata a edilizia convenzionata; una parte a residenza universitaria; una parte è in vendita. Al piano terreno di uno dei nuovi edifici, in un punto strategico che si affaccia sul nuovo campo, è collocata l’agenzia che si occupa della commercializzazione del complesso immobiliare “Judeca Nova”.
Se si adottassero le definizioni utilizzate per le altre città italiane si potrebbe semplicemente parlare di un progetto di riconversione di una area dismessa. Ma si tratta di Venezia, anche se della ‘periferica’ isola della Giudecca. Si pone quindi, alle diverse scale, il problema del rapporto con il contesto, e della possibile ‘venezianità’ dell’intervento. È questo il tema centrale dell’intervento, che da una parte propone una correzione ed estensione del tessuto urbano, dall’altra insiste nella ricerca di un particolare carattere per ciascun edificio, tra ambientalismo, townscape e pittoresco.
Il nuovo complesso sorge al centro dell’isola. Verso nord il piano riprende le trame del tessuto esistente, in una intelligente operazione di chirurgia microurbanistica che diluisce la presenza dei nuovi edifici nella rete dei percorsi esistenti, estendendola e rafforzandola attraverso nuove aperture e collegamenti. Parte degli edifici industriali è stata così mantenuta, tagliata e trasformata, o sostituita, da altri edifici che insistono sullo stesso sedime. Verso sud, invece, nulla resta della precedente struttura industriale, sostituita da quattro edifici in linea. Il nuovo campo e il nuovo canale, rivolti verso la laguna, offrono una visione inedita e rendono accessibile un paesaggio fino a oggi poco apprezzato. Non è certo un caso che proprio questi siano gli edifici destinati agli acquirenti non veneziani.
Il sistema degli spazi aperti, delle calli, dei campi e dei giardini, e il rapporto con i canali e l’acqua – o con il verde (i piccoli giardini privati) – suggeriscono un’idea di continuità con lo spazio urbano veneziano. Una situazione molto diversa da quella della vicina Sacca Fisola, dove i quartieri di case popolari realizzati nel dopoguerra sembrano trasferiti di peso dalle anonime periferie delle città venete di terraferma degli anni Cinquanta, con le piccole aiuole verdi a protezione degli edifici. Ma l’intervento è diverso anche dalla proposta di Gino Valle, che, sempre alla Giudecca, ha realizzato nella prima metà degli anni Ottanta un quartiere di abitazioni popolari. Qui le calli, i campi, i portici, i campazzi sono ‘scavati’ all’interno di un densissimo sistema di costruzioni molto veneziano ma, al tempo stesso, memore della lezione degli edifici bassi ad alta densità delle esperienze inglesi del dopoguerra.
Ma mentre il quartiere di case popolari di Valle suggeriva, attraverso l’esteso uso del mattone, una unità del complesso, echeggiando la vicina fabbrica del Mulino Stucky, e proponendo una idea quasi ‘industriale’ di Venezia, in questo caso ci troviamo davanti a un evidente sforzo di caratterizzare in maniera diversa ogni edificio. Si tratta solo in parte dell’esito di quella stategia urbana che, a partire dagli anni Ottanta, vedeva nell’articolazione e nell’eterogeneità un valore da contrapporre alla monotona uniformità dei progetti unitari, e che ha fatto sì che un unico progetto venisse spesso scomposto e frammentato tra diversi architetti.
La varietà imposta simulava una processualità della crescita, o della trasformazione, simile a quella di una certa fase della città storica, aspirando a ricostituire, o soltanto a suggerire, una complessità sociale, economica, politica e quindi anche urbana. Nel caso del nuovo quartiere “Judeca Nova” tale intenzione è evidente nella scelta di affidare ad architetti diversi lo sviluppo del progetto urbano. Il risultato di tale sforzo sarebbe nulla più che corretto (ma a volte anche deludente), se non fosse per la presenza degli edifici di Cino Zucchi, cinque brillanti saggi, cinque variazioni sul tema “Venezia oggi”. La strategia è esplicitamente dichiarata e sviluppata con lucidità e intelligenza.
I cinque edifici perseguono ciascuno una particolare ricerca di carattere. Questo carattere non deriva però da una riflessione sui contenuti, sui programmi, sulla destinazione d’uso, ma è piuttosto il riflesso di condizioni esterne, di atmosfere, suggestioni, ambienti veneziani. Accanto a un edificio in mattoni, un altro edificio in mattoni; l’edificio industriale trasformato riecheggia il suo carattere originario; sul nuovo campo un edificio graficamente allude alle partiture in pietra di edifici veneziani, mentre troviamo continue allusioni nelle aperture, nelle cornici, nella deformazione dei tetti. Questa operazione sul carattere è soprattutto una operazione sull’immagine degli edifici. E naturalmente è condotta attraverso la manipolazione di un linguaggio che allude alla ‘venezianità’, ma in maniera distaccata, filtrata attraverso le esperienze dell’architettura italiana degli anni Cinquanta e Sessanta, con uno sguardo anche a Siza e Steven Holl.
Non si tratta di un’ idea dell’eterogeneità, del contrasto e del pittoresco ricavata dagli inaspettati accostamenti della metropoli contemporanea. Troviamo piuttosto un lieve, elegante, sofisticato pittoresco del moderno immerso nelle atmosfere veneziane, in una simulazione di città. Una visione sentimentale di Venezia che ne aggiorna l’immagine, estendendola e ampliandola, e arricchendola di tutte quelle sperimentazioni linguistiche del moderno, cui Venezia è stata in gran parte preclusa.
Su questa dolce, e ormai lontana, melodia di fondo che è oggi Venezia (non certo la Venezia di Le Corbusier) Cino Zucchi ci offre sofisticate variazioni e intelligenti manipolazioni, creando una perfetta musica ambient per la “Venezia Nova” (la Venezia ex Junghans, senza le industrie e senza le rovine delle industrie). Nello stesso tempo ci consegna le brillanti conclusioni di una storia iniziata qualche decennio fa con la poco distante casa alle Zattere di Ignazio Gardella.
Cino Zucchi. Cinque case a Venezia
View Article details
- 06 aprile 2004