Questo articolo è apparso originariamente su Domus 1062, novembre 2021.
Tadao Ando: un futuro incerto
Nell’editoriale di novembre il guest editor 2021 riflette sulla potenza visionaria dei progetti “non costruiti” di ieri e di oggi.
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- Tadao Ando
- 02 novembre 2021
"Non costruito” come antonimo di ‘costruito’. Queste parole rinvigoriscono la nostra immaginazione: architettura pensata per la costruzione, ma mai realizzata, oppure intesa come rappresentazione delle aspirazioni di un architetto, senza la costruzione come obiettivo. Nel primo caso, le “proposte non vincenti”, prodotte nel campo sperimentale dei concorsi, emergono come casi anomali in risposta a spazi e circostanze determinate. L’ironia è che la proposta scartata, talvolta, presenta una critica più forte e provocatoria dei concetti e dei sistemi dominanti rispetto a quella vincente. Infatti, sono stati proprio i progetti non accettati di Rem Koolhaas per concorsi degli anni Ottanta a determinare il suo successo nel mondo dell’architettura alla fine del secolo scorso.
Quel lavoro richiama certo alla mente i poderosi concept di città futuristiche dei Metabolisti degli anni Settanta, ma la sua origine è segnata dal pensiero travolgente e stimolante degli “architetti visionari” neoclassici, ai quali, nelle contingenze sfavorevoli della loro epoca, era stata negata la possibilità di creare edifici reali, così che il loro talento si era riversato nella creazione di opere di fantasia. Non è difficile immaginare come queste straordinarie visioni possano avere stupito gli uomini dell’epoca e anticipato i grandi cambiamenti avvenuti un secolo più tardi.
Esaminando il lavoro “non costruito” dei nostri giorni, si ha l’impressione che le infrastrutture di rete generate dalla rivoluzione digitale globale abbiano rimodellato la composizione dell’architettura speculativa.
Molte innovazioni sperimentali, come le proposte di nuove strutture architettoniche quali contenitori di informazioni o la ricerca di sistemi formativi che sfruttino al massimo la tecnologia digitale, fanno vacillare le nozioni convenzionali di funzione e spazio. Tuttavia, mentre le immagini generate a computer possiedono un livello di sofisticazione che le rende indistinguibili da quelle reali, non è chiaro se ci sia un’idea condivisa tanto forte da diventare il seme di una nuova epoca. In un certo senso, il nostro presente è un’epoca complessa, in cui è difficile generare visioni utopiche e proposte dotate della stessa forza di quelle del passato.
Tuttavia, le menti creative continuano a sforzarsi per afferrare un futuro incerto. Sapendo che si tratta di un’impresa poco gratificante, spingono la ricerca più a fondo e più in là, proprio per il fatto che il loro è un sogno irraggiungibile, tanto che a volte spendono più energia nell’articolare il sogno che nel lavoro vero e proprio.
Credo che la qualità essenziale di un architetto non sia l’intelligenza, ma la forza d’animo e la perseveranza nel sostenere una visione. Il paesaggio del “non costruito” è un simbolo del presente.
Non poteva esserci tema più appropriato per chiudere questo viaggio di un anno con Domus , un percorso dedicato a esplorare l’origine e il futuro dell’architettura. Continuerò senza sosta a perseguire la possibilità di un’architettura senza tempo. Sono infinitamente grato nei confronti dei miei amici italiani per avermi dato la possibilità di riflettere e dare nuova linfa a questi pensieri.
Mi preme sottolineare come un ricordo che si riaccende all’improvviso porti con sé un enorme potere di rigenerazione. Il passato non ci risucchia solamente nel passato. Certi ricordi sono caricati a molla e quando noi, che viviamo nel presente, li tocchiamo, d’improvviso la molla si distende, scaraventandoci così con forza nel futuro.
Yukio Mishima, Kinkakuji, 1956. Dall'edizione inglese The Temple of the Golden Pavilion, Vintage Books, New York 1994. Traduzione italiana a cura della redazione.
- Superstudio, New New York, Il viadotto dell’architettura, macro struttura ideata in occasione del concorso di idee su “Architettura e libertà” della Trigon Biennale di Graz, 1969
Sezione con effetto diurno, inchiostro, 39,8 x 65 cm
Un progetto pensato per essere costruito solo con materiale digitale riciclato