Se mi chiedete quale sia l’archetipo dello spazio, la mia risposta è: il volume e la direzione della luce. Potete considerarla una definizione piuttosto austera, ma pochi potrebbero negare che la luce abbia conquistato lo zenit dell’architettura in tutte le epoche e in ogni luogo. La pratica della costruzione di edifici, nel pensiero architettonico occidentale, è storicamente contrassegnata dalla creazione di aperture su blocchi di pietra per consentire a luce e aria fresca di inondare l’oscurità. Grazie a questa sfida, l’umanità ha scoperto quale sia il significato della luce, al di là della funzione di illuminare lo spazio. Quando penso alla luce secondo questa visione più ampia, mi vengono in mente due luoghi: il primo è il Pantheon di Roma dove flussi di luce in continua evoluzione, in base ai movimenti del sole, si irradiano attraverso un oculo. Il secondo è l’abbazia di Sénanque, dove la spiritualità più intensa si percepisce grazie a una luce pura e ascetica. La luce è uno specchio che riflette la cultura del luogo. Il nord Europa è caratterizzato da inverni freddi e bui, mentre l’Europa meridionale è favorita da un sole caldo e luminoso anche durante i mesi più freddi. Nonostante appartengano allo stesso continente, questi luoghi hanno climi completamente diversi. Il Giappone è uno shimaguni, un Paese insulare, con un clima temperato. Pertanto, la sua architettura non doveva avere muri solidi e compatti per separare l’interno dall’esterno.
Tadao Ando: “La conquista della luce”
Nel suo primo editoriale Tadao Ando ci racconta di come la luce naturale abbia conquistato lo zenit dell'architettura in tutte le epoche e in ogni luogo, dalla luce ascetica del nord Europa alle ombre intime delle case giapponesi.
Foto A. Hosain, Archivio Domus
Foto ©Shigeo Ogawa - pubblicato in Shizutani School (National Treasure) | Timeless Landscapes 1, Millegraph, 2017.
Foto courtesy Arnaud Dercelles
Foto Marc Haegeman, Archivio Domus
Foto A. Hammacher, Archivio Domus
Foto Casali, Archivio Domus
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- Tadao Ando
- 04 gennaio 2021
Mentre la tecnologia dell’illuminazione artificiale sta facendo passi da gigante, stiamo gradualmente perdendo la nostra componente fisica e la sensibilità innata alla luce naturale
L’architettura tradizionale giapponese racchiude lo spazio abitabile tra shoji (schermi di carta) e tetti di legno simili a ombrelli. La luce naturale che penetra in queste strutture non è forte e diretta, ma morbida e riflessa, rimbalza sotto gli spioventi e si proietta nelle stanze attraverso gli schermi shoji. In questi spazi non si intendeva controllare la luce, ma, al contrario, generare ombre. Nei tempi moderni, i progressi tecnologici nelle strutture di acciaio, vetro e cemento hanno consentito una maggiore libertà espressiva, così la luce in architettura ha assunto un carattere più sfumato e metafisico. Non solo in architettura, ma in numerosi altri campi come l’arte contemporanea e il design del prodotto, sono comparsi molti brillanti scultori della luce, le cui mani hanno dimostrato le infinite possibilità di plasmare la luce e l’oscurità. Ma qual è, oggi, il modo in cui l’umanità conquista la luce? Mentre la tecnologia dell’illuminazione artificiale sta facendo passi da gigante, stiamo gradualmente perdendo la nostra componente fisica e la sensibilità innata alla luce naturale. Inoltre, il degradarsi della qualità luminosa terrestre, oltre alla riduzione dello strato di ozono, è ora un tema sociale di primaria importanza. Per questo, vorrei porre le seguenti domande: cosa cercano di esprimere i creatori del nostro tempo attraverso la luce? Quali sono le loro aspettative?
L’ospedale Ayub progettato da Louis Kahn a Dacca, Pakistan, un volume in mattoni perforato, dove la luce entra da grandi aperture ad arco (da Domus 548, luglio1975).
L’auditorium (Koudo) della Scuola Shizutani (aperta nel 1670), caratterizzato da una luce morbida e riflessa.
Le Corbusier, la luce filtrata dalle finestre colorate della cappella di Notre-Dame du Haut a Ronchamp, presso Belfort in Francia, 1950-1955
Il chiostro dell’Abbazia di Thoronet in Provenza (1160-1230), con giochi di luce con riflessi rossi della bauxite contenuta nelle pietre.
Pierre Chareau, la vetrata al, primo piano che si affaccia sulla corte interna con giardino della Maison de Verre, 1928-1932
La navata asimmetrica della chiesa di Santa Maria Assunta di Alvar Aalto, a Ponte di Grizzana Morandi, frazione Riola del comune di Vergato (1980)