Fin dall’antichità, le città e i loro edifici sono stati plasmati da diversi fattori. Le questioni sanitarie sono tra i principali. Per esplorare questa relazione, è utile individuare l’essenza dell’urbanizzazione. Città e metropoli sono definite dall’infrastruttura connettiva: viali, strade, piazze, parchi e trasporti costituiscono il collante che tiene insieme i numerosi edifici. Sarà questa a definire il Dna, l’identità e l’anima del luogo: bella o brutta, con un’impronta di carbonio grande o piccola, sana o non sana per chi ci abita. Con il tempo, le città si evolvono e cambiano. Ai fini della salute, quali tendenze dovremmo favorire o combattere? Quali lezioni ci dà il passato? Già nell’ospedale di San Gallo – Sankt Gallen, in Svizzera – dell’820 d.C. le stanze dei pazienti erano collocate intorno a un giardino. I benefici dati dalla relazione con la natura oggi, dopo circa 12 secoli, sono confermati dalla ricerca scientifica. Queste idee si sono perse nei megaospedali del XX secolo, che hanno subito l’influsso di analoghe tendenze degli edifici commerciali.
Norman Foster e il futuro della salute
Nel numero 1093 di Domus il guest editor ripercorre il ruolo della salute come fattore che ha modellato le città nella storia e riflette sul futuro delle strutture sanitarie.
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- Norman Foster
- 03 settembre 2024
“Fin dall’antichità, le città e i loro edifici sono stati plasmati da diversi fattori. Le questioni sanitarie sono tra i principali”, così Norman Foster nell’editoriale del numero di settembre della rivista. Domus 1093 è una ricerca sul futuro della salute attraverso il progetto, con uno sguardo verso il passato. A livello urbano, possiamo pensare alla trasformazione ottocentesca di Parigi concepita dal Barone Haussmann, per esempio, o al Greater London Plan di Patrick Abercrombie del 1944. Per l’architettura, è in Austria, nelle ville di Otto Wagner a Steinhof destinate a pazienti psichiatrici, e in Finlandia, nel sanatorio di Paimio di Alvar e Aino Aalto del 1933, che l’architetto inglese trova “le radici di una svolta atta a riconnettersi con la natura”. Oggi, questa tendenza cerca una sintonia con la promozione della città compatta: si vuole così coniugare la tutela della biodiversità – da cui, secondo l’Oms, siamo dipendenti per il nostro benessere – a una maggiore vivibilità e uno stimolo al movimento fisico grazie alla pedonalizzazione.
Le radici di una svolta atta a riconnetersi con la natura si possono osservare nei complessi sanitari della Svizzera ottocentesca, nelle ville di Otto Wagner nel paesaggio di Steinhof, in Austria, destinate ai pazienti psichiatrici; nel sanatorio di Alvar Aalto del 1933, immerso nella luce solare a Paimio, in Finlandia. Quest’ultimo ci ricorda che il Movimento Moderno si fondava sulla forza guaritrice della natura: ecco allora i terrazzi pieni di sole delle case di cura, i balconi domestici, le grandi vetrate scorrevoli, il biancore e la disposizione degli edifici nel bosco.
La solitudine può uccidere, e i quartieri dal tessuto fittamente connesso tipici della città compatta favoriscono la socialità
Molto di recente, lo stesso desiderio di ricollegarsi alla natura si è manifestato durante la pandemia da Covid-19. Sotto ogni aspetto la città compatta, dove ci si muove a piedi, è il modello del futuro, stando ai suoi successi presenti e passati. L’impronta di carbonio è la metà di quella della città che dipendono dall’uso dell’auto, con superstrade e quartieri dormitorio suburbani. Per di più, il tradizionale centro urbano pedonalizzato viene preferito perché più vivibile.
Camminare è più sano che andare in auto, quindi forse non c’è da sorprendersi che la città che favorisce l’esercizio fisico sia la più sana. Se mettiamo in rapporto la salute con la longevità, vediamo come l’esercizio fisico sia uno dei tre fattori determinanti, insieme a dieta e contatti sociali. La solitudine può uccidere, e i quartieri dal tessuto fittamente connesso tipici della città compatta favoriscono la socialità.
Il governo di Singapore ne riconosce l’importanza: il suo programma abitativo offre incentivi alle coppie che scelgono di vivere vicino ai genitori, con ricadute positive non solo per il benessere della famiglia, ma anche per il servizio sanitario. Anche preservare la biodiversità ha delle ricadute in questo ambito. La causa della conservazione delle specie è correttamente collegata alla tutela dell’habitat, degli animali e della vita naturale. Si conosce meno, invece, il suo valore per gli umani: non solo per via degli effetti benefici di stare nella natura, ma anche per la riduzione delle malattie infettive: due terzi dei ceppi noti sono in comune con gli animali. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sottolineato la nostra dipendenza dalla biodiversità e dalla salute degli ecosistemi per il nostro benessere e la sopravvivenza. Cento Paesi hanno sottoscritto l’iniziativa “30 x 30”, che mira a definire aree protette il 30 per cento delle terre emerse e degli oceani entro il 2030. L’imperativo di tutelare la natura è un motivo ulteriore per scegliere una città compatta,. Questo vale per città di nuova costruzione, ma anche per l’espansione di quelle esistenti. Il piano regolatore della Greater London (concepito incidentalmente all’epoca della Seconda guerra mondiale) sosteneva la concezione di una cintura verde di protezione intorno alla metropoli. Nonostante la continua minaccia di intromissioni, finora ha tutelato la preziosa natura di una piccola isola e contrastato l’insostenibile espansione a bassa densità. Ciò vale anche per il microcosmo dei singoli edifici il cui insieme crea le nostre città.
La storia dell’architettura va di pari passo con quella della tecnologia, mentre l’evoluzione della progettazione di ospedali si fonda non solo sulla tecnologia, ma anche sul ruolo strategico di individui coscienziosi e sapienti che gestiscono il potere. Le storie dell’antesignana della professione infermieristica Florence Nightingale e dell’ingegnere Isambard Kingdom Brunel sono suggestive e importanti oggi quanto lo erano un secolo e mezzo fa. Nel novembre 1854, Nightingale giunse all’ospedale militare di Scutari durante la guerra di Crimea e trovò condizioni di sporcizia traumatizzanti. Con un’analisi puntuale dimostrò che i soldati morivano più per le infezioni che per le ferite. Ciò era in gran parte conseguenza diretta del progetto dell’ospedale e delle procedure operative.
Il Movimento Moderno era radicato nella forza guaritrice della natura, visibile nei terrazzi soleggiati delle case di cura, nei balconi domestici e nelle grandi vetrate scorrevoli degli edifici immersi nel bosco
Tornata a Londra, il suo rapporto fece uno scandalo tale da provocare la caduta del Governo. Il nuovo primo ministro, Lord Palmerston, inviò una commissione sanitaria e, nel febbraio 1855, Brunel venne incaricato di realizzare un ospedale prefabbricato che potesse essere realizzato rapidamente in Inghilterra e spedito in Crimea per essere montato. In sei giorni, Brunel aveva ideato un sistema fatto di componenti di legno in grado di realizzare un ospedale per 1.000 pazienti distribuiti in corsie da 25 letti ciascuna. Il progetto comprendeva un sistema innovativo di ventilazione, servizi igienici rivoluzionari, bagni, vasche, fognature e meccanismi per il controllo della temperatura. Dopo appena un mese dai sei giorni che servirono a Brunel per gestire la realizzazione, il primo di 20 trasporti navali prese il mare dal porto di Southampton. Il tasso di mortalità fu un decimo di quello dell’ospedale di Scutari. Brunel sintetizzò l’impresa come “niente più di un modesto esercizio di buon senso”. A parte essere un caso esemplare di progetto e della sua gestione, questa risposta a una crisi contribuì a porre le fondamenta delle strutture ospedaliere moderne, soprattutto grazie alla sua attenzione all’igiene. Ritorniamo all’importanza del collegamento tra salute e natura. Quando ho iniziato a praticare l’architettura, negli anni Sessanta del secolo scorso, con la ferma convinzione che catturare la luce naturale, le vedute e l’aria pulita non solo avrebbe migliorato la qualità della vita, ma sarebbe stato anche un bene per tutti. La differenza tra allora e oggi è che queste opinioni personali sono state studiate e poi provate scientificamente. Le ricerche condotte a partire dal 2016 da Joseph Allen alla School of Public Health di Harvard, per esempio, hanno dimostrato maggiori risultati sanitari e benefici prestazionali in strutture sostenibili e più dotate di luce, aria e rapporto visivo con l’esterno, rispetto a edifici progettati con criteri convenzionali.
Studi analoghi hanno dimostrato che i pazienti chirurgici ospitati in una stanza con vista usano il 60 per cento di medicine in meno e vengono dimessi un giorno prima rispetto a chi non ce l’ha. Come possiamo garantire la condivisione di questo sapere nel fondamentale processo decisionale, tanto in urbanistica quanto nel caso di edifici complessi come gli ospedali? L’ideale è partire dal basso, invece di imporre un progetto dall’alto. Se, in modo controllato, i differenti gruppi di interesse vengono incoraggiati a prendere parte al processo, il risultato finale non sarà solo migliore, ma anche più facilmente accettato fin da subito. Nel recente progetto di un importante ospedale di Filadelfia ho proposto di costruire il modello a dimensioni naturali di un intero piano dell’ospedale. Un grande capannone alla periferia della città è stato dedicato a questo scopo. Nelle settimane seguenti, il modello è stato visitato da gruppi di infermiere, medici, chirurghi, impiegati degli uffici amministrativi e addetti alla manutenzione. Vennero simulate delle emergenze e tutti furono invitati a produrre osservazioni, critiche e raccomandazioni. Questa storia è transitata dalla scala metropolitana a quella particolare di un singolo edificio fino all’incontro con le persone che l’hanno condivisa. Una delle conclusioni più importanti è che ciò che è bene per la salute del pianeta lo è anche per quella delle società e per gli individui che la mettono a rischio.