Come curare una mostra, spiegato da Norman Foster

Nel numero Domus in uscita a giugno, il guest editor esplora la permeabilità dei confini tra arte, architettura e design, mostrando come queste discipline siano culturalmente e intimamente connesse.

Il concetto di mostra aperta al pubblico è relativamente nuovo e ha origine dalle presentazioni delle opere di pittura e scultura organizzate dall’École des Beaux-Arts di Parigi nel 1737, seguite nel 1769 dalla prima delle numerose esposizioni estive dalla Royal Academy di Londra. L’annunciarsi della Rivoluzione industriale, con il suo poderoso impatto sulle arti, è segnato dalla nascita della Royal Society of Arts e dalla sua prima mostra a Londra nel 1761.

Tuttavia, per la grande Esposizione Universale dobbiamo attendere fino alla metà del XIX secolo, con la fusione di architettura e oggetti esposti nel Crystal Palace di Joseph Paxton (1851). La costruzione di questa enorme struttura rappresentò uno spettacolo pubblico tanto quanto le opere prodotte dall’industria e dell’artigianato, che in seguito avrebbero attirato vaste folle di visitatori al suo interno. Queste affinità tra discipline diverse mi affascinano da lungo tempo. In queste prime fioriture del nuovo mondo industriale, rispecchiato anche nella missione della Royal Society di “incoraggiare le arti, la produzione e il commercio”, ho sempre trovato motivo di ispirazione.

Nello stesso periodo, il movimento impressionista, oltre a portare un radicale cambiamento di stile in pittura, si allontanò dai soggetti tradizionali per passare a catturare immagini del mondo moderno. Crescendo nell’ambiente industriale di Manchester, ero affascinato dalle rappresentazioni degli aridi paesaggi delle città del nord del Regno Unito dipinti da L.S. Lowry, così come dal nuovo e luminoso mondo futuro raffigurato nelle riviste per ragazzi dell’epoca, che celebravano le nuove tecnologie con disegni di aerei di linea e locomotive elettrificate, mescolati a immagini fantascientifiche dell’era spaziale ormai alle porte.

Domus 1091, giugno 2024

Penso ci sia un legame tra i miei anni giovanili e il presente. Un aspetto è rappresentato dall’opportunità di curare mostre, dove ho esplorato il modo in cui i confini tra arte, architettura e design possano essere abbattuti, per mostrare come queste discipline siano culturalmente connesse. Ciò si riflette anche nella mia attività di architetto, nella quale ho perseguito l’idea di unire i diversi campi fin dall’inizio del processo di ideazione. Questo approccio “di squadra” è l’opposto del metodo tradizionale, in cui l’architetto disegna l’edificio per poi trasmettere il lavoro alle altre figure professionali.

Nel processo di progettazione ho inoltre accolto artisti e designer, le cui creazioni sono spesso fonte di ispirazione. La mia prima mostra allestita nel 1984 alla Whitworth Art Gallery di Manchester accostava il lavoro del nostro studio a immagini della Torre Eiffel, di velivoli da competizione,del Vertical Assembly Building e dei veicoli lunari della Nasa.

Questo approccio ‘di squadra’ è l’opposto del metodo tradizionale, in cui l’architetto disegna l’edificio per poi trasmettere il lavoro alle altre figure professionali.

Norman Foster

Quattro decenni dopo, la mostra “Motion. Autos, Art and Architecture” al Guggenheim di Bilbao aveva come protagonista l’automobile: 40 esemplari tra cui alcuni dei classici più ricercati. Se questi occupavano letteralmente il centro delle gallerie, condividevano però lo spazio con grandi sculture, mentre le pareti illustravano i mondi paralleli delle altre arti: design e architettura.

Una galleria ospitava quattro delle più belle vetture costruite tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, le cui linee fluide si riflettevano nella figura reclinata di bronzo Henry Moore, mentre più in alto si librava un epico mobile in bianco e nero di Alexander Calder. Nell’esplorare i legami tra le auto, un tempo definite sculture mobili e opere d’arte scolpite, vale la pena ricordare che ancora oggi, nell’era digitale, le carrozzerie vengono prima realizzate in argilla, come originali a grandezza naturale, in studi straordinariamente simili a quelli degli artisti del passato e del presente.

Vista di “Norman Foster. Sustainable Futures”, Centre Georges Pompidou, Parigi, 2023. Foto © Nigel Young / Foster + Partners

Una riproduzione di tali studi, con un team della General Motors intento a scolpire e a modellare grandi blocchi di argilla, ha riscosso molto interesse. In un’altra galleria ho illustrato i legami visivi tra il padre dello Streamlining, l’ingegnere Paul Jaray, e lo scultore Constantin Brâncuși. Jaray è stato un pioniere dei dirigibili e del design automobilistico e ha esplorato gli effetti della velocità su forme solide variabili nelle gallerie del vento. Ho mostrato come uno dei suoi modelli assomigliasse in modo sorprendente alla scultura astratta del pesce di Brâncuși.

Possiamo essere certi che i due non si siano mai incontrati, ma culturalmente le affinità sono molto evidenti. Questo confronto si collega anche alla conversazione tra Brâncuși e Marcel Duchamp, in occasione di una visita al Paris Air Show del 1912. Osservando un’elica d’aereo, i due rimasero talmente colpiti dall’estetica della sua forma da suggerire che essa avrebbe segnato la fine della scultura così come la conoscevano.

Penso ci sia un legame tra i miei anni giovanili e il presente. Un aspetto è rappresentato dall’opportunità di curare mostre, dove ho esplorato il modo in cui i confini tra arte, architettura e design possano essere abbattuti, per mostrare come queste discipline siano culturalmente connesse.

Norman Foster

L’esperienza sancì un cambiamento, testimoniato dalle successive opere fluide e metalliche di Brâncuși. Il modo in cui la mostra del Guggenheim riuniva automobili e arte attirò un nuovo tipo di pubblico: chi era affascinato dalle auto ma che, in qualsiasi altra circostanza, non sarebbe mai entrato in una galleria dedicata alle arti visive. Il record di presenze dimostrava l’espansione della popolarità del design e dell’arte una volta dissolte le barriere tra loro.

“Norman Foster. Sustainable Futures” al Centre Pompidou di Parigi nel 2023, è stata influenzata dal successo della mostra del Guggenheim. Alla direzione del museo l’idea di intrecciare arte e oggetti di design è piaciuta così tanto da far aprire la galleria principale, al sesto piano, uno spazio ampio che ha consentito di sospendere un aliante in fibra di vetro Libelle accanto all’auto Dymaxion e alla cupola Fly’s Eye di Richard Buckminster Fuller, nonché a opere di Umberto Boccioni e Brâncuși, in risonanza con modelli e disegni architettonici nelle immediate vicinanze. 

Domus 1091, giugno 2024

Alcuni accostamenti erano letterali, sia visivamente sia intellettualmente. Per esempio, avevo realizzato un modello astratto, bianco e filiforme della struttura della JP Morgan Tower, attualmente in fase di completamento sulla Park Avenue di New York. Le sue rientranze e la sua geometria sono generate dalla griglia e dalle normative di New York. Accanto a questo modello ho collocato una delle classiche opere a griglia bianca di Sol LeWitt, e molti visitatori si sono sorpresi di fronte alle somiglianze tra i due lavori.

Il legame diventava poi del tutto ovvio leggendo la didascalia che accompagnava l’opera, la quale spiegava che il primo impiego di Sol LeWitt era stato presso lo studio di I.M. Pei e come l’artista fosse ossessionato dal modo in cui la massa e le rientranze dei grattacieli di New York fossero modellati dalla griglia data dalla normativa urbanistica. Alcune opere della mostra del Pompidou risalgono ai miei anni da studente, come i miei rilievi dell’architettura anonima di granai e mulini a vento medievali. Al di là delle questioni legate al patrimonio storico-artistico, c’è molto da imparare dall’architettura vernacolare, realizzata con materiali locali.

Immagine di apertura: Norman Foster di fronte aun’opera di Gerhard Richter alla mostra “Moving: NormanFoster on Art”, Carré d’Art, Nimes, 2013. Photo © Nigel Young / Foster + Partners

Speciale Guest Editor

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