Dopo la pandemia di Covid-19, che ha portato a un enorme incremento del lavoro da casa, cosa definirà il luogo di lavoro del futuro e quali lezioni possiamo imparare dal passato? Per me, il tema ha un aspetto molto personale, perché la fabbrica e l’ufficio sono stati al centro dei miei primi anni di attività, prima che, come studio, ci evolvessimo verso una maggiore varietà di edifici, infrastrutture e prodotti.
Nonostante i nostri incarichi siano oggi di natura diversa, il luogo di lavoro come sfida progettuale continua a coinvolgerci. C’è anche una connessione tra i miei progetti attuali e quelli di 60 anni fa, in quanto tutti rispondono alla medesima filosofia. Con quest’ultimo termine faccio riferimento ai propositi in ambito sociale, ancora più validi nell’epoca post Covid di quanto non lo fossero in passato.
Prima di esplorare questi propositi, e a rischio di una certa razionalizzazione a posteriori, potrebbe risultare utile inquadrare il contesto della mia esperienza personale del luogo di lavoro in un momento precedente a quello in cui ho avuto l’opportunità, come architetto, di plasmarlo per altri.
Dopo aver lasciato la scuola, a 16 anni ho iniziato a lavorare come impiegato di quinto livello nel municipio in stile gotico vittoriano di Manchester, un capolavoro architettonico che mi affascinava, ma all’interno del quale le condizioni di lavoro erano dickensiane. Se la città era gestita in modo efficace da una simile sede, è stato a prescindere dall’ambiente, che era in egual misura grigio, scomodo e (come il lavoro stesso) noioso.
Questa prima esperienza lavorativa fu seguita dall’equivalente in ambito militare con il mio arruolamento per il Servizio Nazionale nella Royal Air Force, dove fui addestrato come tecnico radar.
Per due anni diventai un numero, assegnato a un banco di lavoro in una gabbia di legno e metallo circondata da parti interne dei sistemi radar elettronici più avanzati. La fabbrica senza finestre in cui lavoravo era l’equivalente novecentesco degli uffici del municipio ottocentesco di Manchester. Successivamente, come studente lavoratore, ho avuto esperienze altrettanto dure in diversi ambienti, dal turno di notte in una panetteria fino ai mestieri più sporchi in un’officina meccanica.
Dopo aver completato gli studi in architettura, ho svolto una serie di lavori in ambienti poco piacevoli per circa dieci anni. Non sorprende quindi che, come architetto, abbia colto ogni occasione per dimostrare che il luogo di lavoro può essere un ambiente accogliente, colorato, salutare e capace di temperare le differenze sociali.
Mi chiedevo se non potesse diventare uno spazio dove le persone desiderano trascorrere del tempo. Inoltre, se la tecnologia è lo strumento per realizzare obiettivi sociali, perché non progettare spazi di lavoro adattabili a futuri cambiamenti?
Un esempio di questo approccio è la fabbrica di elettronica Reliance Controls (1965), un edificio democratico con ingressi comuni e strutture condivise per dirigenti e operai, separati solo da una parete trasparente.
Questa soluzione era opposta a quella dell’ufficio tradizionale, che enfatizzava le differenze tra dirigenti e lavoratori. Un altro progetto, il centro operativo per la Fred Olsen Lines (1970), situato nei docks del Tamigi, affrontava una sfida ancora più radicale: riunire portuali e dirigenti in un complesso con strutture ricreative e servizi migliori per tutti, migliorando nettamente le condizioni di lavoro in un contesto storicamente difficile.
Negli anni Settanta, progetti come l’edificio per Willis Faber & Dumas a Ipswich (1975) segnarono una nuova fase. Questa struttura ribaltava il concetto di ufficio, con spazi aperti e flessibili, una piscina e un ristorante-giardino sul tetto, inondati di luce naturale.
L’edificio era progettato per adattarsi ai cambiamenti tecnologici e sociali futuri, anticipando tendenze che sarebbero emerse decenni dopo. Questi progetti pionieristici hanno dimostrato che gli spazi di lavoro possono essere centri di innovazione, benessere e sostenibilità, con un impatto positivo sulla produttività e sulla qualità della vita di chi li vive.
Immagine di apertura: Il nuovo edificio della sede centrale di Londra di Bloomberg. Foto © Nigel Young / Foster + Partners