Il conflitto senza sosta e senza soluzioni univoche è la chiave di lettura della visione dei curatori del Padiglione portoghese alla Biennale di architettura veneziana, il collettivo depA Architects, che alla richiesta di suggerimenti sulla strada da intraprendere per vivere (felicemente) tutti insieme presenta una serie di lotte, sotto forma di progetti di architettura e, quindi, di tematiche, che devono essere ancora superate.
“Crediamo che l’architettura sia assediata da pressioni politiche, economiche e sociali”, sostengono. “Il nostro intento era mostrare come il progetto in qualche modo si appropri di quegli input e li elabori cercando di trovare soluzioni. Gli esempi che abbiamo selezionato portato le tracce di quegli scontri, a volte arrivano a risolvere i conflitti che si sono creati, altre volte li lasciano aperti”.
Con la compostezza formale e il rigore che da anni contraddistingue l’allestimento portoghese per la Biennale di architettura, nelle sale di Palazzo Giustinian Lolin “In conflict” presenta l’architettura portoghese degli ultimi 45 anni, a partire da quel 1974 che ha segnato l’ingresso del Paese nella democrazia, con la Rivoluzione dei Garofani. Lo fa organizzando la propria analisi attorno a sette processi contrassegnati dalla distruzione materiale, dalla movimentazione sociale o dalla partecipazione popolare. Scelti partendo dal contrappeso mediatico che hanno avuto, amplificato dalla stampa che è stata letta come metro del coinvolgimento e quindi dell’interesse da parte del pubblico.
“Abbiamo usato i giornali e i social media come metro di selezione per trovare progetti in Portogallo che fossero veramente coinvolti nella discussione”, raccontano. “È stato anche importante che tutti fossero residenziali, per aderire meglio al tema lanciato da Hashim Sarkis. Abbiamo scelto quelli in cui l’architettura è stata proattiva, quelli che, in qualche modo, sono stati il simbolo della resistenza nel mezzo di queste ‘azioni’”.
La mostra rivisita i progetti delle torri del Bairro do Aleixo a Porto, il complesso residenziale Cinco Dedos a Chelas, Lisbona, il progetto SAAL Algarve di Meia Praia a Lagos, la proposta di riconversione del cantiere navale di Margueira – L'Elipse ad Almada, il piano di costruzione di Aldeia de Luz, Mourão, la riqualificazione di Ilha da Bela Vista a Porto, la ricostruzione delle abitazioni distrutte dagli incendi del 2017 a Figueiró dos Vinhos, Pampilhosa da Serra e Pedrógão Grande.
Quando ci si confronta con l’emergenza climatica in contesti in cui i mezzi a disposizione sono scarsi... diventa determinante l’azione dello Stato e quella della società civile.
“Nel caso della Porto contemporanea, cento anni di politiche abitative locali con l’obiettivo di eradicare le isole della città – piccoli quartieri operai informali e malsani costruiti a partire dalla seconda metà del XIX secolo – e di trasferire le comunità residenti, sono state un fallimento: ci sono quasi mille esemplari di questa tipologia tuttora attivi. Il recupero dell’isola di Bela Vista ha portato la discussione su un altro modello partecipativo, che ha mantenuto la comunità nelle sue abitazioni e ne ha rispettato l’identità di vicinato. L’inversione nel modo in cui si è guardato a quest’isola, applicato ad altri quartieri informali, suggerisce un cambio di paradigma: passare dal problema alla contingenza”.
“L’ultimo processo di questo arco”, continuano, “parte dalla condizione destrutturata che caratterizza la maggior parte del territorio portoghese. Nel 2017, gli incendi sviluppatisi nel centro del Paese hanno lasciato dietro di sé una scia di distruzione ed emergenza nazionale. La risposta multidisciplinare ha superato la mera assistenza tecnica specializzata: architetti e antropologi hanno lavorato in loco a fianco della popolazione. Quando ci si confronta con l’emergenza climatica in contesti in cui i mezzi a disposizione sono scarsi o in cui il territorio e la popolazione si presentano disarticolati, diventa determinante l’azione dello Stato e quella della società civile”.
Parallelamente ai sette casi messi in evidenza, vengono presentati altri 21 processi architettonici simili a questi, per problematiche, scala e modalità di azione. I curatori sono convinti che l’analisi della qualità delle abitazioni di un Paese può portare a ottenere una sorta di radiografia del suo sistema democratico. “Tali processi testimoniano una democrazia nata in un Portogallo impoverito, alle prese con profonde carenze abitative, ulteriormente aggravate dall’urgenza demografica della decolonizzazione. Oggi, trascorsi più di quattro decenni dalla fine della dittatura, la realtà continua a essere fragile, caratterizzata dalla persistenza di quartieri informali, da una crescita speculativa dei grandi centri urbani e dalla desertificazione dell’entroterra del Paese”, sostengono.
Vogliamo mostrare che l’architettura non è una disciplina chiusa, ma che è forgiata dalle persone.
Tutto cambia ma nulla cambia davvero, si potrebbe sintetizzare. Certo, oggi il dibattito su come abitare, con la pandemia che ha sconvolto il nostro quotidiano e la nostra relazione con gli spazi, domestici e comuni, ha preso una nuova accelerazione, ma le lotte sono sempre le stesse, per depA Architects, e guardare agli esempi del recente passato è sempre un esercizio utile. “Possiamo leggere i tanti esempi diversi che abbiamo portato in mostra sotto questa prospettiva e capire cosa possiamo imparare da loro. Alcuni sono degli anni Settanta, un periodo che ha visto lo studio di una tipologia di abitazioni innovative, molto diverse da quelle che abbiamo costruito negli ultimi 50 anni”.
Non meno importante della mostra per tratteggiare il contributo del Portogallo al dibattito architettonico a Venezia è la serie di nove dibattiti – sei organizzati tramite open call – tra Venezia, Lisbona, Porto e su una piattaforma online, ai quali hanno partecipazione di relatori internazionali che hanno ampliato geograficamente l’ambito di analisi. I risultati di questi dibattiti verranno raccolti in un catalogo, che conterrà anche un insieme di altri contributi – come interviste con attivisti e associazioni di quartiere – realizzati dai curatori. “Vogliamo mostrare che l’architettura non è una disciplina chiusa, ma che è forgiata dalle persone”, precisano. “Nell’impossibilità di risolvere tutte le contingenze, è importante pensare a come creare luoghi dove tutti possano trovare spazio nel dibattito, nell’attesa di realizzare il progetto di un futuro comune”.
Immagine di apertura: Rebuilt houses Previously Destroyed by Wildfires in 2017. Figueiró dos Vinhos, Pampilhosa da Serra e Pedrógão Grande 2017 - 2019. Ateliermob. Foto Fernando e Sérgio Guerra