Storia di un minuto è l’importante contributo che la fotografia e il video offrono al Padiglione Italia della Biennale Architettura 2021 curato da Alessando Melis. Il progetto di documentazione e il conseguente percorso espositivo vedono all’opera tre artisti chiamati a diverso titolo a ragionare su quella che, a causa terremoti che hanno colpito l’Italia dal 2009 in poi, potrebbe essere definita in senso lato un’architettura interrotta.
Ma più che insistere sui principali eventi che hanno sconvolto il centro del Paese, da L’Aquila all’Emilia Romagna, dalle Marche all’Appennino, i tre lavori presentati si concentrano sugli aspetti più propositivi che caratterizzano oggi questi luoghi, in quell’interregno complicato ma sempre fertilissimo dove il concetto di resistenza dà il passo a quello della resilienza.
Se gli eventi distruttivi durano in genere proprio attorno ai 60 secondi, la forza dello Slow Journalism che caratterizza l’approccio dei tre artisti coinvolti sta infatti proprio nella volontà e nella capacità di indagare il reale al di là della notizia.
Con Voci che si cercano, il tedesco Göran Gnaudschun tenta idealmente una ricostruzione dell’identità di Onna, frazione dell’Aquila fortemente colpita dal sisma del 2009. I dieci anni intercorsi tra i fatti e la commissione del Goethe Institut (con Onna O.N.L.U.S.) permettono all’artista di spaziare tra materiali d’archivio e fotografie realizzate ad hoc, il cui dialogo, sommesso e profondo, fa da sfondo a una ricerca più sfuggente e problematica: come si perpetua la coscienza di un luogo, magari il suo genius loci, quando a interrompere il flusso del tempo è un evento così traumatico? Forse con l’aiuto di quel concetto di Heimat così presente nella cultura tedesca, che trasmette un discorso affettivo destinato persistentemente a propagarsi attraverso le persone che vivono un luogo—i loro sguardi, i loro ricordi, il loro modo di intendere la vita—prima ancora che attraverso il luogo stesso.
Simile forse nella forma, ma diversamente interessante nei risutati, è Questa parte di bosco, di Alessandro Imbriaco. Sempre più interessato all’essenza di una comunità, al filo rosso che unisce le persone dietro le loro storie personali, Imbriaco intraprende una conversazione con gli abitanti di Frontingano di Ussita, nelle Marche, restituendocene un ritratto che ha il dono della naturalezza, come fosse realizzato da uno di loro. C’è come in atto una forma di mimesi, cosciente e nitida, una partecipazione lucida e fiduciosa che sembra autorizzare l’artista a dare in qualche modo per scontato il passato e a concentrarsi invece sul presente, sulla vita giorno per giorno e, in uno slancio affermativo, sui progetti per il futuro.
La videoinstallazione di Antonio Ottomanelli s’intitola La prima casa in cui il cavallo andrà sarà nel vuoto, ma altrettanto rappresentativa della sua riflessione potrebbe essere la frase dipinta dai Red Blue Eagles, i tifosi della squadra di calcio locale, che campeggia oggi all’Aquila: alla mia terra giuro eterno amor. Protagonisti del documentario sono infatti gli attivisti dell’organizzazione 3e32, che dal 2009 lottano per proporre una propria via alla ricostruzione che sia morale prima ancora che materiale, e che prescinda da, se non addirittura si opponga a, una politica calata dall’alto. Nata pochi giorni dopo quel 6 aprile 2009 che ha tristemente reso L’Aquila quel caso studio che ancora oggi ha così tanto da dire sulla gestione della cosa pubblica in Italia, l’associazione è materiale perfetto per il nuovo ideale capitolo di una ricerca artistica, quella di Ottomanelli, che esplora da sempre il rapporto tra uomo e territorio e tra autodeterminazione e autorità.
L’intero progetto, che prevede anche una serie di incontri a Venezia e nei luoghi interessati agli eventi, è ideato da Alessandro Gaiani, Emilia Giorgi e Guido Incerti e realizzato in collaborazione con ActionAid Italia ONLUS e il GSSI – Gran Sasso Science Institute.