Civil War è il migliore film dell’anno che probabilmente non hai visto

L’ultimo film del regista-scrittore Alex Garland è una critica potente del nostro mondo, raccontato soprattutto attraverso i colori.

Tra le problematiche della narrazione storica, c’è l’impossibilità di raccontare a tutto tondo il contemporaneo. Secondo uno dei principi alla base del giornalismo, così come della storiografia, per comprendere a pieno il presente, è necessario che ci sia una distanza critica (o storica, a seconda delle definizioni) in grado di porre in una posizione super partes chi prova a osservare, raccontare e interpretare il presente. Nel mondo dell’arte, dove la soggettiva firma del singolo autore prende il posto dell’oggettiva cronistoria degli eventi, è di tanto in tanto possibile che un prodotto o una firma in particolare possa riuscire a rappresentare lo zeitgeist del proprio tempo.

Nel cinema, ci sono sicuramente due nomi che riescono a farlo molto bene: la casa di produzione A24 e il regista Alex Garland. Proprio il loro lavoro congiunto, nella primavera di quest’anno ha portato alla distribuzione di uno dei film più controversi e rappresentativi del presente, che molto probabilmente vi sarete persi al cinema: Civil War. Questo road movie post apocalittico con Kirsten Dunst, Wagner Moura e Stephen McKinley Henderson racconta una storia di crescita personale all’interno di un’America negli ultimi giorni di un’ipotetica guerra civile, con un’escalation di violenza che va di pari passo con lo sviluppo emotivo e professionale della giovane fotografa protagonista, interpretata da Cailee Spaeny. 

Alex Garland, Civil War, 2024

Per circa due ore di pellicola, Garland racconta agli spettatori un’ipotetica fine del mondo, con un linguaggio figlio del suo stile visivo e sonoro già visto (soprattutto, ma non solo) in Ex-Machina e Devs. Civil War, oltre a rappresentare una decisa critica alla società occidentale (in generale) e a quella USA (in particolare), ha un comparto visivo straordinario, accompagnato da un sonoro studiato nei minimi dettagli, che lo rendono un film molto intenso. In un presente che sembra raccontare un “ora, ma non qui”, ritraente una possibile qualsiasi parte del mondo dove ci sono dei conflitti in corso, il regista sceglie di raccontare la crudezza della guerriglia senza regole, lasciando sullo sfondo i grandi movimenti di potere. Per farlo, parte da precise scelte visive, enfatizzando con un singolo colore dominante le emozioni più profonde della storia, sottolineando i momenti più intensi con silenzi e partiture musicali estremamente calzanti.

Film Giallo

Fin dalle sequenze di apertura, è possibile riconoscere uno dei colori “firma” di Garland, il giallo tenue, utilizzato per illuminare gli ambienti sociali in condizioni di apparente normalità. In Civil War, l’utilizzo della luce calda costituisce una narrazione ben precisa: scaldare i freddi ambienti architettonici, trasformando dei labirinti di cemento nella rappresentazione di un mondo fatto di condivisione che, nella realtà del film, fa parte quasi esclusivamente dei ricordi. Sotto questo aspetto, la hall di un albergo diventa un luogo d’incontro tra vecchi amici, uno scenario posticcio per illudersi di scappare dalla guerra, così come l’interno di uno stadio diventa una festa in mezzo alla rovina, dove sperimentare nuovamente il calore umano perduto. Davanti alla perdita dell’ornamento in favore della facile fruizione (occupare più posti letto possibili, lasciando delle facili vie di fuga in un luogo vandalizzato), il colore dell’illuminazione è letteralmente l’ultimo barlume di umana socialità in un mondo che va in pezzi.

Alex Garland, Civil War, 2024

Film nero

A scandire i momenti di quiete, vera o presunta che sia, tra una scena madre e l’altra, ci sono i passaggi in notturna. Immense distese di nero, campi larghi illuminati unicamente da spari o incendi, dove quel giallo innocuo citato poc’anzi diventa, invece, arancione, quasi rosso minaccioso, scaldando l’atmosfera e accelerando i battiti cardiaci dei personaggi. Il nero diventa lo spazio per le confessioni, per mostrare le proprie fragilità e condividere pensieri, mentre fuori il mondo s’infiamma ed esplode, caricando con rossa foga gli animi per poi confluire in nuovi, policromi paesaggi diurni di morte.

Questo road movie post apocalittico racconta una storia di crescita personale all’interno di un’America negli ultimi giorni di un’ipotetica guerra civile, con un’escalation di violenza che va di pari passo con lo sviluppo emotivo e professionale della protagonista.

Film verde

Quando l’uomo perde, la natura vince. Il verde si mangia l’asfalto, i palazzi e qualsiasi cosa antropizzata non utile alla guerriglia. Il colore del prato fiorito ha il sapore del passato, offrendo riposo e conforto, legando ogni scena in cui compare a un senso di malinconia. Non è una novità per il genere sci-fi post-apocalittico, in particolare da quando l’intensa narrazione visiva di The Last of Us (videogioco, Naughty Dog, 2013) ha raccontato uno dei tanti “mondi dopo la fine”. La natura che riconquista i propri spazi su una Terra deserta è la rappresentazione sublime e conturbante di qualcosa più potente delle mere questioni umane. Per questo una macchina che sfreccia tra gli alberi sa di “quotidiano”, pur nascondendo una minaccia dietro ogni curva, mentre sullo sfondo l’erba inghiotte una pompa di benzina in disuso. 
 

Film grigio (grigio e nero)

La scala di grigio ad alto contrasto dei rullini in bianco e nero racconta il paese reale, quello che va in frantumi, a uso e consumo dei posteri, dove l’umanità vive giorno dopo giorno un destino segnato dalla sconfitta. Jessie, questo il nome della protagonista, mostra la sua casa, ovvero la macchina in cui si macina centinaia di chilometri con Lee/Kirsten Dunst, Joel/Wagner Moura e Sammy/Stephen McKinley Henderson, vivendo e catturando le tipiche dinamiche famigliari genitori-figlia-nonno su una fotocamera che chiede tempo a chi la utilizza. La ragazza matura emotivamente, come di pari passo accade al suo sguardo sul mondo, aspetti che confluiranno in un finale il cui climax porta all’unico esito possibile fin da principio.

In questo mondo dove le sfumature cromatiche fanno la differenza tra la gioia e il dolore tanto personale quanto collettivo, il quotidiano insegna che non ci si abitua mai alla morte. Per raccontare i traumi, Garland sfrutta parimenti i silenzi forzati (degli attori) a cui sovrappone una musica straniante o i fortissimi rumori della battaglia. L’orrore è sempre presente: da un lato dei ragazzi uccidono per il gusto di farlo, dall’altro qualcuno lava via dei resti umani. Ma proprio nel quotidiano di un mondo che attraversa probabilmente la fase finale della sua storia, che sembra ormai perso perché divoratosi da sé, la magia può ancora accadere: delle fiamme selvagge possono diventare lucciole, così come si può ancora entrare in un negozio e sorridere di gusto, nonostante sulla bandiera americana siano ormai rimaste solo due stelle.

In Italia puoi vedere Civil War in streaming su Prime Video

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